LA BELLA ADDORMENTATA: IL NUOVO LIBRO DI ALESSANDRO GNOCCHI E MARIO PALMARO, NELLE RECENSIONI DEL PROF. ROBERTO DE MATTEI E DI PADRE SERAFINO LANZETTA.

Il nuovo libro di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II lalibro gnocchi palmaro Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà (Vallecchi, 2011, pp. 246, euro 12,50), è appena uscito e già suscita attenzione e discussioni, anche perché, pronte all’appello, si levano le prime voci sdegnate dei progressisti, singolari personaggi che difendono a spada tratta la libertà di espressione, purché si tratti solo della loro espressione. Qual è infatti la grave colpa di Gnocchi e Palmaro? Quella di affrontare di petto le problematiche sorte col Concilio Vaticano II, con quell’amore per la Chiesa che non può che portare ad essere chiari ed espliciti. Dopo decenni di apologetica del Concilio, che addirittura parlava di Chiesa “postconciliare” (come se dal Vaticano II fosse uscita una Nuova Chiesa), dopo i tentativi di “salvare” acriticamente il Concilio, parlando di una sua “cattiva applicazione”, e di fronte a una crisi gravissima e profonda della Chiesa cattolica, il libro La Bella Addormentata continua quel cammino intrapreso da Mons. Gherardini e dal prof. de Mattei. È un cammino scomodo, ma è anche l’unico che può riportare, con la guida della Tradizione, la Chiesa a uscire dal disordine e a ricordarsi che il suo compito non è “adeguarsi” secondo regole di marketing, ma custodire e annunciare al mondo la parola di Dio. Ci ricordiamo come si apre il “Simbolo di Sant’Atanasio”? Con la frase: “Chiunque vuol essere salvo deve anzitutto mantenersi nella fede cattolica”. Senza equivoci: fede cattolica. Si dice anche: la Vera Fede.

E’ un onore pubblicare due recensioni di questo bel libro: la prima scritta dal prof. Roberto de Mattei, la seconda da Padre Serafino Lanzetta. Lascio quindi la parola ad Autori ben più autorevoli del sottoscritto, e invito i lettori a procurarsi e a leggere il libro di Gnocchi e Palmaro. Si può acquistare comodamente anche on line, CLICCANDO QUI.

PD

 

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Il libro di Gnocchi e Palmaro: un eccellente contributo per comprendere quanto accadde a Roma tra l’11 ottobre del 1963 e l’8 dicembre del 1965, e soprattutto cosa avvenne nella Chiesa dopo quel fatidico triennio.


di Roberto de Mattei

 

su Il Foglio e Riscossa Cristiana

 

Tra meno di un anno celebreremo il mezzo secolo che ci separa dal Concilio Vaticano II, ma le polemiche che in questi giorni hanno accompagnato l’attribuzione del premio Acqui Storia al mio libro Il Concilio Vaticano II una storia mai scritta (Lindau 2010) confermano come quell’evento rappresenti un nodo storico ancora da sciogliere, soprattutto per il mondo cattolico. “Tutti constatano la crisi, ma nessuno vuol dire che è stato il Concilio Vaticano II a produrla: non con un gesto positivo ma con un gesto negativo: quello di non procedere a definizioni dottrinali”, scriveva nel 2001 don Gianni Baget Bozzo, aprendo il suo saggio LAnticristo. Oggi però le domande sul tappeto sono troppo numerose e urgenti perché si possa continuare a schivarle. E non eludono il problema anzi lo affrontano di petto Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, nel loro ultimo libro dall’immaginifico titolo La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà (Vallecchi, 2011, pp. 246, euro 12,50): un eccellente contributo per comprendere quanto accadde a Roma tra l’11 ottobre del 1963 e l’8 dicembre del 1965, e soprattutto cosa avvenne nella Chiesa dopo quel fatidico triennio.

La Bella Addormentata è la Chiesa che, malgrado i peccati dei suoi membri, resta splendente e immacolata, perché non è, in sé, mai peccatrice. Essa però oggi pare addormentata, perché negli ultimi decenni, gli errori e i tradimenti dei suoi membri sembrano averla immersa in un sonno che assomiglia alla morte. Come altro definire se non sonno, la paralisi che attanaglia oggi sacerdoti e religiosi davanti agli attacchi crescenti di chi vorrebbe liquidare o stravolgere le dottrine e le strutture stesse della Chiesa? Il peccato di silenzio e di omissione è un sonno dell’anima, che ha la sua radice nel mutato atteggiamento della Chiesa davanti al mondo, proposto dal Vaticano II: un Concilio che si propose come solamente pastorale, e non dogmatico, come se tutti i precedenti concili dogmatici non fossero stati anch’essi pastorali. Il fatto è che il termine pastorale non era altro che la trascrizione, all’interno della Chiesa, della categoria gramsciana di prassi in voga negli anni Sessanta. Attraverso il primato della prassi si pretendeva portare nella Chiesa la stessa Rivoluzione con cui, pochi anni dopo, il Sessantotto investì la società occidentale. La Rivoluzione ci fu, ma nel linguaggio e nella mentalità, più che nella dottrina. La prassi era il modo di rapportarsi della Chiesa con il mondo, che in quegli anni effettivamente mutò, abbandonando, ad esempio, come ben sottolineano Gnocchi e Palmaro, la lingua latina, la predicazione apologetica per il popolo e lo stile definitorio e giuridico. Il Vaticano II non ne deliberò in modo esplicito e solenne la rimozione e tuttavia il vento del Concilio spazzò via questi tre pilastri della comunicazione cattolica, sostituendoli con un nuovo modo di esprimersi e di parlare ai fedeli. Il latino è stato abbandonato, l’apologetica dileggiata e denigrata, lo stile definitorio sostituito da un nuovo linguaggio pastorale, tanto vago e confuso quanto il primo era nitido e netto.

