Il Sessantotto e la musica: l’allucinazione al potere – di Fabio Trevisan

LA RIVOLUZIONE O CONTESTAZIONE DEL ’68 NON È CIRCOSCRIVIBILE SOLTANTO AD ALCUNI AMBITI SOCIO-POLITICI, IN QUANTO HA INFLUENZATO IL MODO DI ESSERE, DI VIVERE E DI PENSARE DI INTERE GENERAZIONI, COMPRESA QUELLA PRESENTE. SI PUO’ PARLARE QUINDI DEL ’68 ANALIZZANDO LA RIVOLUZIONE SESSUALE E DEI COSTUMI, OPPURE LA CRITICA ALLE ISTITUZIONI (STATO, SCUOLA, ECC.) SFOCIATA NEI DISORDINI E NELLE OCCUPAZIONI. IL ’68 HA MUTATO ANCHE L’ARTE, LA MUSICA, LA LETTERATURA, IL TEATRO ED È STATO SOPRATTUTTO UNA RIVOLTA CONTRO L’AUTORITA’ (LA FAMIGLIA TRADIZIONALE IN PRIMIS, IL RUOLO DEL PADRE). CON IL ’68 SI SONO INTENSIFICATE LE LOTTE DEL FEMMINISMO, LE BATTAGLIE POLITICHE E SOCIALI, L’ESALTAZIONE DEI DIRITTI. IL CONCETTO DI “LIBERAZIONE” CHE HA CARATTERIZZATO LA CONTESTAZIONE SESSANTOTTINA SI PUO’ SINTETIZZARE ANCHE ATTRAVERSO SLOGAN, COME AD ESEMPIO: “VIETATO VIETARE”, “IMMAGINAZIONE AL POTERE”, “LIBERI CORPI, LIBERE IDEE”. ESSENDO IL ’68 UN FENOMENO PERVASIVO CHE HA ATTRAVERSATO INNUMEREVOLI AMBITI, IL NOSTRO INTENTO NON PUO’ ESSERE QUELLO ESAUSTIVO, DATI GLI INNUMEREVOLI RIMANDI A TUTTE LE SFERE DELL’ESISTENZA. TRATTEREMO PERTANTO ALCUNI TEMI LEGATI AL ’68, LASCIANDO APERTO IL DIBATTITO SULLE CAUSE (REMOTE E PROSSIME) E SUGLI EFFETTI CHE ANCORA STIAMO VIVENDO.

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LE RADICI DELLA CONTESTAZIONE GIOVANILE Quando un fenomeno rivoluzionario come il ‘68 esplode nelle università e nelle piazze, da Parigi a Roma, nelle strade e nei raduni collettivi, da Woodstock all’isola di Wight, significa che le cause sono remote e che gli effetti, ora visibili, sono stati preparati nel tempo. La musica di “quei formidabili anni”[1] (parafrasando un libro assai noto di Mario Capanna, indiscutibile leader in Italia del Movimento Studentesco) era lo specchio di una contestazione capillare che il mondo giovanile aveva sferrato a ogni autorità: istituzionale (lo Stato, la Patria, le forze dell’ordine, le leggi), ecclesiale (soprattutto contro la Chiesa cattolica), familiare (in particolare contro i padri), sociale (università, fabbriche) e morale (contro i valori della cosiddetta “società borghese e capitalista”).

Secondo il pensiero di Plinio Correa de Oliveira (1908-1995), in particolare nel saggio “Rivoluzione e Controrivoluzione”[2] del 1959, rivisto vent’anni dopo e quindi dopo il ’68, il fenomeno rivoluzionario era determinato da delle tendenze disordinate riconducibili all’orgoglio e alla sensualità che costituivano rispettivamente l’aspetto ugualitario (l’odio contro ogni superiorità e quindi contro ogni autorità) e l’aspetto liberale (il desiderio di spezzare ogni freno, ogni barriera, ogni limite) di ogni rivoluzione. Quando si parla del ’68 quindi, oltre a identificare la natura dei vizi capitali che lo caratterizza, è doveroso inquadrarlo in un prospetto temporale più ampio, in una teologia della storia che lo qualifica come momento storico di un “processo” maturato nel tempo, dove dalle evocate tendenze disordinate si è passati alle idee (o, meglio, ideologie) per concludere radicalmente nei fatti (o misfatti rivoluzionari).

