INDAGINE SUL NICHILISMO. UN SAGGIO DI GIOVANNI CHIMIRRI – di Piero Vassallo

di Piero Vassallo


 

La cultura moderna, con la pretesa di fare dell’uomo l’essere supremo, lo ha privato di quella dimensione trascendente che costituiva il pilastro dei valori morali e spirituali. Il risultato conseguito è l’opposto di quello sperato: non l’uomo sul trono di Dio, ma l’uomo sul trono (abisso) del Nulla”. Battista Mondin

 

 

lcPensatore d’indirizzo rosminiano, lettore infaticabile e critico corrosivo dei testi filosofici più arcigni e nebulosi, Giovanni Chimirri (Legnano 1959) è uno fra i più qualificati esponenti della minoranza cattolica uscita indenne dalle avvolgenti e imperiose sabbie mobili del Sessantotto.

Del tutto legittimo è pertanto il riconoscimento dell’appartenenza di Chimirri all’avanguardia intellettuale, attrezzata e qualificata a ispezionare i tenebrosi labirinti, costruiti dagli apostati ultimi con l’intenzione di attirare, ingannare e deprimere gli indifesi uditori delle grancasse suonate dai poteri della dissoluzione totalitaria.

Respinte le tentazioni emanate dai complessi d’inferiorità, che turbano i cattolici modernizzanti e dialoganti, Chimirri dichiara risolutamente l’intenzione che governa la sua pungente critica: “Il nichilismo è certo un problema, ma non è l’insuperabile destino della modernità occidentale, come vogliono in troppi, becchini di una metafisica che usano loro malgrado e portantini di una bara dentro la quale non c’è nulla se non loro stessi” (Cfr. la Introduzione a “Teologia del nichilismo I vuoti dell’uomo e la fondazione metafisica dei valori”, Mimesis, Milano 2012).

Ora la difficoltà che incombe sugli esploratori del tenebroso/tortuoso pianeta nichilista dipende dalla vastità degli organi di comunicazione, che alzano fumi e nebbie per facilitare la missione del vuoto filosofante: cattedre confusionarie, case editrici eleusine, ossequiose terze pagine, televisioni scientifiche, riviste patinate, radio giovanili, porno-cinematografie, teatri desolanti, letterature-spazzatura, cabaret saccenti e urlanti.

Quale misura dell’oscurità organizzata intorno al nichilismo, Chimirri conclude l’introduzione citando un’acuta osservazione di Nicola Petruzzellis: “mentre il nichilismo di Gorgia nel V secolo a. C. era chiaro, quello dei nostri contemporanei si compiace di nuvole retoriche, si circonda di allusioni ed ammette implicitamente tesi contraddittorie“.

Nei primo dei tre robusti capitoli del saggio, “Il nichilismo come errore teologico e filosofico“, Chimirri ricostruisce il paradossale cammino filosofico indirizzato all’inversione dell’ontologia nel suo contrario e mostra le contraddizioni dei filosofi raccomandati dal potere culturale.

Patente, ad esempio, è il vaniloquio ateista (abracadabra, secondo Cornelio Fabro) di Emanuele Severino, rumoroso/incuboso girotondo tra l’essere e il nulla, che assomiglia alle notturne filastrocche del primo Dario Fo: “Dal nulla che cosa può trarre Dio? La creazione è creazione del divenire e quindi dell’annientamento. Il nulla da cui la creazione divina trae una parte o la totalità dell’ente creato è angosciante come il nulla a cui Dio destina con la morte ogni uomo”.

Di seguito Chimirri dimostra l’infondatezza del tentativo severiniano di superare il nichilismo mediante il ritorno a Parmenide, ossia all’affermazione che l’essere è necessario, immutabile, indivisibile, inseparabile, eterno.

Severino, infatti, nega il movimento e di conseguenza propone una nuova, surreale figure del paradosso eleatico: “quando vediamo una lanterna accesa che poi si spegne noi non vediamo affatto il mutamento di una cosa che diventa un’altra cosa ma vediamo solo scomparire qualcosa dal nostro orizzonte e vediamo poi riapparire una lanterna spenta”.

Chimirri afferma che “se ci fermiamo al divenire del mondo senza cercare un principio fuori-del-mondo, allora non potremo mai risolvere le sue contraddizioni, e se tutto e proprio tutto fosse qualcosa di solamente mondano e contingente, allora  tutto sarebbe in divenire e per  questo tutto sarebbe davvero contraddittorio perché compromesso radicalmente col nulla“.

L’esito fallimentare del parmenidismo severiniano dimostra che il qualunque tentativo di escludere l’Essere assoluto dalla filosofia è destinato ad attraversare il labirinto dei paradossi dell’antica Grecia prima di cadere nel nichilismo. Non per niente Jean Paul Sartre, da un inizio parmenideo, era arrivato alla conclusione che non c’è differenza alcune tra la vita dell’eroe e la vita dell’ubriacone.

Fallimentare è di conseguenza anche il tentativo, compiuto da un allievo di Heidegger, Wilhelm Weischedel (1905-1975) di fondare un’etica scettica (nichilista) quale alternativa all’etica forte a fondamento metafisico. Chimirri, infatti, rammenta la confessione del pensatore tedesco secondo cui “lo scettico, il cui atteggiamento fondamentale è il distacco, accetterà la caducità anche se con dolore. … L’esistenza dello scettico è pervasa dalla tristezza e dalla malinconia”. Se non che il distacco dello scettico è insensato: “per quale motivo io dovrei vivere con distacco se poi non posso davvero fondarlo, non possedendo alcuna verità metafisica? Se questo mondo è il tutto allora dovrei vivere anzi con l’atteggiamento opposto, che è quello dell’attaccamento, dell’interesse individuale ecc.”.

Un saggio di elegante scrittura filosofica è infine il capitolo dedicato al nichilismo come malattia della coscienza, un’indagine sagace, che ha per centro la disperata (ma gratuita) definizione di Nietzsche, secondo cui il mondo (il tutto) rotola senza una ragione.

La lettura del saggio di Chimirri è un’occasione per disintossicare la mente dei nomadi nella modernità dal perpetuo suono della chiacchiera anticristiana e dal fiume di immagini che rappresentano la fatalità dei vizi e degli orrori.

 

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