Deplorevoli: così Hillary Clinton definì nel 2016 i sostenitori di Donald Trump. Qualche anno prima, il presidente socialista François Hollande, alla vigilia di ,0una sconfitta elettorale da cui il suo partito non si è più ripreso, chiamò “sdentati” i suoi avversari politici, specie gli elettori di Marine Le Pen. Analogo disprezzo, con l’accusa di essere vecchi e ignoranti, fu lanciata in Inghilterra ai sostenitori della Brexit. Fatto sta che Trump vinse le elezioni e probabilmente fece lo stesso nel novembre scorso, quando i brogli elettorali hanno messo le ali a Joe Biden. Hollande è un ricordo, il suo partito arranca. La Brexit funziona e ha portato alla ribalta un politico conservatore senza complessi, Boris Johnson. Nonostante la demonizzazione, Marine Le Pen è ancora in sella e il suo partito è il più votato dagli operai e dalla classe medio bassa francese, esattamente come Trump e Johnson hanno cambiato pelle all’elettorato dei rispettivi partiti, una volta campioni dei ceti abbienti.

Anche da noi, Lega e Fratelli d’Italia riuniscono l’anima delle piccole e medie partite Iva con quella popolare e identitaria. Il disprezzo progressista e comunista nei confronti dei loro elettori è uguale a quello del resto del resto d’Occidente: analfabeti, rozzi, incolti, eccetera. L’orribile “destra” degli sconfitti della globalizzazione, di chi lavora faticosamente e non ha dimenticato le tradizioni morali, civiche, spirituali del popolo cui appartiene.

Mancava all’appello la Spagna, ma la lacuna è stata colmata. Le elezioni della regione di Madrid – centro motore culturale, politico ed economico della nazione iberica – hanno inflitto una storica stangata alle sinistre. La vincitrice, Isabel Diaz Ayuso, è la beniamina della Madrid popolare, dei commercianti, dei tassisti, di chi vive di turismo, della piccola e media impresa, titolari e dipendenti, e, pare, dei baristi. Male gliene è incolto: il presidente dell’Istat spagnolo, José Tezanos, un barbuto, accigliato intellettuale legato al partito socialista, ha trattato da ignoranti – come di consueto – gli elettori della Ayuso e di Vox – il partito più conservatore –

con una significativa novità: li ha accusati di frequentare le osterie, di essere degli avvinazzati “tabernarios”, spregevole gente da taverna.

Evidentemente, le taverne sono amatissime dai castigliani, poiché i socialisti sono crollati al minimo storico e i comunisti hanno subito una batosta che ha fatto abbandonare la politica al loro capo, Pablo Iglesias. La sinistra di ieri non avrebbe disprezzato con tanta acredine i ceti popolari che le hanno voltato le spalle. Nel caso delle taverne, demonizzate perché di destra o senz’altro “fasciste”, avrebbe almeno preso atto che si tratta di luoghi di socializzazione, di incontro, chiedendosi perché le classi popolari non credono più alle vecchie parole d’ordine. A furia di disprezzo, derisione e odio il progressismo ha ottenuto di vedersi restituito il rancore sotto forma di voti al “nemico di classe”.

Ma quale classe? Se lo domandino i signorini viziati della sinistra progressiva, progressista, benestante, colta, tollerante e ragionevole, che sta sempre dalla parte degli “altri” e mai del suo popolo, come intuì Carlo Marx; lavorano per il re di Prussia. Tanta gente comune lo ha capito, ma se la realtà non va nelle direzione “radiosa” voluta da lorsignori e lorcompagni, abbasso la realtà. Il popolo è l’avanguardia rivoluzionaria e progressista se si fa dirigere da loro: in caso contrario, torna ad essere un branco di pezzenti, straccioni, deplorevoli, sdentati, ignoranti e ora anche di loschi frequentatori di osterie.

Che cosa fa, tuttavia, la cosiddetta destra per cambiare le cose e rovesciare l’agenda dei progressisti, sostenuta e finanziata dai piani alti della finanza, dell’industria, delle multinazionali, Big Tech, Big Pharma? Poco o nulla, è una destra domestica, di servizio, o meglio addomesticata, che accetta di essere figlia di un Dio minore e non combatte battaglie di principio. Quando lo fa, guarda caso, vince o diventa credibile alternativa. La destra addomesticata ha accettato di essere l’altra faccia della luna, quella oscura e invisibile. Quel che le interessa, alla fine, è continuare a fare affari (business, as usual!), godere di paradisi fiscali e alimentare l’egoismo individuale e mercantile. Lenin diceva che l’ultimo capitalista avrebbe venduto la corda con cui i rivoluzionari si accingevano ad impiccarlo. Detestano lo Stato, ma invocano la questura in difesa dei loro interessi, la “roba” di verghiana memoria, salvo detestare le uniformi se appartengono alla Guardia di Finanza.

È per questi motivi che chi scrive, con grande meraviglia di amici e conoscenti, rifiuta fieramente l’etichetta di uomo di destra. Evitiamo i discorsi sociologici e le teorizzazioni. Il potere vincente – liberista in economia e libertario libertino nei costumi, cosmopolita e mondialista – ha scelto il sedicente progressismo come aiutante di campo ed alleato preferenziale a ragion veduta. Da quella parte hanno rinunciato a stare dalla parte del popolo, preferendo l’individualismo esasperato dei “diritti” e l’identitarismo diversitario delle minoranze. Chi sta dalla parte degli ultimi e, soprattutto, dei penultimi, ovvero la maggioranza stragrande delle nostre società?

