IL PITTORE E IL SOGGETTO RELIGIOSO – di Dionisio di Francescantonio

Intervento di Dionisio di Francescantonio al convegno “L’Arte Sacra oggi”

 

 

L’Associazione Voltar Pagina ha realizzato in collaborazione col Comune di Recco, cittadina situata in una delle zone più belle della costa ligure, un convegno sul tema “L’Arte Sacra oggi” con l’intento di mettere a confronto un gruppo di artisti figurativi con coloro che dovrebbero essere i loro interlocutori naturali, in primo luogo i rappresentanti di istituzioni importanti come la Curia Arcivescovile. L’argomento, forse al di là delle stesse aspettative dei promotori dell’iniziativa, ha visto una partecipazione di pubblico numerosa e una vivacità di dibattito da cui è emersa una grande speranza: quella di configurare un seguito operativo a questo confronto.

 


Faccio un breve ragionamento ponendomi dal punto di vista del pittore, oggi smarrito, diciamo così, di fronte alla possibilità di dedicarsi all’arte sacra. La constatazione che sorge spontanea rispetto a questa questione è che un pittore oggi non è indotto a dipingere quadri di soggetto religioso perché non solo non ha più il committente che gli chieda lavori di questo genere,  ma perché non esiste nemmeno il pubblico interessato a una pittura che si eserciti su questa tematica.  Questo lo dico perché  la sorta di libertà assoluta di cui dispone oggi il pittore  non lo porta affatto a dipingere per sé, come taluni potrebbero credere, perché egli dipinge sempre pensando a un pubblico. Tra tutti i linguaggi artistici la figurazione è quella che più delle altre nasce per essere vista e quindi chi la sceglie ha sempre in mente un pubblico a cui destinarla: magari un pubblico ristretto, un pubblico di amici e di amatori, com’è inevitabilmente accaduto a chi è rimasto fedele al figurativismo nel periodo della glaciazione informale,  astratta o dadaista che ci ha afflitto nei decenni scorsi. Ma su questo aspetto sorvoliamo perché non siamo qui per polemizzare con la frattura che si è consumata nelle arti figurative rispetto alla tradizione e a quel bagaglio inestimabile di tecniche e di esempi che essa ci aveva portato in dote. Oggi almeno il pubblico più avveduto si rende conto che lo sperimentalismo a oltranza imposto dalla modernità si è rivelato un’avventura presuntuosa e velleitaria, priva di veri sbocchi creativi e ormai finita nelle secche del nulla, del futile e dell’inutile, per non dire del brutto, del deprimente o addirittura del ripugnante.

arte sacraMa, dicevo, anche il pittore figurativo che ha continuato ad esercitare il mestiere attingendo all’esempio del passato,  ha dovuto fare i conti con la condizione a cui lo ha ridotto la modernità, cioè quella di non avere una committenza e di dover dipingere pensando a un pubblico comunque guastato dall’abitudine di avere a che fare con le imposture e le brutture del modernismo, e ha dovuto inventarsi ed elaborare un linguaggio che, per distinguersi da quelle brutture, e quindi, implicitamente, condannandole o irridendole, lo ha costretto ad assumere taluni moduli espressivi della modernità. Perché in definitiva l’artista è comunque un testimone del suo tempo e il nostro tempo, a chi almeno abbia deciso di non rinunciare agli insegnamenti ricevuti dai propri progenitori,  non ha lasciato altra possibilità che quella di esercitare l’ironia  o di produrre un sentimento d’inquietudine e di allarme nei confronti d’una realtà che in gran parte ha smarrito il senso comune e la percezione della differenza che intercorre  tra bello e brutto e tra utile e dannoso: cioè quella condizione ormai generalizzata che abbiamo già ricordato in altre occasioni.

Ma oggi nasce qualcosa di nuovo che salutiamo con grande interesse perché, grazie all’intermediazione d’un amministratore sensibile e intelligente come il vicesindaco di Recco, il dottor Gandolfo che presiede l’incontro,  si può, nel nostro piccolo, cercare di ricreare quella saldatura tra committenza religiosa e artefice di manufatti artistici che la modernità ha interrotto.  Questo, va da sé, sarebbe già un piccolo miracolo,  ma esso, per realizzarsi, per avere un seguito richiede la buona volontà dei due principali interlocutori: da parte dei rappresentanti del mondo religioso,  quello di riassumere il ruolo di committenti attivi e partecipi e – come posso dire? – di consiglieri, di ammaestratori, siano essi esponenti d’alto livello della gerarchia ecclesiastica o il parroco della chiesa del quartiere periferico che abbia le navate spoglie e voglia fornirle d’un corredo artistico adeguato; e, da parte dell’artista, quello d’impegnarsi a rivedere i propri moduli espressivi e a  reinventarsi un linguaggio che si proponga di riproporre i modelli di pura bellezza del passato,  perché il compito della pittura religiosa –  credo non ci sia bisogno di ricordarlo –  deve innanzitutto essere quello di illustrare ed esaltare la bellezza e l’armonia del creato che ci ha donato Nostro Signore, infondendovi il pathos che induca a quel sommovimento dell’anima (vogliamo tornare a chiamarlo commozione, estasi, catarsi?) che è la stessa ragion d’essere dell’arte.

Quando parlo di modelli del passato non voglio dire, naturalmente,  che si debbano ricopiare pedissequamente quei modelli,  ma insomma è necessario studiarli, tenerli presenti, perché si tratta di quei grandi esempi di cui parlavo prima e che ci vengono forniti da duemila anni a questa parte, se vogliamo limitarci solo all’arte cristiana, e che rappresentano una fonte di insegnamenti e di possibilità inestimabile a cui attingere a piene mani seppur con oculatezza, ove naturalmente si abbia la volontà di impegnarsi seriamente e si sia supportati dall’esperienza del mestiere che, anch’esso, non può mancare. Altra prova di buona volontà è quella che, almeno in questa fase, non si parli di compenso: per ora ci si deve necessariamente affidare al volontariato (la questione del compenso si potrà, semmai, affrontare sulla base dei risultati forniti dall’artefice e delle possibilità finanziarie della committenza); l’importante è che veramente si riapra il discorso del rapporto tra entità religiosa e artista, àuspice e propiziatrice un’amministrazione pubblica capace di intendere il valore e la fecondità di questo rapporto.

 

1 commento su “IL PITTORE E IL SOGGETTO RELIGIOSO – di Dionisio di Francescantonio”

  1. Dionisio di Francescantonio

    Scopro che avete pubblicato su RICOGNIZIONI questo mio intervento sull’arte sacra che purtroppo non ha avuto quel seguito operativo che ci auguravamo noi che avevamo ideato quell’ormai vecchio confronto; soprattutto – mi duole aggiungere – per sordità anzi indifferenza da parte della Curia arcivescovile, ma anche di altri, come la rappresentante della Soprintendenza alle Belle Arti, la quale, per tutta risposta al nostro appello alla necessità di ritornare a prendere in considerazione un’arte sacra che riprendesse il filo della nostra grande tradizione, ci esortò ad andare a visitare una mostra sui feticci africani allestita in quel periodo a Genova (evidentemente per irrisione e volontà di offesa verso i nostri propositi). Pazienza, da allora almeno i nodi dell’informale e della provocazione ad oltranza della contemporaneità stanno venendo al pettine e almeno il figurativismo ritrova un po’ del prestigio perduto; ma di arte sacra non parla più nessuno, meno che mai il mondo religioso.
    Dionisio di Francescantonio

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