JAMES HILLMAN, APOLOGETA DELLA MALATTIA MENTALE E PALADINO DELLA VIOLENZA METROPOLITANA – di Piero Vassallo

di Piero Vassallo

 

 

lsFenomeno impropriamente detto fine delle ideologie, il collasso dello scientismo e la sua diaspora nel pensiero politeista, è l’esito fatale della rivoluzione compiuta da un astro chimerico, quella ossequiata/idolatrata filosofia dei lumi, che un linguaggio aggiornato dovrebbe definire riflettore  di antichi abbagli.

Attraversato il pensiero dialettico, superata l’ideologia rivoluzionaria, visitata la scolastica del sospetto e consumata la pratica psichedelica, il lungo viaggio della contraffatta luce discende infine nel sottosuolo neopagano.

A spegnere i magici lumi non è stato il grande nemico, ma la natura oscurante dell’abbaglio. La lanterna magica è refrattaria alla luce, et tenebrae eam comprehenderunt. L’antivangelo termina in un vangelo grottesco e vuoto.

Ora lo strabiliante ma prevedibile epilogo della rivoluzione illuministica si manifesta nel culto del mundus imaginalis e del pensiero notturno e delirante, che l’erede del sommo mistagogo svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961), l’americano James Hillman (1926-2011), officia in maniera esemplare, muovendosi in un vettore egizio-eleusino, con forte coloritura neognostica [1].

Dedotti da una lettura sbrigativa e anacronistica di Talete di Mileto (tutte le cose e gli stati d’animo sono dèi) e di Eraclito d’Efeso (l’anima è sconfinata), i capisaldi del sistema di Hillman costituiscono veri e propri argini alzati contro la ragione e il senso comune.

Dagli assiomi estorti agli enigmi dei presocratici consegue, infatti, il rifiuto categorico della razionalità e della padronanza di sé. In qualche modo Hillman  è il continuatore della guerra dichiarata dal francofortese Herbert Marcuse (1898-1979) ai princìpi di ragione riconosciuti dallo stagirita Aristotele.

Sulla via dell’irrazionalità mistica, Hillman avanza a tal punto da affermare che «morto Pan … i nostri istinti avevano perduto la loro luce e caddero facilmente nell’ascetismo, seguendo come un gregge senza ribellione istintuale il loro nuovo pastore, Cristo»[2].

Di qui l’esaltazione febbrile del mondo tenebroso e irreale, che pulsa nel sogno: «Il panico, soprattutto di notte, quando la cittadella s’oscura e l’io eroico dorme, è una diretta participation mystique alla natura, un’esperienza fondamentale, addirittura ontologica, del mondo vivo immerso nel terrore»[3].

Nel terrore notturno incuba la violenza omicida. In sotterranea sintonia con Hillmann, Alain Daniélou (1907-1994) sosteneva senza ritegno che “L’atto di uccidere è un atto responsabile, che dev’essere compiuto come un rito … è lo stesso per il sacrificio umano. Se vogliamo evitare guerre, cataclismi, ecatombi, dobbiamo offrire agli dèi delle vittime”. Chi assume un tale punto di vista riesce a vedere la funzione pacificatrice della morte violenta offerta dalle cliniche abortiste e eutanasiste, dagli spacci drogastici, dalle associazioni malavitose e dagli stragisti in libera uscita dalla psichiatria.

Non a torto l’esoterico autore delle note editoriali dichiara che Hillman «addita nel personalismo uno dei fardelli dominanti dell’epoca moderna» [4] e di conseguenza «vede gli atteggiamenti e le attività dello spirito … come una minaccia ai valori dell’anima»[5].

Poiché l’attività dello spirito presiede all’ordine della ragione che agisce attraverso l’io eroico, che agisce quale ostacolo al male, la psicologia politeista/iniziatica non tenterà più di mettere ordine negli spezzoni scismatici dell’anima irrazionale, ma si sforzerà di ammucchiare artisticamente i divini frammenti dell’inconscio “riconoscendo a ciascun dio i suoi diritti su quella porzione della coscienza, su quel sintomo, quel complesso e fantasia che hanno bisogno di uno sfondo archetipico[6].

Di conseguenza la psicoanalisi ultima promuove l’abbandono di ogni fantasia di cura e di guarigione. Tributario dello scientismo Sigmund Freud (1856-1939) usò la mitologia come una chiave interpretativa, che doveva disporre il sofferente alla liberazione dall’incubo.

Un passo avanti, Hillman considera l’incubo quale strumento doloroso-gioioso, indirizzato a liberare il daimon della malattia morale e a restaurare l’unità dell’anima mundi.

Dopo aver affermato che «il normale e l’anormale dovrebbero forse scambiarsi le case» e messo in evidenza che «da un’ottica secolare i miti andrebbero classificati come patologia criminale, mostruosità morale o disturbi della personalità», Hillman conclude che i miti descrivono modelli necessari, come sono necessarie le nostre imitazioni.

Più chiaramente: «Se volessimo esprimere con linguaggio teologico l’infirmitas dell’archetipo, diremmo che il Peccato originale si spiega con il peccato degli Originali»[7]. Questo significa che è inutile curare il malato, dunque che è opportuno valorizzare la malattia. Il sacro, infatti, scorrazza nelle scene delle stragi assurde consumate in Occidente da psicopatici valorizzati dall’avanguardia hillmaniana.

Il furore permissivista, aureo strumento dell’autodistruzione promossa dai finanzieri malthusiani, non ha bisogno d’altro per dilagare e trionfare.

La summa dell’opera di Hillman non è il sintomo inquietante di una farneticazione solitaria ma la selvaggia figura del mondo che tenta di sorgere sulle rovine della civiltà cristiana. Il mondo che alla follia non sa opporre altro che il divieto di vietare.




[1] James Hillman, “Fuochi blu”, Adelphi, Milano, 1997, pag. 79.

[2] Id., pag. 146.

[3] Id., pag. 147.

[4] Id., pag. 143.

[5] Id., pag. 169.

[6] Id. pag. 66.

[7] Id., pag. 225

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