Gli spazi di libertà si restringono ogni giorno. Siamo già rinchiusi in un recinto nel quale diventa oro colato l’affermazione del misterioso Bansky, l’ignoto artista di strada, dipinta con inchiostro color sangue su un anonimo muro metropolitano: if graffiti changed anything, it would be illegal. Se i graffiti cambiassero qualcosa, sarebbero illegali. L’affermazione è rilevante poiché esprime una verità che unisce sinistra e destra di sistema, allegramente riunite al centro, il luogo degli affari e dell’indicibile: non esiste possibilità di cambiare la nostra società dall’interno. Tutt’al più sono ammesse alcune zone franche, rari luoghi di dibattito libero, di elaborazione critica, giusto per non far saltare la pentola a pressione. Graffiti sui muri che, quando il proprietario deciderà, verranno ripuliti con spese a carico degli autori.

La speranza si spegne giorno dopo giorno insieme ai diritti sociali, alla sicurezza, alla libertà concreta e quotidiana, alla giustizia, alle comunità, alla sovranità popolare. È tutto troppo complicato, difficile: bisogna rassegnarsi, abbozzare, accettare le briciole del banchetto dei signori. Su questo concordano la destra, la sinistra, il centro e le persone “di buon senso”. Chissà se ci salveranno i deplorevoli o le taverne. Un’ affermazione ci è rimasta conficcata come una spina: chi guadagna novecento euro al mese è uno sciocco se pensa e vota a destra. Ha torto per il gelido materialismo dell’asserzione e perché i princìpi non dipendono dal reddito: la destra “morale” è spesso formata da persone di modesta condizione economica. Ha purtroppo ragione se analizziamo l’istinto delle destre “reali” alla prova dei fatti: privatizzazioni, vantaggi per chi ha di più, egoismo mascherato da libertà.

Chi scrive non nasconde la propria ammirazione per José Antonio Primo de Rivera, fucilato dai socialcomunisti, appassionato difensore di una Patria che dà ai suoi figli “pane e giustizia”. Lo gridò in faccia ai suoi assassini, davanti al plotone di esecuzione: “Vi hanno detto che sono un avversario da uccidere, ma voi ignorate che il mio sogno era Patria, pane e giustizia per tutti gli spagnoli, specie per i miseri e i diseredati. Dovete credermi, quando si sta per morire non si può mentire”. Del resto, che senso ha amare la propria terra, i suoi costumi e sentimenti, se non si ama innanzitutto chi ne fa parte, il popolo per il quale si desidera benessere, libertà, un futuro migliore? Romanticismo politico, sentimenti incapacitanti, incompatibili con la battaglia quotidiana, forse, ma è ai quei sentimenti elementari che deve il suo successo l’avversario.

C’è un aspetto da salvare del liberalismo originario, sgominato dal liberismo economico e dal libertarismo/libertinismo sociale diventato proibizionista. Sta in quella parte del Trattato del governo civile in cui John Locke difende la sfera intangibile dei diritti naturali di ogni persona, definita dalla triade “vita, libertà, averi”. Nessun governo, nessuna ideologia è accettabile se non salvaguarda questi principi ed è legittimo opporre a chi li infrange il diritto naturale di resistenza. Locke trasse quei fondamenti dalla tradizione tomista del De regimine principum. La triade lockiana è stata sostituita dall’equivoco rivoluzionario francese: libertà, (la libertà borghese degli affari), ma anche uguaglianza – che è il suo contrario e ha senso solo come isonomia, uguaglianza davanti alla legge – e l’equivoca fraternità. Prendiamoli in parola: fratelli sono coloro che hanno gli stessi genitori, i connazionali, coloro che condividono un sistema di valori, una lingua, un territorio. La parentela con tutti gli altri umani è meno stretta ed è legge di natura amare di più la propria gente che gli estranei.

Locke ci richiama innanzitutto a difendere la vita, ossia a rivendicare lo spazio personale, intimo e inviolabile della prima sovranità, quella su se stessi. La post modernità è potere sulla vita, biocrazia. Si è impadronita dei nostri corpi ed entra sempre più nelle nostre anime. Vaccinazioni, chip, indottrinamento martellante della comunicazione, sorveglianza continua da remoto, telecamere, tecnologia, dati e metadati che “profilano” proprio me e te. In più il tecno-feudalesimo decide per noi se possiamo muoverci, lasciare la nostra casa (quando ce l’abbiamo, l’obiettivo è che non dobbiamo possedere nulla, poiché tutto è “cosa loro”), lavorare in un ufficio, un commercio o una fabbrica oppure restare inchiodati in casa davanti allo schermo. Decide perfino di impartire l’educazione scolastica a distanza, tra opuscoli d’istruzioni, tutorial, filmati, pulsanti e tasti nella solitudine incomunicabile di una celletta dell’alveare, il “loro” alveare.

