«Una parte della popolazione la terrorizzano, ma l’altra parte la comprano!»: così un cristiano iracheno ha descritto la strategia seguita dai terroristi dell’Isis nella sua terra. Terroristi, che possono far conto su un’enorme disponibilità di denaro. Troppo, per quel gruppuscolo fondato nel 2003, soltanto 11 anni fa, ed oggi divenuto anche economicamente il più potente al mondo: già allora sapeva di poter contare sul sostegno dei «generosi benefattori» sauditi. Un sostegno ritenuto «ambiguo» da David Rigoulet-Roze, ricercatore dell’Ifas-Istituto francese d’analisi strategica, nonché dell’Ipse-Istituto di Prospettiva e Sicurezza in Europa: ai microfoni di Radio Vaticana ha dichiarato ch’è impossibile sapere se tali fondi rispondano «direttamente al governo saudita o a ricche famiglie», che potrebbero aver agito«in modo indipendente». Di certo quei soldi furono concessi con l’intento di danneggiare i regimi sciiti di Bachar al-Assad in Siria e di Nouri al-Maliki in Iraq. Ma l’aver constatato quanto e quanto rapidamente l’Isis sia cresciuto in potenza, pare abbia spaventato anche i suoi stessi donatori. Tanto da spingere lo scorso giugno il re saudita Abdallah a denunciare ufficialmente l’organizzazione terroristica islamica, temendo che prima o poi possa rappresentare un pericolo anche per lui.
La tensione, ora, è alle stelle, specie alla frontiera irachena, nei pressi della località di Arar, dove – per evitare sorprese – l’esercito saudita ha dispiegato 30 mila soldati, per lo più egiziani o pachistani, diffidando dei propri connazionali, alcuni dei quali son già passati nelle milizie jihadiste. Nel frattempo, l’Isis si è fatto le ossa, anche dal punto di vista economico, raggiungendo la completa e totale autosufficienza.
Secondo quanto riportato dall’agenzia Aleteia, ad oggi si stima che possa contare su di un capitale di circa 2 miliardi di euro. Non solo: ogni giorno, dalle tasse imposte alle minoranze religiose e dai diritti di passaggio sulle strade, intascherebbe un milione di dollari. Senza parlare degli ingenti proventi derivanti da razzie e saccheggi. Ma soprattutto la sua principale fonte di reddito è il petrolio estratto dalle raffinerie che detiene, petrolio che rappresenta oltre la metà dei suoi introiti: riprenderne il controllo sarebbe importantissimo nella lotta al terrorismo islamico. Ma esiste davvero la volontà politica di farlo?
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fonte: NoCristianofobia
2 commenti su “Isis, un “impero” economico da 2 miliardi di euro”
Da sempre sappiamo che i veri stati canaglia sono Arabia Saudita e Qatar, oltrettutto finanziatori di quasi tutte le moschee costruite in Occidente e tutte di stampo wahabita.
Il loro primo alleato è l’America, altro stato canaglia. Per decenni sono stato un sostenitore USA, ma ormai da tempo mi sono arreso all’evidenza: un miscuglio di pressapochismo, “pasticcionismo”, superficialità, ma anche arroganza, incapacità e assenza di scupoli. Spiace, ma ormai l’unico spiraglio per la nostra civiltà è la Russia, almeno fino a questo momento. Poi chissà. Anche la Chiesa Cattolica dovrebbe esserlo, ma lasciamo perdere.
Purtoppo ci lamentiamo perchè Obama sta facendo pochissimo, tardi e a causa della forte pressione popolare (e politica) a seguito della decapitazione dei due giornalisti statunitensi e delle donne date forzatamente in spose ai guerriglieri dell’ISIS. Ma l’Europa cosa sta facendo? L’Italia cosa sta facendo? NIENTE. Gli americani hanno fatto qualche (circa 150-200) raid aereo contro installazioni dell’ISIS (con un certo successo tattico ma in pratica non cambiando quasi nulla strategicamente); e l’Europa? E l’Italia? Zero. Almeno gli americani qualcosa hanno fatto. Noi (diciamo la verità) abbiamo PAURA. Paura perchè qualche terrorista potrebbe farsi poi saltare per aria a Roma, e quindi chissenefrega se migliaia di cristiani vengono perseguitati in Iraq e Siria…. Tra chi fa poco e chi fa niente, onestamente è meglio chi fa poco. Alcune stime parlano di 80 mila guerriglieri dell’ISIS. Non si fermano mandando giubbotti antiproiettile e armi ai curdi (che poi chissà dove…