IL RECENTE DIBATTITO SUL “NUOVO REALISMO”: UN NUOVO VERBO SPECULATIVO? – di Lino Di Stefano

di Lino Di Stefano

 


dfL’avversario del cosiddetto ‘Nuovo realismo’ – teoria sostenuta, in questi giorni, dallo studioso torinese Maurizio Ferraris  –  è, in particolare, il ‘post-moderno’ a patto che si dica, beninteso, che cosa sia stata e che cosa voleva quest’ultima tendenza, incentrata su un chiaro atteggiamento culturale che considerava superate alcune certezze, tipiche della modernità iniziata, com’è noto, da Cartesio, Bacone e Galilei. Ora, il menzionato studioso piemontese col suo recente ‘Manifesto del nuovo realismo’ (Laterza, 2012) ha messo, subito, le mani avanti ed ha affermato che il proprio non è un definito indirizzo speculativo, bensì, son sue parole, “la fotografia…di uno stato di cose”.

In altri termini, per l’Autore, tale movimento di idee non è altro che una ‘svolta’ relativa al racconto della storia “degli ultimi anni”. Da qui, i rilievi al ‘post-moderno’ e alle sue contraddizioni consistenti, a suo dire, sulla mancata emancipazione sostenuta dai professori e superabili soltanto mediante una prospettiva nuova volta a rivalutare, da una parte, ciò che il ‘post-moderno’ aveva soffocato, e tesa a postulare, dall’altra, tre princìpi fondamentali.

E cioè: gli oggetti naturali carichi di pregnante concretezza, a prescindere dal soggetto;  gli oggetti sociali la cui realtà dipende dal soggetto e, infine, gli oggetti ideali fuori dalle dimensioni spazio-temporali e, come tali, autonomi dal soggetto. E questo, ci fa vagamente pensare alla celebre tripartizione dei mondi di Karl Popper. Adesso, quantunque il ‘post-moderno’ abbia centrato, a modo suo, i propri obbiettivi, per Maurizio Ferraris è necessaria una nuova fase diretta a conferire fiducia alla verità e a ciò che egli chiama “tre parole chiave: ‘Ontologia’, ‘Critica’, ‘Illuminismo’, che vogliono reagire ad altrettante fallacie del postmoderno, la fallacia dell’essere-sapere, dell’accertare-accettare, e la fallacia del sapere-potere”.

Da qui, il corollario che gli oggetti naturali sono ‘inemendabili’ e che esiste un mondo reale dotato di norme sganciate dalla nostra volontà e dal nostro pensiero sicché per Ferraris e per ogni realista che si rispetti, è evidente non solo che il mondo esiste, ma è anche certo che le categorie di essere e sapere non si equivalgono. Ancora. Per lo studioso il reale esiste e persiste a prescindere dai tentativi del soggetto mirati ad incapsularlo in schemi concettuali.

In definitiva, il mondo viene prima delle elaborazioni intellettuali contrariamente alla visione del ‘post-moderno’ che si dimostra incurante, scrive lo studioso, della “perdita di contatto con la realtà” ; il reale,  insiste Ferraris, s’impone con tutta la forza della sua ‘incontrovertibilità’, mentre, così egli continua, “chi ha inventato il postmoderno non pensava che avrebbe portato al populismo”. Un altro strale, scagliato dall’ Autore al ‘post-moderno’, inerisce al nesso ‘fatti/ interpretazione dei fatti’ con la conseguenziale opzione neo-realistica secondo cui i fatti risultano sempre cogenti e irrefragabili.

A questo punto, è giocoforza rilevare che l’asserzione ‘esistono i fatti e non l’ermeneutica di essi’ non è sufficiente per edificare un nuovo sistema di pensiero sia pure, come specifica Ferraris, a livello di “fotografia…di uno stato di cose”. Premesso, infatti, che di ‘realismi’ – lungo il corso della storia della filosofia – ne abbiamo avuto diversi, occorre anche sottolineare che nella visione dello studioso, col pretesto che esistono i fatti e non l’interpretazione di essi,  il soggetto – vale a dire il pensiero, l’intelletto, la mente, lo spirito – viene relegato ai margini della ricerca, se non annullato.

Per quel che concerne il primo rispetto, la storia del pensiero ha sciorinato, di volta in volta, l’aristotelismo, il tomismo, l’empirismo, il positivismo, il neo-realismo anglo-americano – Moore, Alexander, Whitehead, Montague e Perry – il pragmatismo e  l’empirismo logico; dottrine tutte dirette a concepire gli oggetti  come entità extra-mentali e, in quanto tali, verificabili sperimentalmente. Per quel che riguarda, invece, il secondo rispetto, bisogna aggiungere che i platonici, gli agostiniani, i seguaci di Berkeley, i razionalisti, i kantiani, gli idealisti, gli spiritualisti e gli attualisti non hanno mai negato la realtà dei fatti.

Essi, anzi, hanno, semplicemente, ribadito che l’esistenza di un mondo indipendente dal soggetto comporta solo la presa d’atto, di una terra promessa da esplorare senza nessun intervento da parte dello stesso. In questo modo, viene svilita l’intera portata della rivoluzione copernicana di Kant  secondo la quale il soggetto è al centro dell’indagine, col mondo della natura concepito quale risultante della sintesi da esso compiuta sui dati sensibili.

Platone non ha mai negato l’esistenza della realtà sebbene, per lui, il vero reale sia l’iperuranio;  Agostino, dal suo canto, non ha mai messo in dubbio la certezza del mondo benché sostenga che la verità è “in interiore”; Kerkeley, da parte sua, assicura che il cosmo esiste a patto, però, che una mente lo percepisca: “esse est percipi”; lo stesso dicasi del razionalismo, dell’idealismo, dello spiritualismo, nelle sue varie sembianze, e del neo-hegelismo gentiliano; correnti per le quali il soggetto ha una sua precipua funzione come, ad esempio, quella di creare la realtà pensandola, senza per questo smentire l’esistenza dei fenomeni.

Maurizio Ferraris combatte le cosiddette costruzioni concettuali dimentico, però, che la formulazione del ‘nuovo realismo’ è il risultato di una operazione squisitamente mentale. Anche lo psicologo e filosofo pragmatista William James nega la consistenza della coscienza mercé l’asserzione che “alla coscienza come tale non può accadere nulla, poiché essendo essa senza tempo , è soltanto un testimone di ciò che accade nel tempo, e non vi svolge alcun ruolo”; ma nel momento in cui lo scienziato americano formula tale dichiarazione, non si accorge che, proprio allora egli si sta servendo della coscienza,  gettando, in qualità di essere pensante, le fondamenta della sua impalcatura speculativa.

In ultima analisi, dal soggetto non si esce senza che questo significhi, naturalmente, la caduta nel solipsismo quale dottrina filosofica basata sulla convinzione che l’io singolo costituisce l’unica realtà esistente e che i rimanenti soggetti diventano delle semplici rappresentazioni dell’individuo pensante. Non sono queste ultime, le finalità dei movimenti – facenti capo alle categorie dello spirito –  interamente volti a riaffermare la trascendenza dell’essere divino, la natura immateriale dell’universo e la valenza dell’intimità della coscienza. Tutto ciò, contro ogni materialismo o realismo deteriore, rivendicanti il mondo esterno in posizione di indipendenza rispetto alla nostra attività conoscitiva.

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