di Piero Nicola

 

 

gioco

 

Eppure succede ancora che esca fuori un Uomo o – per non sbilanciarsi con la fiducia – che spunti, qualche volta, l’Uomo dall’uomo. E ci si sente nella pelle d’un Diogene finalmente pervenuto a rischiarare col lanternino un suo simile esemplare.

Preso il coraggio a due mani, il Sindaco di Verbania, comparendo nella televisiva finestra sul mondo, ha difeso un’ordinanza municipale che riduceva l’orario di gioco alle macchinette mangiasoldi: indecenza di troppi locali pubblici, o aperti al pubblico, e vergogna – diciamolo pure – della pubblica potestà che le autorizza (che le leggi lo consentano non fa differenza: resta sempre una civile potestà ad essere responsabile).

Il gioco d’azzardo è, di per sé, un fatto illecito, come fu sempre riconosciuto dall’etica secolare e religiosa. Per sostenerne la liceità, come in pratica ha fatto quell’istituto di giustizia che ha condannato il Sindaco a risarcire il noleggiatore o gestore degli apparecchi sottoposti a limitazioni di esercizio imposte dal Comune, per sostenere ciò bisognerebbe dimostrare che i tempi sono cambiati tanto da aver rigenerato gli esseri umani, rendendoli idonei a padroneggiare l’attrattiva del gioco, tanto che sia adesso un’inezia il rischio di cadere in preda alla passione del giocatore.

Dirò, più avanti, in che modo si sia creduto di aggirare l’ostacolo.

Noi cattolici abbiamo il dovere di testimoniare la fede anche ricordando che giocare d’azzardo è peccato. La Chiesa lo proibì ai fedeli, ricordò questa infrazione alla legge divina. Così, proibì l’ubriachezza, la partecipazione alle sedute spiritiche, la fornicazione e i peccati impuri contro natura che non si commettono con altri. Alcuni credono che siano da vietarsi soltanto le azioni che danneggiano direttamente il prossimo, la società, e non vedono che l’individuo non ha diritto di danneggiare nemmeno sé stesso, anche in quanto membro della società.

Dunque il gioco d’azzardo è peccato. C’è una quantità di fuorviati che tirano in ballo le condizioni del peccato grave, mortale, per le quali esso sarà quando lo si commetta in piena coscienza e deliberatamente. Non pochi si spingono a dedurne che l’intero Decalogo e le norme da esso deducibili, avrebbero un valore relativo e, talvolta, unicamente personale, mentre sono Legge a tutti gli effetti. La legge, la Tua volontà del Pater, evita il male e deve essere comunque osservata, né se ne ammette l’ignoranza per il bene comune.

In tempi decisamente più normali, il gioco popolare della morra, le scommesse e certi giochi di carte, come il poker, erano reato; l’autolesionismo e il tentato suicidio erano puniti. Ancor oggi le bische private sono illegali, ma lo stato fa il biscazziere.

Il lotto è un antico gioco di Stato. Va bene. La Chiesa non fulminò scomuniche per questo, quando scomunicava i colpevoli di eresia e teneva fuori dei luoghi sacri i pubblici peccatori, in ossequio al precetto evangelico di impedire lo scandalo (implicito: i fedeli sono soggetti a corrompersi a causa dello scandalo, dell’eresia propagata e d’ogni altra cattiva tentazione). I casinò, pochi e in terre di confine, ebbero accesso chiuso ai dipendenti pubblici.

Io sono poco addentro a queste segrete cose, tuttavia oso paragonare il lotto alla prostituzione: una piaga quasi insopprimibile e tollerata per scongiurare conseguenze certamente peggiori.

Ma il lotto era una spruzzatina di liquame nell’acquedotto che disseta la popolazione, era una goccia rispetto al torrente di fogna ora immesso nella vita civile con il losco e pingue incameramento di denaro puntato da deboli allettati. La lista degli allettamenti sarebbe lunga. L’inaugurò, nel dopoguerra, la schedina della Sisal, poi Totocalcio. Tuttavia ci vollero parecchi lustri prima della nazionale imitazione di Las Vegas. Vale la pena di portare ad esempio delle iniziative più insinuanti, quelle telefonate o messaggi telefonici cui le televisioni invitano masse di spettatori per concorrere a un premio, indovinando un quiz. Nessuno si rovina con una simile scommessa, ma il principio rimane, i proventi non sono quelli di una pesca di beneficenza.

La figura dell’elemento vitale inquinato non rende ancora l’idea di questo avvelenamento, rimanda a mali di ventre e di testa, a malanni. Invece abbiamo a che fare con alterazioni essenziali, dell’anima. E viene il bello!

Qualche giorno addietro un esponente del governo, un sottosegretario, ha aperto bocca sull’argomento, fattosi in qualche modo insistente e seccante: il gioco va contenuto per evitare che il giocatore se ne ammali: il giocatore esagerato è un infermo, è un ludopatico. Coniata la parola ludopatia, siamo a posto. Per giunta, l’ascoltatore ignaro ne resta affascinato. Per giunta, da decenni si prepara il terreno.

Se non è possibile negare la passione del gioco e la sua nocività, almeno escludiamo che essa sia colpevole. Si cade ammalati di gioco. Può succedere. È una disgrazia buscarsi questo morbo. Però a nessuno venga in mente quella fisima di un tempo d’oscurantismo, quel voler mettere il sofferente sul banco degli accusati. Via la colpa, via il vizio: non se ne parla nemmeno!

Era qui che lo volevo, il governante agevolato dalle sorti progressive e comodamente conformista. Dopo che l’omosessualità è diventata normale, dopo che il drogato è diventato un semplice paziente, è ovvio che il vizio abbia finito di esistere. Eureka! Ci siamo liberati da un’ombra fastidiosa. Mi viene da ridere pensando ai grattacapi dei compilatori di vocabolari, alle prese con la definizione di vizio.

Cancellato il concetto, occorre cancellare la colpa che lo genera, e giustificare molte cattive azioni.

Il buffo è che non si capisce per quale motivo la legge giusta punisca il mafioso affetto da mafiosità, e assolva il tossicomane, il giocatore, il seduttore (in varia guisa) omosessuale, i quali dilatano un’ulcera purulenta nel tessuto sociale. Ben lo sappiamo il come: chi lede e avvilisce se stesso incrina un mattone dell’edificio comune e nuoce ai propri familiari, chi induce alla sodomia o al lesbismo attenta alla famiglia, alla procreazione e alla salute morale andata sotto la sua influenza.

Gli ufficiali dell’italica barca o sono imbevuti di idee folli, o vogliono che la gente imbarcata sia ridotta a una larva di popolo, o credono di praticare una tolleranza tollerabile, funzionale al quieto vivere. In ogni caso, sognano. Le conseguenze, fin d’ora brucianti, travolgeranno, se non proprio loro, i loro discendenti; sempre che non siano disarcionati e debitamente rimpiazzati.

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