“Integrazione”, magico vocabolo – di Carlo Gartella

di Carlo Gartella

 

dnvltE’ probabile che convenga iniziare la qualunque discussione dall’esame della parola indicante l’oggetto del contendere. Nel caso fosse tollerato un tale procedimento converrebbe rammentare che “integrazione” significa rendere completo. Dunque integrare uno straniero – nella lingua italiana e nel giudizio conforme a ragione – signfica completare l’italianità dello straniero che desidera diventare nostro concittadino.

 Ora l’integrazione di parola rinvia al puntuale concetto di integrazione di fatto: integrare significa aiutare l’immigrato che lo desidera a diventare italiano a tutti gli effetti, vale a dire insegnarli (almeno) a parlare la lingua italiana, a conoscere e rispettare le leggi italiane, a non disprezzare le usanze e le tradizioni italiane e a esercitare un onesto mestiere.

 La memoria storica insegna che l’integrazione è un compito non facile. L’Italia, infatti, è stata più volte teatro di integrazioni sommamente difficili e a volte mancate, ad esempio l’integrazione dei Galli, dei Cartaginesi, dei Longobardi, degli Islamici.

 E’ ingenuo sostenere che i fallimenti delle integrazioni tentate nel passato siano causati da resistenze superate dai nuovi tempi. Il qualunque abitante di una grande o media città italiana sa che l’integrazione è, ancor oggi, un compito arduo e spinoso.

 La redazione di Riscossa cristiana non mette avanti la pretesa di risolvere il problema posto dalla tragedia degli africani in fuga dalle guerre in atto nei loro paesi. Tanto meno nega l’obbligo cristiano di ospitare il numero di esuli che il nostro territorio può reggere senza reciproco danno.

 Non è ragionevole tuttavia stendere davanti agli occhi degli italiani un velo di buonismo ottenebrante al fine di nascondere le difficoltà connesse con l’integrazione di stranieri. Men che meno è ragionevole rovesciare il problema e predicare l’integrazione alla rovescia e progettare, ad esempio, la demenziale trasformazione degli italiani in congolesi.

 La retorica infantile, che trasforma magicamente gli immigrati in legittimi missionari della loro cultura capovolge la realtà e mette in scena i fantasmi delle passate e fortunatamente fallite invasioni dei Galli, dei Cartaginesi, dei Longobardi e degli Islamici.

 Forse non è inutile rammentare che ove i Galli e i Cartaginesi avessero imposto agli italici la loro cultura nel nostro territorio si sarebbero praticati i sacrifici umani. Ove i Longobardi non si fossero integrati, l’Italia avrebbe subito, per non si sa quanti secoli, le leggi barbariche scritte nell’editto di Rotari, un testo che gli italiani farebbero bene a consultare tutte le volte che sono tentati di calunniare l’antica patria del diritto. E se gli Islamici non fossero stati allontanati dalla penisola o integrati la famiglia italiana sarebbe poligamica.

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