Difendere la vita concreta è dunque centrale, a partire dal dovere di dare una chance di esistenza a chi non è ancora nato, a non essere considerato un grumo di cellule da espellere, rifiuti da trattare o conservare per essere utilizzati nell’industria estetica o come componenti dei vaccini di ultima generazione. Senza vita non c’è libertà. Habeas corpus: il mio corpo fisico e il mio spirito sono miei e non possono essere penetrati, espropriati, violati, una forma post moderna di stupro. Libertà significa innanzitutto poter pensare, imparare, confrontare, dibattere, liberi da censure e dal bisogno materiale. Nessuna proibizione, rivendichiamo noi il “vietato vietare” del Sessantotto.

Fermo restando il rigetto della violenza, non vi è idea, opinione e parola che non abbia diritto di cittadinanza. Libertà è anche il diritto di lavorare, scegliere un’attività e svolgerla senza interferenze. Lo Stato non è il mio padrone, piuttosto il mio difensore. La proprietà privata – chi scrive lo affermava anni fa nello stupore generale – va difesa non dal comunismo, ma dal liberalismo degenerato. Se mi tolgono vita e libertà mi negano l’essere. Se non posso possedere qualcosa – a partire dal denaro contante che mi tolgono dalle tasche per trasferirlo nella loro insindacabile disponibilità – mi proibiscono di avere. Ci vogliono poveri, immobili, ignoranti, dipendenti. Dalla loro “benevolenza”, dalla loro tecnologia, dalle loro terapie che invadono il corpo per impadronirsi dell’anima. Animali con reddito minimo universale elargito da lorsignori previa richiesta all’ufficio competente, da spendere con apposita carta di credito, utilizzabile per i beni e i servizi ammessi da loro.

Questa è vita, è libertà, è “avere” ed “essere”? Non sappiamo se stiamo esponendo principi di destra, di centro o di sinistra. Meglio sarebbe dimenticare questi termini, frutto di stagioni passate e rammentare che José Ortega y Gasset considerava destra e sinistra forme speculari di emiplegia mentale, ossia di paralisi del cervello.

Fatto sta che la destra reale è addomesticata. Non fiata sui principi, non crede più alla triade Dio, Patria e famiglia, non ha più rispetto per legge e ordine (tranne che per difendere la proprietà e gli interessi oligarchici), ride di vecchi valori come lealtà, fedeltà, rispetto della parola data, onore. Non vi si può applicare il cartellino con il prezzo, dunque non valgono nulla sul mercato. Quanto al pane e la giustizia sociale, “se non ce la fai, peggio per te”. Diventa imprenditore di te stesso, credi nelle tre “I” come Silvio: Internet, inglese, impresa. Mezzi, non fini, strumenti per avere successo, il modo ipocrita per dire “fare soldi”. E chi se ne frega se gli altri, i risvegliati (il progressismo ultimo chiama così se stesso, woke) impongono le parole vietate e quelle obbligatorie, negano per legge il diritto a dire ciò che si pensa di un numero impressionante di cose, distruggono quel che resta della comunità, della famiglia, della legge naturale, cancellano la civiltà in nome del nulla.

Essenziale è che si possano fare affari. Anzi, adesso è meglio: se tutto è ridotto a cosa, se tutto è compravendibile, si allarga il giro d’affari. Nuove opportunità per chi è furbo, svelto, cinico. Camminano insieme, la destra e la sinistra, e insieme tolgono la vita, la libertà, gli averi e la dignità. Occorre una nuova teoria sociale, morale e politica, ma se vogliamo mantenere in piedi l’edificio fatiscente della destra e della sinistra, basta con la versione “domestica” di entrambe. La sinistra, almeno, consegue con moto accelerato il suo obiettivo di demolire il mondo e costruirne uno nuovo, peggiore. È la sua ragion d’essere, la ostentarono dopo la Bastiglia, sedendosi a sinistra nell’assemblea nazionale, affinché tutto quanto era sempre stato “diritto”, ovvero giusto e naturale, fosse capovolto. La loro missione è compiuta, in gran parte a spese di chi non chiedeva che pane e giustizia, gli sdentati, i deplorevoli, gli ignoranti, i tipi da taverna.

La destra addomesticata è la versione senza maschera della sinistra neo liberale in campo economico sociale, un po’ più lenta nella distruzione dei principi fondanti, come dimostra l’iniziativa di Lega e FI sulla legge anti omofobia, formulazione light di principi analoghi a quelli del ddl Zan. È l’”opposizione di Sua Maestà” in un mondo simile al muro dei graffiti: un angusto recinto di libertà vigilata. Come i graffiti, se la destra domestica contasse qualcosa non esisterebbe o la vieterebbero d’autorità.

Spetta a noi cancellare i graffiti e rifare il quadro; spetta a chi crede nella Vita, nella Libertà e nell’Essere, agire perché ci siano pane e giustizia, ossia dignità, presupposti di un mondo fondato su Dio, Patria, famiglia, comunità, identità, morale e legge naturale. Il fronte di chi non sarà mai domestico.

