Il politicamente corretto e l’effetto farfalla – di Roberto Pecchioli

L’effetto farfalla è un concetto enunciato dal matematico Edward Lorenz nell’ambito della fisica ponendo una domanda paradossale: può il battito d’ali di una farfalla in Brasile determinare un tornado nel Texas?  La risposta, all’interno della teoria del caos, è sì. Piccoli cambiamenti nelle condizioni iniziali di un sistema sono in grado di produrre conseguenze di grande portata. L’irruzione nell’immaginario europeo e occidentale del linguaggio politicamente corretto ne è una dimostrazione. La correttezza politica, nata come quasi tutte le follie dell’ultimo mezzo secolo nelle università americane con l’intento di proteggere le minoranze attraverso l’uso di espressioni verbali più appropriate e rispettose, ha generato un mostro e modificato in profondità la percezione della realtà e il giudizio collettivo. Capita ai sogni della ragione malintesa, destinati a trasformarsi in incubi.

Il politicamente corretto corrode la libertà di espressione, diventa un rizoma che si espande in ogni direzione, cellule impazzite che accecano sino ad abbattere i pilastri della libertà di pensiero e di espressione, orgogliose conquiste del pensiero europeo. Va addirittura oltre, poiché riconfigura le parole non solo nei significati, ma soprattutto nei giudizi che contengono, con espressioni imposte e altre proibite. È dunque una vera e propria ideologia, in cui confluiscono elementi della linguistica, della sociologia, della psicologia di massa e delle tecniche di persuasione come la programmazione neuro linguistica.

Il politicamente corretto è una deriva ideologica nutrita della retorica neoprogressista, in realtà regressiva, di una precisa classe sociale, i vincenti della postmodernità, cosmopoliti e globalisti, ma è qualcosa di più. È la liquidazione coatta “a fin di bene” dell’intera civiltà europea in base al presupposto della sua natura sopraffattrice e violenta, frutto del dominio di una minoranza di maschi eterosessuali. Il p.c. diventa quindi un’anti cultura che nega cittadinanza a ciò che non riconosce in base al suo “a priori”, un relativismo radicale fondato sull’idea di uguaglianza declinata come uniformità, negazione delle differenze mascherata da finta avalutatività. Il nucleo fondante del politicamente corretto è l’adesione a un bigottismo dell’equivalenza qualitativa di idee, persone, civiltà, religioni, principi, un plumbeo nichilismo in salsa etica certo della propria superiorità in quanto unica verità è l’Identico.

Attraverso la messa all’indice di parole e concetti “sensibili”, il p.c. nega nei fatti la libertà, che è ricerca e dubbio fecondo, e persino il progresso in nome del quale afferma di agire. Cresciuto nelle università, ne è la negazione radicale, poiché chiude la conoscenza in un recinto soffocante, dove la mente istruita a metà diventa la più propensa alle utopie e a nuovi fanatismi. Scriveva il grande cardinale John Newman che non la cultura o l’acquisizione, ma il pensiero e la ragione esercitati sulla conoscenza sono l’obiettivo di quello che chiamava allenamento intellettuale. Al contrario, il p.c. agisce attraverso scomuniche preventive il cui esito è l’indebolimento progressivo della mente europea e occidentale. L’effetto paradosso è l’adesione alla cosiddetta teoria sociologica dell’etichettatura, (labelling) secondo la quale è la società a decretare quali comportamenti sono devianti. L’atto deviante – pronunciare determinate parole, esprimere certi giudizi – produce una reazione sociale in quanto la cultura dominante ne postula e impone il (pre)giudizio negativo. Il relativismo culturale diventa il punto di forza: il nuovo deviante politicamente scorretto viene etichettato come malvagio, colpevolizzato nei suoi stessi sentimenti espressi con le parole, un diverso da isolare in un mondo di identici.

Tuttavia, sembra sorgere una reazione contro il politicamente corretto e il suo travolgente effetto farfalla. I dubbi si stanno diffondendo in vari settori di opinione, le librerie cominciano a offrire testi di analisi e di aperta contestazione, come il recente Politicamente corretto. Storia di un’ideologia di Eugenio Capozzi. Si registrano interventi di intellettuali di fama mondiale, come il premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa, che ha definito il p.c. una nuova inquisizione.  Il direttore della Reale Accademia della Lingua Spagnola, Darìo Villanueva, lo considera una insidiosa forma di censura. “Una censura perversa cui non eravamo preparati, poiché non la esercita lo Stato, il governo, il partito e la Chiesa, ma frammenti diffusi di quella che chiamiamo società civile.” Altri segnalano che il p.c. nega la razionalità e fomenta l’autocensura, la peggiore forma di coartare la creatività e la libera espressione. Avanza una società che proscrive ogni dissidenza in nome del comfort di qualsiasi minoranza, nella quale non può sussistere il pensiero libero se si comprime il confronto delle idee, derubricato a inventario di parole offensive o moralmente riprovevoli.