Le radici della contestazione giovanile e la ribellione violenta di quegli anni vanno ricondotte quindi a un clima di sovvertimento di un ordine precedente, in un desiderio sempre più sfrenato di “libertà” (al plurale) che conduce al libertarismo, ossia all’ideologia liberale in cui la libertà non è più aspirazione legittima al bene né tantomeno al “bene comune” ma piuttosto rimanda alla consumazione individualistica della soddisfazione del proprio “io“, inteso come espressione di un “nuovo diritto” e quindi contro la società oppressiva dei “doveri”: doveri considerati come imposti da una società da scardinare e rovesciare completamente. In questo senso il ’68 rinsalda, unisce istanze rivendicative diverse, dal movimento femminista o dei “diritti delle donne” al movimento studentesco o del “diritto allo studio”, dai gruppi politici di sinistra anche extraparlamentari all’anarchismo in tante sue sfaccettature, dal canto di protesta degli schiavi neri negli Stati Uniti d’America (in particolare nel blues) alla musica beat e rock di contestazione nello stesso Occidente e così via per innumerevoli tanti altri aspetti.

Si può quindi considerare obiettivamente la rivoluzione del ’68 come pervasiva, totale e dominante: dalla religione alla politica, dall’etica al profilo giuridico, dalla scuola al mondo del lavoro, dalla famiglia ai media, dai costumi (le mode) all’arte, tutto è stato in continuo sommovimento e tutto è stato oggetto di contestazione.

LA COLONNA SONORA DELLA RIVOLUZIONE Negli Stati Uniti la Contestazione iniziò nell’Università di Berkeley già nei primi anni ’60 attraverso la figura di un alter ego del già menzionato Mario Capanna, Mario Savio. Quest’ultimo, di chiare origini italiane, aveva, oltre al nome, anche una comune provenienza cattolica: se Capanna aveva studiato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Savio nel 1963 cooperò con un’organizzazione cattolica in Messico e successivamente collaborò con un’organizzazione umanitaria nel Mississippi (la “Freedom Summer Project”) nell’alleviare la situazione precaria degli afro-americani.

Nel 1964 Mario Savio fu uno degli artefici della rivolta studentesca nel campus di Berkeley. I temi propugnati con veemenza a Berkeley da colui che fu considerato il leader del Free Speech Movement erano quelli fatti propri dalla Rivoluzione sessantottina in tante altre parti del mondo: il rifiuto e la contestazione della guerra in Vietnam, l’anti-autoritarismo e il pacifismo, la denuncia di ogni sorta di discriminazione, la ribellione contro una società borghese e il rifiuto di tutti i suoi valori. Anche la musica pop (contrazione dalla radice popular) di quegli anni non poteva non risentire di quel clima di protesta, di contestazione, di liberazione e nasceva dalla fusione di generi diversi: dal blues al rock’n’roll, dal folk al rhytm’n blues solo per citarne alcuni[3].

Questa nuova musica pop diventava così la colonna sonora del ’68, unitamente all’emblematico e caratteristico slogan libertario: “Libera mente, liberi corpi, libera droga”. Negli Stati Uniti Jim Morrison (1943-1971), leader e vocalist dei Doors, gridava la ribellione contro ogni autorità e inveiva contro la possibilità di dialogo con la generazione dei padri cantando: “Padre, ti voglio uccidere”[4]. Analogamente in Inghilterra il gruppo degli Who cantavano in My generation l’odio contro le generazioni passate, devastando strumenti musicali sul palco, stanze d’albergo, testimoniando il carattere violento, intransigente e radicale del loro modo di vivere, come si evince dai loro testi: “Cercano di buttarci giù solo perché siamo in giro. Le cose sono così terribilmente fredde. Spero di morire prima di diventare vecchio”[5]. Gli Who, dal 1965 in poi, diventeranno così il simbolo giovanile dei mods (dalla radice modernism) ed anche nel modo di vestire rappresenteranno le istanze più estreme del proletariato giovanile che in loro e simili gruppi si riconosceva.