Deplorevoli: così Hillary Clinton definì nel 2016 i sostenitori di Donald Trump. Qualche anno prima, il presidente socialista François Hollande, alla vigilia di ,0una sconfitta elettorale da cui il suo partito non si è più ripreso, chiamò “sdentati” i suoi avversari politici, specie gli elettori di Marine Le Pen. Analogo disprezzo, con l’accusa di essere vecchi e ignoranti, fu lanciata in Inghilterra ai sostenitori della Brexit. Fatto sta che Trump vinse le elezioni e probabilmente fece lo stesso nel novembre scorso, quando i brogli elettorali hanno messo le ali a Joe Biden. Hollande è un ricordo, il suo partito arranca. La Brexit funziona e ha portato alla ribalta un politico conservatore senza complessi, Boris Johnson. Nonostante la demonizzazione, Marine Le Pen è ancora in sella e il suo partito è il più votato dagli operai e dalla classe medio bassa francese, esattamente come Trump e Johnson hanno cambiato pelle all’elettorato dei rispettivi partiti, una volta campioni dei ceti abbienti.

Anche da noi, Lega e Fratelli d’Italia riuniscono l’anima delle piccole e medie partite Iva con quella popolare e identitaria. Il disprezzo progressista e comunista nei confronti dei loro elettori è uguale a quello del resto del resto d’Occidente: analfabeti, rozzi, incolti, eccetera. L’orribile “destra” degli sconfitti della globalizzazione, di chi lavora faticosamente e non ha dimenticato le tradizioni morali, civiche, spirituali del popolo cui appartiene.

Mancava all’appello la Spagna, ma la lacuna è stata colmata. Le elezioni della regione di Madrid – centro motore culturale, politico ed economico della nazione iberica – hanno inflitto una storica stangata alle sinistre. La vincitrice, Isabel Diaz Ayuso, è la beniamina della Madrid popolare, dei commercianti, dei tassisti, di chi vive di turismo, della piccola e media impresa, titolari e dipendenti, e, pare, dei baristi. Male gliene è incolto: il presidente dell’Istat spagnolo, José Tezanos, un barbuto, accigliato intellettuale legato al partito socialista, ha trattato da ignoranti – come di consueto – gli elettori della Ayuso e di Vox – il partito più conservatore –

con una significativa novità: li ha accusati di frequentare le osterie, di essere degli avvinazzati “tabernarios”, spregevole gente da taverna.

Evidentemente, le taverne sono amatissime dai castigliani, poiché i socialisti sono crollati al minimo storico e i comunisti hanno subito una batosta che ha fatto abbandonare la politica al loro capo, Pablo Iglesias. La sinistra di ieri non avrebbe disprezzato con tanta acredine i ceti popolari che le hanno voltato le spalle. Nel caso delle taverne, demonizzate perché di destra o senz’altro “fasciste”, avrebbe almeno preso atto che si tratta di luoghi di socializzazione, di incontro, chiedendosi perché le classi popolari non credono più alle vecchie parole d’ordine. A furia di disprezzo, derisione e odio il progressismo ha ottenuto di vedersi restituito il rancore sotto forma di voti al “nemico di classe”.

Ma quale classe? Se lo domandino i signorini viziati della sinistra progressiva, progressista, benestante, colta, tollerante e ragionevole, che sta sempre dalla parte degli “altri” e mai del suo popolo, come intuì Carlo Marx; lavorano per il re di Prussia. Tanta gente comune lo ha capito, ma se la realtà non va nelle direzione “radiosa” voluta da lorsignori e lorcompagni, abbasso la realtà. Il popolo è l’avanguardia rivoluzionaria e progressista se si fa dirigere da loro: in caso contrario, torna ad essere un branco di pezzenti, straccioni, deplorevoli, sdentati, ignoranti e ora anche di loschi frequentatori di osterie.

Che cosa fa, tuttavia, la cosiddetta destra per cambiare le cose e rovesciare l’agenda dei progressisti, sostenuta e finanziata dai piani alti della finanza, dell’industria, delle multinazionali, Big Tech, Big Pharma? Poco o nulla, è una destra domestica, di servizio, o meglio addomesticata, che accetta di essere figlia di un Dio minore e non combatte battaglie di principio. Quando lo fa, guarda caso, vince o diventa credibile alternativa. La destra addomesticata ha accettato di essere l’altra faccia della luna, quella oscura e invisibile. Quel che le interessa, alla fine, è continuare a fare affari (business, as usual!), godere di paradisi fiscali e alimentare l’egoismo individuale e mercantile. Lenin diceva che l’ultimo capitalista avrebbe venduto la corda con cui i rivoluzionari si accingevano ad impiccarlo. Detestano lo Stato, ma invocano la questura in difesa dei loro interessi, la “roba” di verghiana memoria, salvo detestare le uniformi se appartengono alla Guardia di Finanza.

È per questi motivi che chi scrive, con grande meraviglia di amici e conoscenti, rifiuta fieramente l’etichetta di uomo di destra. Evitiamo i discorsi sociologici e le teorizzazioni. Il potere vincente – liberista in economia e libertario libertino nei costumi, cosmopolita e mondialista – ha scelto il sedicente progressismo come aiutante di campo ed alleato preferenziale a ragion veduta. Da quella parte hanno rinunciato a stare dalla parte del popolo, preferendo l’individualismo esasperato dei “diritti” e l’identitarismo diversitario delle minoranze. Chi sta dalla parte degli ultimi e, soprattutto, dei penultimi, ovvero la maggioranza stragrande delle nostre società?