L’elenco delle follie è ormai sterminato. Nei campus delle università anglosassoni sono stati creati luoghi detti spazi sicuri dove ogni studente può esprimersi “liberamente”, ossia, a detta dei sostenitori dell’esperimento, “senza timore di non sentirsi a proprio agio o non sicuro per il suo sesso, razza, etnia, orientamento sessuale, genere, biografia, bagaglio culturale, religione, età o identità fisica e mentale “. Esseri senza volto e identità partecipano a dibattiti in cui non è permesso applaudire, in quanto il battito delle mani potrebbe risultare aggressivo per qualche spettatore. All’applauso si sostituisce un movimento delle mani levate in alto, chiamato jazz hands. In diversi spazi pubblici si realizzano bagni neutri per non offendere i transessuali.

Il nuovo credo conta con potenti alleati. I giganti tecnologici di Silicon Valley, Hollywood e mezzi di informazione influenti come il New York Times e la rivista The Atlantic sono paladini della sottocultura politicamente corretta. Non va meglio in Inghilterra, dove all’università di Oxford, tempio della cultura britannica, è stato interrotto un dibattito sull’aborto perché tra gli intervenuti figuravano degli uomini.

Ciononostante, monta l’opposizione. In un dibattito di grande impatto mediatico organizzato dalla catena americana Abc, i sostenitori del politicamente corretto sono stati travolti dalla disapprovazione del pubblico presente e di quello televisivo. Un sondaggio di The Atlantic ha rilevato l’ottanta per cento di sì alla domanda se negli Stati Uniti il p.c. sia un problema. Il dato interessante è la maggioranza schiacciante di rifiuto del p.c. tra le minoranze asiatiche e ispaniche. E’ evidente che si tratta di una costruzione intellettuale a cui la gente comune si sente estranea e, finalmente, avversa. Non si può negare per sempre il senso comune o censurare un’istituzione come la famiglia, risalente all’origine dell’umanità, definita con fastidio “tradizionale”.

Conformismo saccente di ceti agiati ma di mediocre cultura (le classi medie semicolte descritte da Costanzo Preve), il politicamente corretto ci sta sfuggendo di mano. Vargas Llosa lo considera il principale nemico della libertà; si comincia a prendere atto che molti reprimono se stessi per timore della correzione petulante dei chierici progressisti e vivono nella paura di avere pensieri eterodossi, sbagliati, moralmente riprovevoli. La dittatura dei buoni rende fragili e insicuri i milioni che non la condividono ma ne temono le conseguenze.

Il politicamente corretto, infatti, porta a esprimersi non come si pensa davvero, ma trascinati dalla frivolezza, dalla viltà e dall’opportunismo, allineando le proprie opinioni a quelle più conformiste. È una mancanza di sincerità e di autenticità che trasforma tutta la vita politica, sociale e culturale in una caricatura, in qualcosa di forzato, una falsità sistematica nella quale non si esprimono convinzioni genuine, ma solo banalità, pose, luoghi comuni. Il p.c. ha a che vedere con la sinistra culturale, poiché è lei che ha stabilito i parametri da cui non deve uscire chi non voglia incorrere in impopolarità, discredito, e non intenda essere considerato inadeguato sotto il profilo ideologico, morale, sessuale e così via. Sta contagiando un numero sempre più grande di ambiti, la conoscenza si riempie di pregiudizi, risulta poco creativa, per nulla originale e non rappresentativa delle esperienze reali, un manierismo mediocre quanto obbligato.

Si tratta di un meccanismo che impone una censura discreta, dissimulata, che non dice il suo nome e non castiga (ancora) fisicamente, ma sanziona con l’isolamento in nome di una correttezza supposta e mai davvero definita. In larga misura, è la moderna inquisizione che induce al silenzio.

La diagnosi è definita; la prognosi, in una società dominata dal politicamente corretto, è infausta per il nichilismo che diffonde e la debolezza intrinseca di chi sa solo negare. Non esiste differenza qualitativa tra gli uomini, le loro idee, le loro civiltà; tutto si equivale, non c’è il bene e il male se non a partire da quella negazione iniziale. Fine dei giochi, game over. Il politicamente corretto risulta falso nelle premesse, distruttivo nelle azioni e portatore di una spaventosa incultura. Che sia nato e abbia conseguito potere nelle università una volta simboli del sapere è una prova raggelante dell’agonia, della condizione terminale della nostra civiltà. Si manifestano tuttavia anticorpi, dubbi e reazioni. Forse l’effetto farfalla non ha ancora vinto la partita e, parafrasando Curzio Malaparte, non tutto è perduto finché non è tutto perduto.

 

1 commento su “Il politicamente corretto e l’effetto farfalla – di Roberto Pecchioli”

  1. Manca nelle enciclopedie la voce “Politicamente corretto”. Questo ottimo testo, sintetico, chiaro e (soprattutto) a bersaglio, potrebbe bene colmare la lacuna. Grazie all’autore e a Riscossa Cristiana.

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