Una volta accettato il primato della prassi si arrivò all’assunzione di criteri massmediatici, come vere e proprie categorie ecclesiali: gli indici di ascolto in luogo di indicatori del grado di evangelizzazione, la popolarità in luogo di misura della santità. La assunzione del linguaggio mediatico proprio del mondo, costrinse a sottomettersi alle sue regole. La Chiesa ha come fine l’annuncio della Verità, costi quel che costi, mentre nell’universo mediatico, lo scopo del messaggio non è la trasmissione del vero, ma la propria diffusione. Ma il messaggio si diffonde talvolta tanto più ampiamente quanto nasconde o deforma una verità e il successo della comunicazione prevale sulla verità del messaggio comunicato. E siccome il mezzo è il messaggio, in ultima analisi, spiegano lucidamente gli autori del volume, la scena è dominata da mezzi di comunicazione che comunicano se stessi. In termini filosofici non interessa quello che Kant avrebbe chiamato la cosa in sé, il “noumeno”, ma il fenomeno. E’ vero solo ciò che è comunicato e nella misura in cui questo messaggio viene diffuso

Quali sono stati i frutti di questo cambiamento pastorale? I più evidenti e clamorosi stanno nella crisi del sacerdozio. In Francia, per fare un esempio, alla vigilia del Concilio erano ordinati quasi mille sacerdoti ogni anno. Nel 2010 i sacerdoti ordinati sono stati 88, meno del dieci per cento di quanto avveniva. Ma al di là dei numeri, ciò che è evidente e palpabile è la crisi della spiritualità, che si esprime con la sostituzione del primato dell’azione a quello della contemplazione. La gran parte dei pastori oggi è affetta dal morbo del “fare”, ovvero da un frenetico attivismo che fa dimenticare la preghiera e l’adorazione. L’abatino con lo spiderino rosso che si presenta al don Camillo di Guareschi o il don Alfio di Verdone in Io, loro e Lara, ma anche il parroco che ognuno di noi incontra nella chiesa accanto, incarnano un tipo umano che è figlio – legittimo o illegittimo, questo è un altro discorso – del Concilio Vaticano II. Essi mostrano tutta la tragedia di un cattolicesimo che, spiegano bene Gnocchi e Palmaro, “ha mutato secoli di metafisica in povera antropologia”.

Il volume si chiude con quella nota di ottimismo soprannaturale che deve caratterizzare il pensiero e l’azione di ogni cattolico. Chi sarà il principe azzurro che risveglierà la Bella Addormentata? Forse proprio il popolo dei fedeli, le pecorelle abbandonate “a cui toccherà chiedere che la Tradizione e la dottrina della Chiesa, che la Messa e i sacramenti siano rispettati e resi al popolo come Dio vuole”. Che questa sia la strada giusta da seguire ce lo conferma un recente discorso tenuto lo scorso 18 settembre da Giovanni Franzoni a un convegno teologico madrileno. Franzoni, classe 1928, ex prete, ex abate del monastero benedettino di San Paolo fuori le Mura, è uno dei pochissimi Padri conciliari ancora sopravvissuti (insieme, in Italia, al suo amico mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea). In quel discorso dopo aver ricostruito gli umori, le attese, le delusioni dei progressisti, durante e dopo l’assise conciliare, egli giunge a questa conclusione: Volendo ora sintetizzare, descriverei così il nodo del contrasto che grava sulla Chiesa cattolica da decenni: per Wojtyla e Ratzinger il Vaticano II va visto alla luce del Concilio di Trento e del Vaticano I; per noi, invece, quei due Concili vanno letti, e relativizzati, alla luce del Vaticano II. Dunque, data questa divergente angolazione, i contrasti sono ineliminabili”. Per Franzoni, insomma, come per la scuola di Bologna e perfino per alcuni appartenenti alla “balena bianca ecclesiale”, la regola di fede è il Concilio Vaticano II. La strada suggerita da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e seguita da Gnocchi e Palmaro nel loro bel libro è quella, opposta, della rilettura, quando necessario critica, del Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione.

