La Cassazione e gli arcipelaghi confliggenti – di Marco Sudati

di Marco Sudati

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Una recentissima sentenza in qualche modo legata al tema di immigrazione, pronunciata dalla Corte di Cassazione, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a quanti vedono nel massiccio e continuo afflusso di stranieri in Italia, una serissima minaccia alla sopravvivenza della nostra identità nazionale.

In sostanza, la Corte di Cassazione – chiamata a pronunciarsi sul caso di un sikh condannato per il porto del kirpan, il pugnale sacro caratterizzante la sua appartenenza religiosa – ha dichiarato che gli immigrati devono accettare i valori del paese ospitante, e che la pur necessaria società multi-razziale non può ammettere in seno alla società stessa l’esistenza di arcipelaghi etnici confliggenti.

La Cassazione definisce, dunque, necessaria – non si sa bene in virtù di quale inevitabile esigenza – la società multirazziale e pone l’accento sul pericolo che la società italiana si trasformi in un arcipelago di etnie e culture tra loro confliggenti (esattamente quello che noi andiamo sostenendo da almeno un ventennio).

A parte il fatto che non si comprende bene quale sia il nesso tra il giudizio relativo ad una sentenza, cosa per cui la Corte di Cassazione è stata chiamata in causa, e le considerazioni espresse sulla necessità della società multi-razziale, quello che risulta essere abbastanza evidente è la problematicità di quelle affermazioni: si sostiene una presunta necessità della società multi-culturale, multi-razziale e multi-religiosa in Italia; ma si mette in guardia dal pericolo costituito dalla fondatissima possibilità che le diverse identità – costrette a vivere l’una accanto all’altra – confliggano tra loro, in un contesto di lacerazione del tessuto sociale della nazione.

Il solo buon senso è sufficiente a far comprendere come l’innaturale operazione di ingegneria sociale – volta a trasformare, grazie all’immigrazione di massa, la nostra Italia in un agglomerato di etnie tra loro diverse e, in molti casi, contrapposte – sia qualcosa di estremamente pericoloso e, dunque, da respingere come contrario al bene comune degli italiani.

Ma il buon senso e la volontà di perseguire il vero ed oggettivo bene comune del popolo italiano di sicuro non contraddistinguono la nostrana classe dirigente, la quale, ad ogni livello ed in ogni settore della vita nazionale, persegue senza soluzione di continuità la folle trasformazione in atto. Lor signori sanno perfettamente quali siano i pericoli che corre la nostra Nazione sottoposta al continuo afflusso di immigrati, ma non importa: quel che conta è la meta, ossia la realizzazione della nuova società contraddistinta dal meticciato razziale, culturale e religioso. L’utopia mondialista.

Per questo la sentenza della Cassazione e le sue considerazioni – in un contesto del genere – lasciano il tempo che trovano, e fanno persino tenerezza coloro i quali – tra le forze politiche che, in vario modo e con diversa credibilità, si oppongono all’immigrazione di massa – l’hanno accolta con entusiasmo, quasi fosse il segnale della tanto agognata inversione di tendenza.

Ad usufruire di questa sentenza, saranno, invece, le marionette della politica italiana selezionate dai potentati cosmopoliti e destinate a recitare la parte di chi governa la nazione. Le forze deputate alla gestione politica della dissoluzione morale e fisica degli italiani, infatti, si accrediteranno ulteriormente come i soggetti capaci di conciliare la “necessità” dell’avvento della società multi-razziale, multi-culturale e multi-religiosa con il bisogno di garantire una “convivenza civile” fondata sull’adesione ad un minimo di valori condivisi.

Quali valori? Ma certamente i loro, quelli che vanno predicando da sempre e sintetizzabili nella parola-slogan ‘integrazione’, vero e proprio mantra del progressismo da euro-delirio italiota.

Come più volte ricordato, infatti, l’integrazione predicata dai gestori della dissoluzione altro non è che l’adesione delle singole persone e delle comunità ad un unico modello di vita, fondato sull’accettazione dei “valori” dettati dall’oligarchia che guida il cosiddetto processo di integrazione europea: relativismo etico e religioso, mescolamento delle etnie. In breve, la rinuncia alla nostra nobilissima identità morale ed etnica in nome di un’indefinita trasformazione, presentata come nostro destino ineluttabile sul cammino dell’idolatrato divenire progressista.

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fonte: Ordine Futuro

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