Gli spazi di libertà si restringono ogni giorno. Siamo già rinchiusi in un recinto nel quale diventa oro colato l’affermazione del misterioso Bansky, l’ignoto artista di strada, dipinta con inchiostro color sangue su un anonimo muro metropolitano: if graffiti changed anything, it would be illegal. Se i graffiti cambiassero qualcosa, sarebbero illegali. L’affermazione è rilevante poiché esprime una verità che unisce sinistra e destra di sistema, allegramente riunite al centro, il luogo degli affari e dell’indicibile: non esiste possibilità di cambiare la nostra società dall’interno. Tutt’al più sono ammesse alcune zone franche, rari luoghi di dibattito libero, di elaborazione critica, giusto per non far saltare la pentola a pressione. Graffiti sui muri che, quando il proprietario deciderà, verranno ripuliti con spese a carico degli autori.

La speranza si spegne giorno dopo giorno insieme ai diritti sociali, alla sicurezza, alla libertà concreta e quotidiana, alla giustizia, alle comunità, alla sovranità popolare. È tutto troppo complicato, difficile: bisogna rassegnarsi, abbozzare, accettare le briciole del banchetto dei signori. Su questo concordano la destra, la sinistra, il centro e le persone “di buon senso”. Chissà se ci salveranno i deplorevoli o le taverne. Un’ affermazione ci è rimasta conficcata come una spina: chi guadagna novecento euro al mese è uno sciocco se pensa e vota a destra. Ha torto per il gelido materialismo dell’asserzione e perché i princìpi non dipendono dal reddito: la destra “morale” è spesso formata da persone di modesta condizione economica. Ha purtroppo ragione se analizziamo l’istinto delle destre “reali” alla prova dei fatti: privatizzazioni, vantaggi per chi ha di più, egoismo mascherato da libertà.

Chi scrive non nasconde la propria ammirazione per José Antonio Primo de Rivera, fucilato dai socialcomunisti, appassionato difensore di una Patria che dà ai suoi figli “pane e giustizia”. Lo gridò in faccia ai suoi assassini, davanti al plotone di esecuzione: “Vi hanno detto che sono un avversario da uccidere, ma voi ignorate che il mio sogno era Patria, pane e giustizia per tutti gli spagnoli, specie per i miseri e i diseredati. Dovete credermi, quando si sta per morire non si può mentire”. Del resto, che senso ha amare la propria terra, i suoi costumi e sentimenti, se non si ama innanzitutto chi ne fa parte, il popolo per il quale si desidera benessere, libertà, un futuro migliore? Romanticismo politico, sentimenti incapacitanti, incompatibili con la battaglia quotidiana, forse, ma è ai quei sentimenti elementari che deve il suo successo l’avversario.

C’è un aspetto da salvare del liberalismo originario, sgominato dal liberismo economico e dal libertarismo/libertinismo sociale diventato proibizionista. Sta in quella parte del Trattato del governo civile in cui John Locke difende la sfera intangibile dei diritti naturali di ogni persona, definita dalla triade “vita, libertà, averi”. Nessun governo, nessuna ideologia è accettabile se non salvaguarda questi principi ed è legittimo opporre a chi li infrange il diritto naturale di resistenza. Locke trasse quei fondamenti dalla tradizione tomista del De regimine principum. La triade lockiana è stata sostituita dall’equivoco rivoluzionario francese: libertà, (la libertà borghese degli affari), ma anche uguaglianza – che è il suo contrario e ha senso solo come isonomia, uguaglianza davanti alla legge – e l’equivoca fraternità. Prendiamoli in parola: fratelli sono coloro che hanno gli stessi genitori, i connazionali, coloro che condividono un sistema di valori, una lingua, un territorio. La parentela con tutti gli altri umani è meno stretta ed è legge di natura amare di più la propria gente che gli estranei.

Locke ci richiama innanzitutto a difendere la vita, ossia a rivendicare lo spazio personale, intimo e inviolabile della prima sovranità, quella su se stessi. La post modernità è potere sulla vita, biocrazia. Si è impadronita dei nostri corpi ed entra sempre più nelle nostre anime. Vaccinazioni, chip, indottrinamento martellante della comunicazione, sorveglianza continua da remoto, telecamere, tecnologia, dati e metadati che “profilano” proprio me e te. In più il tecno-feudalesimo decide per noi se possiamo muoverci, lasciare la nostra casa (quando ce l’abbiamo, l’obiettivo è che non dobbiamo possedere nulla, poiché tutto è “cosa loro”), lavorare in un ufficio, un commercio o una fabbrica oppure restare inchiodati in casa davanti allo schermo. Decide perfino di impartire l’educazione scolastica a distanza, tra opuscoli d’istruzioni, tutorial, filmati, pulsanti e tasti nella solitudine incomunicabile di una celletta dell’alveare, il “loro” alveare.

