Il Sessantotto e la musica (quinta e ultima parte) – di Fabio Trevisan

LA RIVOLUZIONE O CONTESTAZIONE DEL ’68 NON E’ CIRCOSCRIVIBILE SOLTANTO AD ALCUNI AMBITI SOCIO-POLITICI, IN QUANTO HA INFLUENZATO IL MODO DI ESSERE, DI VIVERE E DI PENSARE DI INTERE GENERAZIONI, COMPRESA QUELLA PRESENTE. SI PUO’ PARLARE QUINDI DEL ’68 ANALIZZANDO LA RIVOLUZIONE SESSUALE E DEI COSTUMI, OPPURE LA CRITICA ALLE ISTITUZIONI (STATO, SCUOLA, ECC.) SFOCIATA NEI DISORDINI E NELLE OCCUPAZIONI. IL ’68 HA MUTATO ANCHE L’ARTE, LA MUSICA, LA LETTERATURA, IL TEATRO ED E’ STATO SOPRATTUTTO UNA RIVOLTA CONTRO L’AUTORITA’ (LA FAMIGLIA TRADIZIONALE IN PRIMIS, IL RUOLO DEL PADRE). CON IL ’68 SI SONO INTENSIFICATE LE LOTTE DEL FEMMINISMO, LE BATTAGLIE POLITICHE E SOCIALI, L’ESALTAZIONE DEI DIRITTI. IL CONCETTO DI “LIBERAZIONE” CHE HA CARATTERIZZATO LA CONTESTAZIONE SESSANTOTTINA SI PUO’ SINTETIZZARE ANCHE ATTRAVERSO SLOGAN, COME AD ESEMPIO: “VIETATO VIETARE”, “IMMAGINAZIONE AL POTERE”, “LIBERI CORPI, LIBERE IDEE”. ESSENDO IL ’68 UN FENOMENO PERVASIVO CHE HA ATTRAVERSATO INNUMEREVOLI AMBITI, IL NOSTRO INTENTO NON PUO’ ESSERE QUELLO ESAUSTIVO, DATI GLI INNUMEREVOLI RIMANDI A TUTTE LE SFERE DELL’ESISTENZA. TRATTEREMO PERTANTO ALCUNI TEMI LEGATI AL ’68, LASCIANDO APERTO IL DIBATTITO SULLE CAUSE (REMOTE E PROSSIME) E SUGLI EFFETTI CHE ANCORA STIAMO VIVENDO.

 

 

La scena italiana

Dal punto di vista musicale l’Italia ha vissuto pienamente il fenomeno beat dall’inizio degli anni ’60 scopiazzando i più famosi complessi inglesi (a partire soprattutto dai Beatles) o americani (ad esempio il rock’n’roll di Elvis Presley). Persino nella pronuncia, dall’articolo al verbo, dai sostantivi ai pronomi, Shel Shapiro dei Rokes masticava un idioma anglo-italico in Ma che colpa abbiamo noi. Anche nella scelta dei nomi dei complessi, nell’abbigliamento, nelle acconciature, nelle tematiche di protesta il riferimento era a quei Paesi anglosassoni: i Ribelli cantavano con Demetrio Stratos la famosa Pugni chiusi, i Corvi l’altrettanto celebre Ragazzo di strada, i Nomadi gridavano con Francesco Guccini Dio è morto, l’Equipe 84 , che nell’abbigliamento richiamava la cultura hippie dei “figli dei fiori”, eseguiva delle cover di artisti come Cher o come il gruppo inglese dei Move (rispettivamente con Bang bang! e Tutta la mia città). Altri gruppi, come i New Trolls, hanno fatto da tramite per il passaggio dall’età del beat a quella del rock progressive (ai primi anni ’70 emergevano in particolare gruppi come la Premiata Forneria Marconi, il Banco del Mutuo Soccorso, le Orme).

Dal punto di vista della canzone di protesta emergevano cantautori che riprendevano temi classici della rivoluzione sessantottina, come la sessualità, la droga, la tutela dell’ambiente, il pacifismo, l’emarginazione sociale e politica, con riferimenti anche ai chansonnier francesi (si veda ad esempio la cosiddetta “scuola di Genova” con Fabrizio De André, Bruno Lauzi). Anche la “scuola emiliana” ha rimarcato la protesta del ’68 colorandola di venature esistenziali e politiche a sinistra (Claudio Lolli, Francesco Guccini).

Quello che ha contraddistinto il ’68 musicale italiano è stata però la canzone politica, dove l’esplicito e costante riferimento marxista ha ideologicamente sostituito (o accompagnato) l’ideologia libertaria tipica dei Paesi anglosassoni. La militanza politica in gruppi anche extraparlamentari come Lotta Continua o Potere Operaio, che poi ha condotto negli anni ’70 agli “anni di piombo” del terrorismo, ha avuto come cassa di risonanza anche la musica, ad esempio quella di Paolo Pietrangeli nell’emblematica “Mio caro padrone domani ti sparo” del 1969 o del suo secondo LP dal titolo inequivocabile: “Karlmarxstrasse”.

