IL SUICIDIO POLITICO DI BERLUSCONI – di Piero Nicola

di Piero Nicola


 

Il suicidio implica la fine; invece, finché c’è vita c’è speranza. Nessuno conosce l’avvenire degli individui, nonostante le loro determinate nature e le loro formazioni.

Sicché sarebbe più giusto usare altre espressioni, come l’essersi tagliato le gambe, l’essersi reso perdente, per un annebbiamento dell’intelletto, per aver smarrito l’orientamento. L’essersi tagliato fuori, con ogni probabilità, irrimediabilmente, è dunque un suicidio metaforico e per iperbole.

berlLo storico passo indietro compiuto da Berlusconi circa tre mesi fa – quel farsi da parte, prima a lungo preteso, come dovuto e necessario, dai suoi animosi antagonisti – oggettivamente fu provocato dal venir meno di una maggioranza parlamentare. Con ragione, egli e i suoi accoliti pronunciarono, una volta o due, l’accusa di tradimento, tradimento che era stato un seguito della defezione finiana. La guerra – chiamarla guerra è però un eufemismo troppo schietto – sostenuta contro la magistratura, contro Fini, contro la sinistra ed il centro, contro congreghe forti, contro stampa e televisione, contro gli intellettuali corretti, contro le ostruzioni poste da vertici dello stato, quella guerra era perduta; e il Cavaliere non la perse sul campo, per sfiducia del parlamento. Può darsi non fosse una mossa del tutto sbagliata ritirarsi così imbattuto, a condizione che su questo ritiro, accettato o sollecitato da Napolitano, si facesse leva a tempo opportuno. Invece la carta non venne più giocata con profitto.

Subito, Berlusconi dimissionario, dichiarò di lasciare il posto responsabilmente, generosamente, per il bene comune; dunque, lo cedeva a chi avrebbe potuto attuare quello che egli non era stato in grado di attuare, quello che era indispensabile per la salvezza del paese. Cominciava l’autolesionismo. E apparve ragionevole il sospetto che qualcuno e qualcosa, un ricatto, l’avessero obbligato ad andare oltre alla semplice giustificazione della perdita della maggioranza alla Camera: culmine dei complotti perpetrati ai suoi danni. Era pure evidente che Monti, data la sua storia, la sua posizione e l’intesa con Napolitano e con Bruxelles, non avrebbe neppure tenuto a galla il Bel Paese dove il sì suona.

Il Cavaliere si illuse che il professore, avendo modo di provvedere assai liberamente con un governo tecnico, sostenuto da destra e da sinistra in nome del dilemma: o mi si lascia fare o si precipita tutti quanti, s’illuse, dicevo, di tornare poi a cose sistemate? Se andò così, presto poté ricredersi. Sarà bene ricordare una sua uscita, singolarmente sola, con cui osservava che avrebbe dovuto aspettarsi d’essere richiamato al governo, visto che il ministero tecnico non cavava un ragno dal buco, lo spread cresceva, la recessione durava e le misure previste avrebbero depresso ancor più l’economia: o erano leggi inutili, o controproducenti, o avrebbe potuto adottarle lui, Berlusconi. Egli era legittimato dalle elezioni, intatto rispetto alla sfiducia. Meglio il suo gabinetto politico, che un gabinetto tecnico non votato dal popolo, che non doveva rispondere a un elettorato, a nessuno, e rendeva la politica quasi superflua, se non squalificata, almeno nei momenti di crisi acuta. Tutto questo era compendiato nella sua esternazione.

Fu un fuoco di paglia, un passo ardito che doveva precedere una sùbita remissione, un lasciar perdere cui eravamo amaramente abituati. Probabilmente, intervennero di nuovo le forze che in precedenza lo avevano dominato.

Intanto, il super-tecnico Mario aveva avuto l’appoggio dei potenti, della troica finanziaria, degli organi di informazione, di opinione e compagnia bella. Egli era diventato il salva-Italia, e persino il suo programma cresci-Italia veniva propinato in una coppa convincente, pur essendo un intruglio spaventoso. Ci si era presto dimenticati di quello zio del grande sindacalista, a detta del quale, il suo oscuro parente avrebbe potuto benissimo sostituire il professore in ciò che stava mettendo in pratica.

In realtà, gli interessi pagati sul debito pubblico rimanevano troppo alti, potevano tornare ai picchi precedenti, quando i giocatori planetari lo avessero voluto, le tasse aumentate e le pensioni diminuite non davano speranza di ripresa, il cappio dell’Euro restava intorno al collo italiano; la situazione era cambiata in peggio, senza prospettive di risalita. Eppure Berlusconi, insensibile al pungolo e alle minacce di Bossi, persisteva a lodare il proprio passo indietro e l’operare di Monti, diventando sempre più piccolo nella mente popolare, come sembra oggi dimostrato dai sondaggi demoscopici.

Qui, in questi giorni, sopravviene il colpo mortale, il getto a corpo morto sulla spada pagana, sostenuta dal pallido Alfano: bravo faccione colorito e, dentro, scialbo come un melone deludente.

È avvenuto che il cavaliere feritore di se stesso e il suo scudiero non hanno smentito, risoluti, con piglio virile e voce altisonante, la miseranda notizia secondo la quale, a legislatura scaduta, alle elezioni del 2013, potrebbero stringere alleanza con Monti. Essi hanno avuto le traveggole, non avendo visto che un Monti partecipe della politica, entrato nell’agone elettorale, scalza automaticamente ogni socio, come il gallo più grosso scaccia gli altri galli dal pollaio.

Sono balordaggini queste, che lasciano il segno, sono scivolate da cui si esce con le ossa rotte. E il segno, sui segni precedenti, è adesso un marchio. Le fratture sulle fratture hanno storpiato l’uomo. Non c’è tattica che tenga, sia per smuovere la Lega che per un’altra mira. Monti che ha retto, poniamo, fino all’apertura dei seggi nazionali, perché dovrebbe spendersi fiancheggiando il Berlusca? Un bambinello se lo chiederebbe.

Avrà avuto ragione Montanelli (per il quale non ho mai avuto simpatia) quando prediceva al Cavaliere che la politica non era per lui e, come una piovra, lo avrebbe stritolato, fagocitato ed espulso? La previsione avrà tardato ad avverarsi, ma che si sia avverata restano pochi dubbi. I professionisti dei partiti e tutto il mondo che sta loro sopra sotto e intorno, hanno stretto il Cavaliere in un cerchio divenuto una morsa, cui egli si è piegato penosamente, storditamente, incapace anche di venirne via. I moti del suo bravo riscuotersi saltuario, che è onesto riconoscergli, non reggevano alla stretta minacciosa; e sembrano ormai in via di esaurimento.

Non sarebbe grave la perdita di uno che ha per motto la libertà indefinita, liberale, di uno per niente esemplare nella vita privata. Sennonché egli era forse il meno peggio, essendo rispettoso di alcuni valori cristiani calpestati dagli altri. Era il capo di un ministro cattolico intemerato e impavido, Giovanardi; sebbene lo fosse anche di una Carfagna e di una Gelmini. Contraddizione, sì: speranza di una felice piega assunta dai contrasti, di un rintuzzamento del male. Speranza spenta con il laico Monti, capo della Fornero fautrice della dignità omosessuale, capo di tutta una laicisssima compagine, in odore di dannazione.

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