Difendere la vita concreta è dunque centrale, a partire dal dovere di dare una chance di esistenza a chi non è ancora nato, a non essere considerato un grumo di cellule da espellere, rifiuti da trattare o conservare per essere utilizzati nell’industria estetica o come componenti dei vaccini di ultima generazione. Senza vita non c’è libertà. Habeas corpus: il mio corpo fisico e il mio spirito sono miei e non possono essere penetrati, espropriati, violati, una forma post moderna di stupro. Libertà significa innanzitutto poter pensare, imparare, confrontare, dibattere, liberi da censure e dal bisogno materiale. Nessuna proibizione, rivendichiamo noi il “vietato vietare” del Sessantotto.

Fermo restando il rigetto della violenza, non vi è idea, opinione e parola che non abbia diritto di cittadinanza. Libertà è anche il diritto di lavorare, scegliere un’attività e svolgerla senza interferenze. Lo Stato non è il mio padrone, piuttosto il mio difensore. La proprietà privata – chi scrive lo affermava anni fa nello stupore generale – va difesa non dal comunismo, ma dal liberalismo degenerato. Se mi tolgono vita e libertà mi negano l’essere. Se non posso possedere qualcosa – a partire dal denaro contante che mi tolgono dalle tasche per trasferirlo nella loro insindacabile disponibilità – mi proibiscono di avere. Ci vogliono poveri, immobili, ignoranti, dipendenti. Dalla loro “benevolenza”, dalla loro tecnologia, dalle loro terapie che invadono il corpo per impadronirsi dell’anima. Animali con reddito minimo universale elargito da lorsignori previa richiesta all’ufficio competente, da spendere con apposita carta di credito, utilizzabile per i beni e i servizi ammessi da loro.

Questa è vita, è libertà, è “avere” ed “essere”? Non sappiamo se stiamo esponendo principi di destra, di centro o di sinistra. Meglio sarebbe dimenticare questi termini, frutto di stagioni passate e rammentare che José Ortega y Gasset considerava destra e sinistra forme speculari di emiplegia mentale, ossia di paralisi del cervello.

Fatto sta che la destra reale è addomesticata. Non fiata sui principi, non crede più alla triade Dio, Patria e famiglia, non ha più rispetto per legge e ordine (tranne che per difendere la proprietà e gli interessi oligarchici), ride di vecchi valori come lealtà, fedeltà, rispetto della parola data, onore. Non vi si può applicare il cartellino con il prezzo, dunque non valgono nulla sul mercato. Quanto al pane e la giustizia sociale, “se non ce la fai, peggio per te”. Diventa imprenditore di te stesso, credi nelle tre “I” come Silvio: Internet, inglese, impresa. Mezzi, non fini, strumenti per avere successo, il modo ipocrita per dire “fare soldi”. E chi se ne frega se gli altri, i risvegliati (il progressismo ultimo chiama così se stesso, woke) impongono le parole vietate e quelle obbligatorie, negano per legge il diritto a dire ciò che si pensa di un numero impressionante di cose, distruggono quel che resta della comunità, della famiglia, della legge naturale, cancellano la civiltà in nome del nulla.

Essenziale è che si possano fare affari. Anzi, adesso è meglio: se tutto è ridotto a cosa, se tutto è compravendibile, si allarga il giro d’affari. Nuove opportunità per chi è furbo, svelto, cinico. Camminano insieme, la destra e la sinistra, e insieme tolgono la vita, la libertà, gli averi e la dignità. Occorre una nuova teoria sociale, morale e politica, ma se vogliamo mantenere in piedi l’edificio fatiscente della destra e della sinistra, basta con la versione “domestica” di entrambe. La sinistra, almeno, consegue con moto accelerato il suo obiettivo di demolire il mondo e costruirne uno nuovo, peggiore. È la sua ragion d’essere, la ostentarono dopo la Bastiglia, sedendosi a sinistra nell’assemblea nazionale, affinché tutto quanto era sempre stato “diritto”, ovvero giusto e naturale, fosse capovolto. La loro missione è compiuta, in gran parte a spese di chi non chiedeva che pane e giustizia, gli sdentati, i deplorevoli, gli ignoranti, i tipi da taverna.

La destra addomesticata è la versione senza maschera della sinistra neo liberale in campo economico sociale, un po’ più lenta nella distruzione dei principi fondanti, come dimostra l’iniziativa di Lega e FI sulla legge anti omofobia, formulazione light di principi analoghi a quelli del ddl Zan. È l’”opposizione di Sua Maestà” in un mondo simile al muro dei graffiti: un angusto recinto di libertà vigilata. Come i graffiti, se la destra domestica contasse qualcosa non esisterebbe o la vieterebbero d’autorità.

Spetta a noi cancellare i graffiti e rifare il quadro; spetta a chi crede nella Vita, nella Libertà e nell’Essere, agire perché ci siano pane e giustizia, ossia dignità, presupposti di un mondo fondato su Dio, Patria, famiglia, comunità, identità, morale e legge naturale. Il fronte di chi non sarà mai domestico.

