Il sangue, il suolo e la memoria: ius sanguinis e ius soli – di Clemente Sparaco

di Clemente Sparaco

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Lo ius soli in discussione in Parlamento non rappresenta una novità rispetto alla normativa vigente, perché, in realtà, già ora sono riconosciuti i diritti di cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia. L’unica differenza è che il minore straniero ora, per chiedere la cittadinanza, deve aspettare diciottesimo anno. Tuttavia, se i suoi genitori sono in Italia da almeno 10 anni, possono chiedere la cittadinanza per loro, che passa di diritto anche al figlio (per lo ius sanguinis).

Inoltre, i minori stranieri possono avvalersi già di tutti i diritti e servizi essenziali di cui godono i minori italiani. Numerose sentenze della Corte Costituzionale hanno, infatti, riconosciuto il principio dell’estendibilità dei diritti fondamentali della persona anche agli stranieri. Lo si vede, del resto, nelle scuole, in cui non c’è differenza tra bambini italiani e stranieri nati in Italia, e negli ospedali, dove l’assistenza sanitaria viene fornita a tutti.

Ma allora dov’è la vera novità?

Manco a dirlo, essa sta nel riconoscimento dei diritti e doveri di natura politica, in primis il diritto di voto. Si capisce, quindi, come la fretta di approvarlo e i toni ideologici, e a tratti retorici, che accompagnano la propaganda siano del tutto strumentali.

Ma è, pur vero, che questo riconoscimento politico implica una di differenza, questa sì, di sostanza. Il diritto al voto comporta, infatti, la partecipazione attiva alle sorti del Paese, la possibilità di votare e deciderne il futuro e dovrebbe sottintendere un’identificazione ed un’appartenenza ai valori della comunità. Proprio in ragione di questo si dà una distanza profonda fra il principio la cittadinanza per sangue (ius sanguinis) e quello per luogo di nascita (ius soli). Perché se la cittadinanza è per sangue, questo vuol dire che l’appartenenza alla comunità è qualcosa di carnale, di viscerale, di profondo, qualcosa che ha a che fare con l’identità della persona e della famiglia in cui la persona si struttura e forma fin dalla nascita.

Il sangue, il suolo e la memoria

Oggi la parola sangue è screditata, in quanto la si associa a fattori etnici che richiamano dottrine razziste e neodarwiniste. Ma nell’accezione antica, latina, essa ha un significato diverso che si riconnette al sangue come sede della vita. Ha, quindi, a che vedere con quel ganglio vitale di rimandi affettivi, emotivi, sentimentali, di fede e di civiltà che fanno la memoria di un popolo. Perché non sono i suoli che fanno un popolo, ma quell’intima energia di sangue che ha il sigillo personale dei padri, con i loro volti, con il ricordo indelebile impresso dentro di noi.

Il popolo ha una storia, una tradizione che si tramanda attraverso le generazioni, che nessuno ha il diritto di negare. E’ quella fede a segnare il suolo e farne un luogo dello spirito, in cui si sedimentano esperienze, sogni, ricordi, immaginazioni, nel percorso del tempo. Sono come segnavia che sostanziano non solo le identità dei popoli, ma anche quelle delle persone. Ed è qualcosa di sacro, nella misura in cui per la Patria si può morire, e si è morti in un passato nemmeno tanto remoto, di cui oggi sembra essersi tuttavia persa la memoria.

Il suolo è invece una mera estensione spaziale da occupare, qualcosa di informe da plasmare, da riempire di tracce del proprio passaggio. Nell’orizzonte del mondo globale esso diventa un luogo del tutto indistinto “dove individui intercambiabili e omologati sono ridotti al rango dell’homo oeconomicus” di evoliana memoria (così Enrico Marino sul blog EriticaMente del 17 giugno).

In quanto assoggettabile e sfruttabile, il suolo s’intende sottoposto alla volontà di chi ne prende possesso e che lo ridisegna a sua misura. Così i nostri suoli portano impressi in sé il disegno degli uomini che vi hanno vissuto, lavorato, progettato, pensato e sognato. Sono i nostri campanili, gli spazi ed i cortili, le chiese, i palazzi e i monumenti in cui il genio artistico del nostro popolo ha prodotto i suoi capolavori. Ma sono anche i campi segnati dalla fatica contadina e dalla sapiente e tenace opera di addomesticamento della natura.

La cittadinanza – ha dichiarato Alessandro Meluzzi (intelligo news – 15 giugno) – non è un fatto geografico o genetico, è un fatto valoriale e culturale e con questa legge temo andremo ad assestare un altro duro colpo alla nostra identità. Anzi, alla nostra civiltà“.