Giovanna Marini e il Canzoniere italiano hanno interpretato radicalmente le istanze del Movimento Studentesco anche con il recupero di vecchie ballate e di musiche popolari antiche. Fausto Amodei, con quella sua “voce armata” fungeva da altoparlante ai vari sommovimenti rivoluzionari, come ad esempio i tumulti popolari di Reggio Emilia del 1960, soffocati nel sangue dalle forze dell’ordine. Gualtiero Bertelli portava nelle canzoni le problematiche della fabbrica e del lavoro, condannando senza appello la civiltà industriale e borghese. Ivan Della Mea iniziò la carriera musicando le lettere di un condannato a morte della Resistenza e successivamente tratteggiando fatti di drammatica cronaca politica. Gli Stormy Six celebreranno l’anniversario della “mitica Resistenza” con brani come Stalingrado, La fabbrica. Canzoni come Contessa (di Paolo Pietrangeli, diventata una sorta di inno fatto risuonare nelle Feste dell’Unità) o Violenza (registrata da Pino Masi ad un Convegno nazionale di Lotta Continua) o come La ballata del Pinelli, ebbero come sfondo il grido violento del proletariato militante che di lì a poco si tramuterà in terrore: “Calabresi ritorna in ufficio però adesso non è più tranquillo…” e ancora in Compagno Franceschi: “Compagno Franceschi sarai vendicato dalla giustizia del proletariato…”.

 

Conclusioni

Quella che è stata la Contestazione o la Rivoluzione del ’68 è ancora possibile udirla, ascoltandone la “colonna sonora” negli allora dischi di vinile dei primi vagiti beat o rock’n’roll. Questa originale musica pop-rock ha conosciuto sin dalle origini varie contaminazioni (con il blues, con il jazz, con il folk, con la musica classica e persino con il country) per approdare a nuovi generi musicali come il rock progressive fino alla musica cosmica, psichedelica e elettronica. In tutti questi generi musicali si possono ancora leggere in filigrana le proposte utopistiche e libertarie di una generazione che ha tentato di abbattere innanzitutto una metafisica razionale e un pensiero logico attraverso sensazioni, sogni, illusioni, urla di disperazione e di disprezzo, spesso veicolate dall’uso di sostanze stupefacenti.

Lo stravolgimento della morale comune, dell’educazione e dei costumi non ha potuto che rivolgersi in primis contro la famiglia e l’autorità dei “padri” tanto che si può parlare, attraverso la sub-cultura hippie, di “rivoluzione sessuale”. Gli effetti della Contestazione sessantottina hanno avuto come sicuro riferimento e causa i poeti della Beat Generation ( i loro temi, le loro esperienze, il loro stile di vita) per quanto riguarda gli Stati Uniti. Credo che la guerra del Vietnam e il blues, come stile per sottolineare l’oppressione e ogni sorta di discriminazione, siano stati solo occasioni per far esplodere la “mina vagante” della Contestazione, che è stata, lo ribadisco, essenzialmente una Rivoluzione totale, pervasiva, dominante (nonostante gli apparenti insuccessi conseguenti al sorgere di nuove espressioni musicali, i suicidi, le morti violenti di alcuni protagonisti).

In questo senso vanno interpretate le musiche dei gruppi hard rock o heavy metal come ad esempio i Black Sabbath, gli Uriah Heep, gli AC/DC, gli Iron Maiden, solo per citarne alcuni, che sin dalla scelta dei nomi hanno inteso manifestare un’opposizione esplicita con riferimenti satanici e sessuali molto evidenti. Anche il gruppo britannico punk dei Sex Pistols ha incarnato l’esito nichilistico di una visione del mondo libertaria fino agli eccessi e così come altri gruppi o solisti che si sono succeduti a suffragare, seppur con musicalità diverse, l’impeto rivoluzionario del ’68.

A questo grido di protesta libertaria si è intrecciata, soprattutto in Italia, la canzone politica di chiara origine marxista, con l’inevitabile corollario violento e terroristico. A chi crede che questa tipologia di Rivoluzione sia terminata mi permetto di sottolineare e far presente come la dissoluzione della famiglia, l’esaltazione dei “diritti” anche sessuali, la negazione del principio d’autorità abbiano avuto, soprattutto ai nostri tempi, un’accelerazione socio-politica e culturale inimmaginabile, collegabile alle istanze e rivendicazioni del ‘68. Quei “formidabili anni” così pregnanti di sogni e illusioni non sono definitivamente tramontati, magari come qualcuno pensava erroneamente con il crollo dell’impero social-comunista, ma sopravvivono nei cuori e nelle menti di molte persone, nei cambiamenti di costume, di mode, di riferimenti culturali e anche musicali poiché il processo rivoluzionario continua attraverso tappe, luoghi, riti e infinite trasformazioni. Gli stili musicali possono cambiare ma l’essenza della Contestazione rimane.