Deplorevoli: così Hillary Clinton definì nel 2016 i sostenitori di Donald Trump. Qualche anno prima, il presidente socialista François Hollande, alla vigilia di ,0una sconfitta elettorale da cui il suo partito non si è più ripreso, chiamò “sdentati” i suoi avversari politici, specie gli elettori di Marine Le Pen. Analogo disprezzo, con l’accusa di essere vecchi e ignoranti, fu lanciata in Inghilterra ai sostenitori della Brexit. Fatto sta che Trump vinse le elezioni e probabilmente fece lo stesso nel novembre scorso, quando i brogli elettorali hanno messo le ali a Joe Biden. Hollande è un ricordo, il suo partito arranca. La Brexit funziona e ha portato alla ribalta un politico conservatore senza complessi, Boris Johnson. Nonostante la demonizzazione, Marine Le Pen è ancora in sella e il suo partito è il più votato dagli operai e dalla classe medio bassa francese, esattamente come Trump e Johnson hanno cambiato pelle all’elettorato dei rispettivi partiti, una volta campioni dei ceti abbienti.

Anche da noi, Lega e Fratelli d’Italia riuniscono l’anima delle piccole e medie partite Iva con quella popolare e identitaria. Il disprezzo progressista e comunista nei confronti dei loro elettori è uguale a quello del resto del resto d’Occidente: analfabeti, rozzi, incolti, eccetera. L’orribile “destra” degli sconfitti della globalizzazione, di chi lavora faticosamente e non ha dimenticato le tradizioni morali, civiche, spirituali del popolo cui appartiene.

Mancava all’appello la Spagna, ma la lacuna è stata colmata. Le elezioni della regione di Madrid – centro motore culturale, politico ed economico della nazione iberica – hanno inflitto una storica stangata alle sinistre. La vincitrice, Isabel Diaz Ayuso, è la beniamina della Madrid popolare, dei commercianti, dei tassisti, di chi vive di turismo, della piccola e media impresa, titolari e dipendenti, e, pare, dei baristi. Male gliene è incolto: il presidente dell’Istat spagnolo, José Tezanos, un barbuto, accigliato intellettuale legato al partito socialista, ha trattato da ignoranti – come di consueto – gli elettori della Ayuso e di Vox – il partito più conservatore –

con una significativa novità: li ha accusati di frequentare le osterie, di essere degli avvinazzati “tabernarios”, spregevole gente da taverna.

Evidentemente, le taverne sono amatissime dai castigliani, poiché i socialisti sono crollati al minimo storico e i comunisti hanno subito una batosta che ha fatto abbandonare la politica al loro capo, Pablo Iglesias. La sinistra di ieri non avrebbe disprezzato con tanta acredine i ceti popolari che le hanno voltato le spalle. Nel caso delle taverne, demonizzate perché di destra o senz’altro “fasciste”, avrebbe almeno preso atto che si tratta di luoghi di socializzazione, di incontro, chiedendosi perché le classi popolari non credono più alle vecchie parole d’ordine. A furia di disprezzo, derisione e odio il progressismo ha ottenuto di vedersi restituito il rancore sotto forma di voti al “nemico di classe”.

Ma quale classe? Se lo domandino i signorini viziati della sinistra progressiva, progressista, benestante, colta, tollerante e ragionevole, che sta sempre dalla parte degli “altri” e mai del suo popolo, come intuì Carlo Marx; lavorano per il re di Prussia. Tanta gente comune lo ha capito, ma se la realtà non va nelle direzione “radiosa” voluta da lorsignori e lorcompagni, abbasso la realtà. Il popolo è l’avanguardia rivoluzionaria e progressista se si fa dirigere da loro: in caso contrario, torna ad essere un branco di pezzenti, straccioni, deplorevoli, sdentati, ignoranti e ora anche di loschi frequentatori di osterie.

Che cosa fa, tuttavia, la cosiddetta destra per cambiare le cose e rovesciare l’agenda dei progressisti, sostenuta e finanziata dai piani alti della finanza, dell’industria, delle multinazionali, Big Tech, Big Pharma? Poco o nulla, è una destra domestica, di servizio, o meglio addomesticata, che accetta di essere figlia di un Dio minore e non combatte battaglie di principio. Quando lo fa, guarda caso, vince o diventa credibile alternativa. La destra addomesticata ha accettato di essere l’altra faccia della luna, quella oscura e invisibile. Quel che le interessa, alla fine, è continuare a fare affari (business, as usual!), godere di paradisi fiscali e alimentare l’egoismo individuale e mercantile. Lenin diceva che l’ultimo capitalista avrebbe venduto la corda con cui i rivoluzionari si accingevano ad impiccarlo. Detestano lo Stato, ma invocano la questura in difesa dei loro interessi, la “roba” di verghiana memoria, salvo detestare le uniformi se appartengono alla Guardia di Finanza.

È per questi motivi che chi scrive, con grande meraviglia di amici e conoscenti, rifiuta fieramente l’etichetta di uomo di destra. Evitiamo i discorsi sociologici e le teorizzazioni. Il potere vincente – liberista in economia e libertario libertino nei costumi, cosmopolita e mondialista – ha scelto il sedicente progressismo come aiutante di campo ed alleato preferenziale a ragion veduta. Da quella parte hanno rinunciato a stare dalla parte del popolo, preferendo l’individualismo esasperato dei “diritti” e l’identitarismo diversitario delle minoranze. Chi sta dalla parte degli ultimi e, soprattutto, dei penultimi, ovvero la maggioranza stragrande delle nostre società?