 

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La Chiesa, i cattolici, il mondo e il no al mito del Concilio

 

di P. Serafino M. Lanzetta, FI

su Corriere Fiorentino e Riscossa Cristiana

 

Un altro contributo sul Vaticano II, non tanto elogiativo del mito trionfalistico che ha accompagnato questi cinquant’anni di ricezione conciliare, piuttosto di critica intelligente documentata e divulgativa, è venuto da poco alla luce: ha un titolo stimolante, La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà, frutto di un lavoro esimio di due firme del cattolicesimo battagliero e non allineato a quegli stereotipi “da sacrestia”, A. Gnocchi e M. Palmaro. La Chiesa di quei “formidabili anni” è descritta come la Bella, perché sempre l’Immacolata Sposa di Cristo, ma addormentata, proprio come la fiaba. Qui il sonno è metafora di una crisi molto profonda, di cui parlava di recente e nuovamente il S. Padre in Germania, una crisi di fede, una crisi dell’identità cattolica. Cosa è successo nella Chiesa cattolica? Da dove ha preso corpo quell’ondata limacciosa di ottimistica quanto presuntuosa baldanza della novità, un modo sciocco eppure riaffermato di credersi nuovi e sempre al passo con i tempi, perché finalmente emancipati da un prima ecclesiale ed ecclesiastico insopportabile: una Chiesa, una liturgia, un predicazione non più tollerabili. Bisognava essere moderni. Purtroppo quei tempi moderni si rivelarono presto già superati dopo qualche anno, mentre alcuni tenacemente si affaticavano a rincorrerli. Il tutto come in grande sonno. O forse il sogno di vedere all’orizzonte la realizzazione di una Chiesa che non c’era, né poteva esserci. Si intrufolarono in questa compagine dell’ottimismo tante ideologie: una Chiesa dei poveri, una teologia della politica, una teologia della liberazione. Tanti cristiani, tanti uomini erano privati della libertà sotto l’egida disumana del comunismo, mentre uomini di Chiesa si intrattenevano sul come raggirare gli ostacoli per ammettere gli osservatori ortodossi al Concilio. Non si parlò punto del comunismo. Ecco come si fece. Eppure il Concilio si era prefisso di essere pastorale. Si gridava invece al cambiamento. A differenza del ribaltamento culturale ideologico, quello ecclesiastico aveva un “marchio”, d’autore: il Concilio Vaticano II. In nome di esso, abusandone, si volle reiniziare ad esser cattolici.

Una cosa però sorprese gli uditori attenti: nel discorso inaugurale del B. Giovanni XXIII, Gaudet mater ecclesia, si intravedeva un nemico, che non era fuori, era in casa: i “profeti di sventura”, ovvero non il neo-modernismo, il materialismo scientifico, l’ateismo, i nuovi errori teologici, ma quelli che si industriavano a mettere il bastone tra le ruote al carro della felicità, che doveva partire speditamente. Purtroppo la sventura c’è stata, ma si è originata ahimè non dentro ma fuori, ed è penetrata come fumo all’interno: il mondo, dirà pentito J. Maritain, era entrato nella Chiesa, quel mondo che la Chiesa voleva incontrare ad ogni costo.

Non si tratta, comunque, di fare un’inquisizione al Vaticano II, che resta un concilio ecumenico della Chiesa cattolica, ma di collocarlo al suo giusto posto. Quel posto che il Concilio scelse: un ambito pastorale e non dogmatico-definitorio; un Concilio che non riassume l’intera Tradizione della Chiesa; un Concilio che non è la Chiesa, né è al di sopra di essa; un Concilio che resta tale e non può trasformarsi in un discrimine per appurare il grado di fede cattolica di un credente. Non era mai successo nella storia della Chiesa che un concilio determinasse l’essere cattolici. Era piuttosto l’inverso. Un cattolico non può non essere fedele e ossequioso al Vaticano II, ma non può neppure “credere” nel Vaticano II, come si trattasse di un dogma. Il Vaticano II non fu un “evento epocale”, che cambiò le sorti della Chiesa. O meglio, a guardare questi anni, sembra che lo fu, ma Gnocchi e Palmaro vogliono invece dire che il Vaticano II, come ogni altro concilio, non poteva esserlo, né deve esserlo. Essere cattolici implica la totalità della fede, così come ricevuta.

Una peculiarità di questo libro, appassionante anche per quel bell’italiano che fa scorrere le pagine, è l’analisi interessante della genesi del mito “Vaticano II”. La Chiesa pensò di affidare il suo Concilio ai mezzi di comunicazione. Tutto (o quasi) quello che si diceva in aula il giorno dopo lo si leggeva sui giornali, i quali anticipavano ai lettori i temi e gli orientamenti dei Padri nelle Assemblee generali, condizionando così l’andamento dei lavori. Non si tenne conto che «il mezzo è il messaggio», (M. McLuhan) e che, come dicono gli autori, «nell’universo mediatico, lo scopo del messaggio non è la trasmissione del vero, ma la propria diffusione» (p. 78). Si finì col sovrapporre al «trascendentale ideologico» della modernità quello tecnico della stampa e della TV, sì da produrre «‘il trascendentale ecclesiologico’ che da subito si impose come premessa per ‘fare’ e poi ‘comprendere il Concilio» (p. 82). Dopo cinquant’anni siamo ancora alle prese con la giusta ermeneutica del Vaticano II.



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