Si capisce, quindi, bene che in questa precisa congiuntura, caratterizzata contemporaneamente da un’emergenza immigratoria incontrollabile e da una grave e persistente crisi demografica, il cambiamento delle norme sulla cittadinanza può avere conseguenze devastanti. Non solo assisteremo alla distruzione della compattezza storica, culturale, valoriale, che ha da sempre contraddistinto il nostro Paese, anche negli anni in cui non esisteva lo Stato unitario ed indipendente, ma andremo incontro ad una vera e propria fine della nostra civiltà in cui ci riconosciamo come popolo e come popolo libero. Perché, come ha scritto sul Giornale del 18 giugno Magdi Cristiano Allam “accordare lo ius soli e consentire ai musulmani e ai cinesi di autoamministrarsi sulla base di proprie regole e leggi, promuovendo in parallelo l’auto-invasione di milioni di giovani prevalentemente islamici nella fascia d’età dell’esplosione della fertilità maschile, sarebbe un suicidio traducendosi nella sostituzione etnica della popolazione italiana e nella fine della nostra civiltà, nella sottomissione alla dittatura finanziaria e alla tirannia dell’islam”.

7 commenti su “Il sangue, il suolo e la memoria: ius sanguinis e ius soli – di Clemente Sparaco”

  1. E’ chiara dunque la malafede dei rappresentati mandati in parlamento. Hanno tradito. Continuano a tradire, mentendo, sollecitando che bisogna fare presto. Sono senza vergogna. Ci stanno svendendo, ci stanno seppellendo. Tutti tacciono. Come si può arrivare a tanto? E la nostra gioventù? A farsi una canna. I nostri uomini? Si fanno femmine. Le nostre donne ? Si fanno maschi. E gli altri? Si fanno di traverso. Se è tutto così, siamo al capolinea.

  2. e saranno felici quelli che odiano la nostra civiltà, e si ritoveranno a vivere nella, chiamiamola così per par condicio, lor civiltà qui con loro portata. e dalla quale hanno creduto di fuggire! Verrà verrà il momento anche per loro, per pagarla, e non avranno altre vie di fuga, nessuna altra speranza di una ‘vita migliore’!!! Accomodatevi sul barcone Italia, che più vi entrate, prima affonderà!!! Ci sarà sempre un Bergoglio a confortarvi!

  3. Carla D'Agostino Ungaretti

    Condivido ogni parola. Sono contrarissima alla concessione dello ius soli. La legge esistente è più che sufficiente a garantire la cittadinanza italiana a chi dimostra di sentirsi veramente italiano con il proprio lavoro, con l’osservanza delle leggi, con il rispetto della nostra storia, dei nostri costumi e soprattutto della nostra Fede cattolica. Invece la nostra classe politica spera solo di ottenere più voti, visto il disgusto per la politica di molta parte della popolazione che (come me) è tentata di non votare più. Per di più: non gli basta ai sostenitori dello ius soli, l’esperienza di Francia e Inghilterra colpite dai terroristi islamici nati e cresciuti lì, cittadini francesi e sudditi del Regno unito? Vogliamo proprio imitare la loro esperienza? Ma è un discorso inutile. gli europei sono diventati pecore ed è noto che chi pecora si fa, il lupo se lo mangia.

  4. Lo ius soli si regge sullo stesso concetto di autodeterminazione individualista che permea anche il matrimonio gay, l’utero in affitto, l’eutanasia, ecc.
    Non si vuol riconoscere il fatto che i genitori, la biologia, le origini culturali non ce li scegliamo.
    Ancora non si vuole riconoscere il proprio limite, l’importanza della comunità.
    Ciò che ci fa popolo, oltre alle origini comuni, è la percezione di un destino comune, il camminare insieme nella stessa direzione, il vivere, soffrire, gioire insieme come fratelli.
    Sortire insieme dai problemi, come diceva don Milani, è possibile se condividiamo le stesse categorie, abbiamo un linguaggio e una sensibilità comune, siamo e ci sentiamo nella stessa barca, abbiamo una religione che ci “lega”, altrimenti …

  5. non posso che essere d’accordo con quanto esposto in questo articolo e con chi ha commentato prima di me. Le leggi esistenti sono già più che sufficiente, pertanto, alla luce della faziosità con cui si sta forzatamente portando avanti il disegno di legge per lo “ius soli”, non si può che intravvedere parte del disegno eversivo massonico che si sta dipanando davanti ai nostri occhi e volto essenzialmente all’annullamento di ogni tipo di identità/tradizione. Chi legge in tutto ciò la sola (e ritrita) paura del diverso e quant’altro, non solo fa finta di non vedere lo scempio in atto, ma ne diviene essenzialmente complice.

  6. da un pezzo, da quel feral 1861, abbiamo smesso di essere un ‘popolo’, quel popolo glorioso, che pur differenziato nelle sue articolazioni localistiche, ha lasciato così grande traccia nella storia della civiltà umana. Ora siamo una popolazione di genti senza memoria e senza cultura, e senza fierezza alcuna, avendo perso ogni motivo per esserlo, distrutti nell’anima da quella fatale operazione che, avendo dato origine alla unificazione ‘politica’ del paese, si poneva ovviamente come suo nuovo compito, quello di “fare gli Italiani”! Li ha fatti li ha fatti eccome se li ha fatti, ma che cosa hanno in comune questi nuovi italiani con quella cultura e senso della vita che hanno prodotto l’ ITALIA che era, quando un Erasmo da Rotterdam diceva: “noi uomini di cultura siamo tutti Italiani”??? E allora, che questa popolazione di zombi scompaia del tutto è più che inevitabile!

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