Non vanno dimenticate però alcune cifre per dare l’idea dell’ampiezza e della popolarità di questi gruppi: sia i Doors sia gli Who hanno venduto più di 100 milioni di dischi, anche se entrambe le band hanno dovuto pagare questo loro modo violento e rivoluzionario di porsi con le morti di Jim Morrison (1971) prima e del batterista inglese degli Who Keith Moon (1946-1978) poi. Epiloghi drammatici e violenti, a testimoniare la “cultura trasgressiva e di morte” di molti altri personaggi musicali dell’epoca: Jimi Hendrix (1942-1970), uno dei più grandi chitarristi neri del rock, Janis Joplin (1943-1970), una delle voci bianche blues più apprezzate dell’epoca, Brian Jones (1942-1969), uno dei fondatori del celebre gruppo Rolling Stones e così via per molti altri protagonisti della febbre rivoluzionaria. Le cause delle loro morti erano spesso attribuite all’abuso di sostanze stupefacenti o alcol che avevano comportato nel tempo la distruzione di organi come il fegato, il cuore e lo stesso cervello. Emblematica in questo senso è stata la figura di Syd Barrett (1946-2006), il fondatore del gruppo psichedelico dei Pink Floyd, che già nel 1968 dovette lasciare il celeberrimo gruppo inglese per evidenti problemi mentali, dovuti soprattutto all’abuso di sostanze allucinogene come l’LSD.

 

 


 

 

[1] Mario Capanna, “Formidabili quegli anni” (Rizzoli)

[2] Plinio Correa de Oliveira, “Rivoluzione e Controrivoluzione” (Edizioni dell’Albero)

[3] Roberto Cacciotto-Claudio Garbari, “Note di pop americano” (Gammalibri)

[4] ibidem

[5] Roberto Cacciotto-Giancarlo Radice, “Note di pop inglese” (Gammalibri)

4 commenti su “Il Sessantotto e la musica: l’allucinazione al potere – di Fabio Trevisan”

  1. Parlare del 68 è come parlare di un’onda anomala che trascina tutto, per cui, dopo, niente è più come prima. Nella storia ci sono sempre stati movimenti che hanno influenzato la vita materiale e spirituale delle persone, ma non in maniera così pervasiva e venefica come è avvenuto per il ’68. Ciò ci fa capire la natura luciferina del fatto e il suo obiettivo principale: la distruzione dell’ordine naturale voluto da Dio e il capovolgimento della ragione. Oggi si parla del ’68 come di un evento di massima importanza, come mi ha riferito mio nipote, liceale dell’ultimo anno,dopo una conferenza promossa dalla sua scuola. Non ho voluto sapere nient’altro perché mi è venuto subito il sangue agli occhi, ma mi fanno pena questi poveri giovani, nipoti di gente scalmanata e senza Dio che ai tempi dei miei primi anni universitari faceva il bello e il cattivo tempo nelle facoltà. Ne conservo ancora un ricordo nauseante. Ma come mai la catastrofe si è verificata proprio in quella data? Mi disse un sacerdote qualche tempo fa: “finché è vissuto P.Pio è stato come se avesse trattenuto tutto…

  2. … Padre Pio diceva: Voglio essere soltanto un povero frate che prega… “L’orante è forza che contribuisce alla salvezza di tutti. E’ su questo livello del mondo dello spirito che noi vediamo Padre Pio al lavoro per sollevare fino a Cristo la presente società ammalata e indigente nello spirito. Padre Pio è una figura biblica del nostro tempo a favore del popolo di Dio che – come Abramo sulle rocce di Mambre, come Mosè sulla vetta dell’Oreb – dal Gargano, con la sua preghiera di immolazione ieri, quella che continua ora dal Cielo e quella di oggi, esplica l’azione richiesta per scongiurare la catastrofe che ci sovrasta; padre Pio diceva: ” Secolo peggiore non potevate nascere… i figli dei vostri figli non avranno più lacrime per piangere i
    peccati dei loro genitori”. Stimolava così i suoi figli spirituali per la preghiera insistente, per scongiurare la perdita di tante anime. Padre Pio nei suoi “incontri e scontri” di preghiera con Dio, aveva parole di fuoco che domandavano tutto il mondo, …continua

  3. continua…tutti i peccatori e vedendo che la sua orazione non bastava a rimuovere l’enorme masso di peccati del Secolo, mobilitò gli oranti a grappoli in tutto il mondo, per essere aiutato nello sforzo di salvezza per il genere umano per “fare dolce violenza al Cuore del Signore per un più grande avvento di bene ai singoli, alla società, alla Chiesa Cattolica”.
    (Don Nello Castello, Figlio spirituale di padre Pio – I Gruppi di Preghiera di padre Pio. 1982 edizioni. Casa Sollievo Sofferenza)… Morto San Pio da Pietrelcina, continuiamo a pregare…

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