La Rivoluzione del ’68, seppur celata, apparentemente meno aggressiva, prosegue ancor oggi il suo cammino sovversivo, la sua canzone di protesta.

6 commenti su “Il Sessantotto e la musica (quinta e ultima parte) – di Fabio Trevisan”

  1. Credo di averlo già detto un’altra volta: forse sono nata vecchia. Perché questa rivoluzione totale che ha investito il mondo in ogni ambito del vivere, l’ho sempre rifiutata in pieno, compreso l’ambito musicale che qui viene così ben descritto e che in vero conosco davvero poco. Ricordo ancora con sconcerto i miei primi anni universitari (subito dopo il ’68) con la facoltà occupata, con gente che orgogliosamente si laureava discutendo tesi su Simone de Bouvoir, con colleghe di corso innamorate pazze di de André; ricordo il mio sentirmi quasi sempre pesce fuor d’acqua in mezzo a quel mondo sottosopra. Sì, sono nata vecchia, tanto che persino certi canti della nuova messa (ora che vecchia lo sono davvero), per quel loro avvicinarsi al linguaggio del tempo, ancora mi danno fastidio: “…lotta per un mondo nuovo, lotta per la libertà…” Mah… hai voglia a invocare “vieni o Madre in mezzo a noi, vieni Maria quaggiù”, quando il mondo nuovo, la lotta e la libertà non sono per liberarsi del peccato e aspirare al Cielo, ma per adeguarsi, ahime, alla mefitica aria generale.

  2. Come sempre, attento, scrupoloso e certosino il nostro Fabio Trevisan. In occasione del precedente articolo sull’argomento, avanzavo un’analisi, molto rudimentale, prendendo come esempio gli Yes. Stavolta, prendo a metro di misura sempre una band britannica, gli Iron Maiden. La band di Steve Harris può considerarsi come la madre del nuovo genere musicale che nasce come prosieguo naturale della scena lisergica dei ’60 e ’70. Partiti con il vocalist Paul Di Anno, sfornano due dischi che, per i cultori del genere, rimangono due manifesti cultura popolari, Iron Maiden e Killers. L’arrivo di Bruce Dickinson, geniale quanto sulfureo artista del canto, permetterà la consacrazione definitiva. I Maiden hanno sempre giocato sul piano dicotomico: una propensione verso la dimensione esoterico-occultistica e una verso la cultura letterario-cinematografica. Marco Respinti, in un articolo di qualche anno fa, poco chiaro, li definì campioni del citazionismo: Shakespeare, Huxley, Chesterton, Tolkien, Lewis, Crowley…di tutto, di più. Cosa non si fa per passare per dotti!

  3. Nell’oceano di superficialità, luoghi comuni e ignoranza che questo articolo mette in mostra, cercate di salvare almeno la grammatica: rock progressive è un errore di inglese da terza elementare (italiana). Si chiama rock progressivo o se volete esibire il vostro perfetto inglese progressive rock. E complimenti per la censura continua dei commenti.

    1. Bravo ozzy, tu sì che sei un vero anticonformista (come il tuo omonimo che citi nel nick). O forse gli anticonformisti veri siamo noi? You can answer my question in English if you prefer, you don’t think all Catholic conservatives are illiterate, don’t you?

  4. Bravissimo Trevisan e bravi i due commentatori Tonietta e Feder. Anch’io sono “vecchio dentro” (e mi avvio ad esserlo, purtroppo, anche fuori; e me l’hanno sempre detto, più o meno scherzosamente. Ora però che all’ardore giovanile subentra un po’ di pacata saggezza (o almeno di buonsenso), non mi pento di esserlo stato: non ho buttato via la mia vita come hanno fatto molti coetanei, allora “popolari”, oggi, spiantati o disperati. Ringrazio Dio per questo e prego per loro, oltre che per i giovani di oggi, che scemi non sono; hanno solo bisogno di una guida e di valori veri. Certo, se aspettiamo Bergoglio, stiamo freschi.

  5. Grazie all’acida provocazione di ozzy rispondo, non certamente per difendere chi non deve difendersi da nulla, ma perché mi si dà l’occasione di protestare contro questo imperativo che ci vuole tutti anglofoni. E allora grido basta, ché anche di questo parossismo non se ne può più! Non puoi muoverti e non vai da nessuna parte se non sai l’inglese. Bene, e allora, come ci comandano, appiattiamoci, omologhiamoci, globalizziamoci e inglesizziamoci, anche noi italiani, possessori della lingua più bella del mondo, ricca di sfumature, di parole e di costrutti che esprimono persino il sublime e l’infinito. Obbediamo e pieghiamoci di fronte a una lingua povera, scarsa e insufficiente e soprattutto non disattendiamone l’ortografia; realizzeremo finalmente la società degli uguali: pecoroni dello stesso gregge, belante universalmente allo stesso modo. Rigorosamente in inglese, però.

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