IL PENSIERO DOPPIO E LA BIFIDA LINGUA DEI TEOLOGI PROGRESSISTI – di Piero Vassallo

di Piero Vassallo

 

 

Adulato e amplificato dal giornalismo servile, il pettegolezzo dei poteri forti accusa Benedetto XVI di aver abbattuto le speranze destate dal radioso progressismo postconciliare. Se non che gli scodinzolanti portavoce dei pensatori da salotto evitano con cura di nominare le lontane cause dell’opposizione del papa alla teologia progressista. Nel 1997, il cardinale Ratzinger aveva, infatti, rammentato l’esperienza drammatica, vissuta alla fine degli anni Sessanta, quando era professore: “Ho visto e sperimentato molto chiaramente che stava facendosi strada un nuovo spirito, in cui delle ideologie fanatiche si servivano degli strumenti del Cristianesimo, ed ho percepito visibilmente la menzogna in atto …[1]. A quel punto il cardinale citò un episodio, che rispecchia il vicolo cieco in cui si è cacciato il progressismo postconciliare: durante l’estate del 1969, nella facoltà teologica di Tubinga, fu diffuso un manifesto, scritto dagli studenti progressisti, che, dopo aver formulato un atto di accusa contro la Chiesa complice dei capitalisti, invocava l’aggiornamento a sinistra, e concludeva con un grido forsennato:  “maledetto sia Gesù Cristo”.  rahner

Il commento del futuro papa non lascia dubbi sull’atteggiamento da assumere nei confronti  della teologia progressista: “Seppi allora quale era la posta in gioco: chi voleva restare progressista doveva rinunciare alla sua identità [cristiana]” [2].

Dal suo canto, il tradizionalista Juan Fernando Segovia ha dimostrato che Martin Heidegger, fondando la post – metafisica (l’ontologia che nega l’essere) ha preparato il terreno della post – teologia (la teologia che nega Dio) [3].

Il cuore della teologia progressista è segnato dalla svolta antropologica concepita – e non per caso – da un discepolo di Heidegger, Karl Rahner, che intendeva abbassare il soprannaturale all’umano, cioè oscurare l’immagine dell’unico e vero Dio.

Fedeli al pregiudizio antropocentrico, i teologi progressisti hanno tentato d’inquinare il Concilio Vaticano II, riversando l’eresia modernista nelle forme spericolate di una dottrina ecumenica compatibile con i princìpi dell’umanesimo ateo.

Grazie a Dio il disegno eversivo dei progressisti è fallito. La ha dimostrato l’autorevole Francesco Spadafora: “Il decreto sull’Ecumenismo del Vaticano II, pur con i suoi equivoci e le consuete tortuosità, afferma nettamente: L’azione ecumenica dei cattolici non può essere se non pienamente e sinceramente cattolica, cioè fedele alla verità che abbiamo ricevuto dagli Apostoli e dai Padri e consona con la fede che La Chiesa Cattolica ha sempre professato[4].

L’insistenza di Benedetto XVI sulla continuità della tradizione cattolica è giustificata dal fatto che gli errori della teologia progressista non hanno avuto accoglienza esplicita nei documenti del Vaticano II.

L’insorgenza dei progressisti ha generato aspettative senza fondamento e stati d’animo devianti, ad esempio un’ingiustificata fiducia nella idee proclamate dai comunisti.

Insieme con gli stati d’animo i progressisti hanno diffuso un linguaggio obliquo, fumoso e irritante, che allontana i fedeli dai pulpiti del giornalismo teologico. Tali novità hanno alterato l’eloquio del clero cattolico, ma non hanno alterato il deposito della fede.

Pertanto, la restaurazione in atto per la volontà di Benedetto XVI ha per oggetto la mentalità, il costume e il linguaggio dei cattolici, non la sostanza della fede, che è indeclinabile e in realtà mai declinata.

Di qui l’ira dei teologi sopravvissuti all’universale catastrofe del progressismo. La reazione a Benedetto XVI è condotta dalle due anime del progressismo: l’avversione fanatica alla dottrina tradizionale, e la goffa sofistica, strisciante sotto gli accorati appelli allo spirito del concilio.

L’unione ipostatica delle due anime era rappresentata da Alberto Melloni, guru predicante nella diroccata scuola teologica di Bologna.

Melloni nascondeva la desolazione del progressista sotto le divagazioni intorno alla differenza abissale che egli vedeva correre tra la tesi di Benedetto XVI sulla continuità tradizionale del Vaticano II: l’ultimo concilio “porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa”.

Dalle pagine del Corriere della Sera (15 marzo 2009) Melloni esternava la soddisfazione che gli ha aveva la definizione di Benedetto XVI: “una formula che richiama proprio il cuore della lezione di Pino Alberigo sulla profondità storica del rinnovamento conciliare” e che supererebbe “l’ermeneutica della continuità”.

¿Benedetto XVI scolaro di Pino (Giuseppe) Alberigo, il defunto teologo di scuola bolognese, che dichiarò (cfr. Repubblica, 2 luglio 2005, pag. 45) la sua attività di negromante, impegnato a recitare il rosario per ottenere la morte del papa tradizionalista Pio XII?

Se non che, nel dizionario di Felice Battaglia, un testo che il dotto Alberigo non poteva ignorare, rinnovamento significa “sostituire materiali ormai consunti o inservibili con altri nuovi, meglio rispondenti allo scopo”.

Tale era il programma dei cattocomunisti agenti nel Vaticano II: sostituire la dottrina tradizionale con una dottrina avventizia, meglio rispondente allo scopo di dialogare con l’avanguardia sovietica del mondo moderno, che negli anni Sessanta sembrava trionfante. Benedetto XVI, contemplando l’intera storia dottrinale della Chiesa nei testi del Vaticano II, rovescia il pregiudizio – l’ottica – dei teologi progressisti

Melloni dunque s’ingannava e illudendosi tentava d’ingannare i suoi lettori. La dichiarazione di Benedetto XVI, secondo cui il concilio Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa cattolica costituisce, infatti, la perfetta confutazione dell’opinione bolognese, che nel concilio legge la volontà del rinnovamento modernizzante.

 


[1]Il sale della terra”, Colloquio con Peter Seewald, Ed. Paoline, Cinisello B., 1997, pag. 88.

[2] Op. cit., pag. 89

[3] Cfr.: “La luz que vino del Norte”, in “Anales de la fundación Francisco Elías de Tejada” año XIX 2008.

[4] Cfr. “Il postconcilio Crisi: diagnosi e terapia”, Settimo Sigillo, Roma 1991, pag. 311.

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