Gli spazi di libertà si restringono ogni giorno. Siamo già rinchiusi in un recinto nel quale diventa oro colato l’affermazione del misterioso Bansky, l’ignoto artista di strada, dipinta con inchiostro color sangue su un anonimo muro metropolitano: if graffiti changed anything, it would be illegal. Se i graffiti cambiassero qualcosa, sarebbero illegali. L’affermazione è rilevante poiché esprime una verità che unisce sinistra e destra di sistema, allegramente riunite al centro, il luogo degli affari e dell’indicibile: non esiste possibilità di cambiare la nostra società dall’interno. Tutt’al più sono ammesse alcune zone franche, rari luoghi di dibattito libero, di elaborazione critica, giusto per non far saltare la pentola a pressione. Graffiti sui muri che, quando il proprietario deciderà, verranno ripuliti con spese a carico degli autori.

La speranza si spegne giorno dopo giorno insieme ai diritti sociali, alla sicurezza, alla libertà concreta e quotidiana, alla giustizia, alle comunità, alla sovranità popolare. È tutto troppo complicato, difficile: bisogna rassegnarsi, abbozzare, accettare le briciole del banchetto dei signori. Su questo concordano la destra, la sinistra, il centro e le persone “di buon senso”. Chissà se ci salveranno i deplorevoli o le taverne. Un’ affermazione ci è rimasta conficcata come una spina: chi guadagna novecento euro al mese è uno sciocco se pensa e vota a destra. Ha torto per il gelido materialismo dell’asserzione e perché i princìpi non dipendono dal reddito: la destra “morale” è spesso formata da persone di modesta condizione economica. Ha purtroppo ragione se analizziamo l’istinto delle destre “reali” alla prova dei fatti: privatizzazioni, vantaggi per chi ha di più, egoismo mascherato da libertà.

Chi scrive non nasconde la propria ammirazione per José Antonio Primo de Rivera, fucilato dai socialcomunisti, appassionato difensore di una Patria che dà ai suoi figli “pane e giustizia”. Lo gridò in faccia ai suoi assassini, davanti al plotone di esecuzione: “Vi hanno detto che sono un avversario da uccidere, ma voi ignorate che il mio sogno era Patria, pane e giustizia per tutti gli spagnoli, specie per i miseri e i diseredati. Dovete credermi, quando si sta per morire non si può mentire”. Del resto, che senso ha amare la propria terra, i suoi costumi e sentimenti, se non si ama innanzitutto chi ne fa parte, il popolo per il quale si desidera benessere, libertà, un futuro migliore? Romanticismo politico, sentimenti incapacitanti, incompatibili con la battaglia quotidiana, forse, ma è ai quei sentimenti elementari che deve il suo successo l’avversario.

C’è un aspetto da salvare del liberalismo originario, sgominato dal liberismo economico e dal libertarismo/libertinismo sociale diventato proibizionista. Sta in quella parte del Trattato del governo civile in cui John Locke difende la sfera intangibile dei diritti naturali di ogni persona, definita dalla triade “vita, libertà, averi”. Nessun governo, nessuna ideologia è accettabile se non salvaguarda questi principi ed è legittimo opporre a chi li infrange il diritto naturale di resistenza. Locke trasse quei fondamenti dalla tradizione tomista del De regimine principum. La triade lockiana è stata sostituita dall’equivoco rivoluzionario francese: libertà, (la libertà borghese degli affari), ma anche uguaglianza – che è il suo contrario e ha senso solo come isonomia, uguaglianza davanti alla legge – e l’equivoca fraternità. Prendiamoli in parola: fratelli sono coloro che hanno gli stessi genitori, i connazionali, coloro che condividono un sistema di valori, una lingua, un territorio. La parentela con tutti gli altri umani è meno stretta ed è legge di natura amare di più la propria gente che gli estranei.

Locke ci richiama innanzitutto a difendere la vita, ossia a rivendicare lo spazio personale, intimo e inviolabile della prima sovranità, quella su se stessi. La post modernità è potere sulla vita, biocrazia. Si è impadronita dei nostri corpi ed entra sempre più nelle nostre anime. Vaccinazioni, chip, indottrinamento martellante della comunicazione, sorveglianza continua da remoto, telecamere, tecnologia, dati e metadati che “profilano” proprio me e te. In più il tecno-feudalesimo decide per noi se possiamo muoverci, lasciare la nostra casa (quando ce l’abbiamo, l’obiettivo è che non dobbiamo possedere nulla, poiché tutto è “cosa loro”), lavorare in un ufficio, un commercio o una fabbrica oppure restare inchiodati in casa davanti allo schermo. Decide perfino di impartire l’educazione scolastica a distanza, tra opuscoli d’istruzioni, tutorial, filmati, pulsanti e tasti nella solitudine incomunicabile di una celletta dell’alveare, il “loro” alveare.

Difendere la vita concreta è dunque centrale, a partire dal dovere di dare una chance di esistenza a chi non è ancora nato, a non essere considerato un grumo di cellule da espellere, rifiuti da trattare o conservare per essere utilizzati nell’industria estetica o come componenti dei vaccini di ultima generazione. Senza vita non c’è libertà. Habeas corpus: il mio corpo fisico e il mio spirito sono miei e non possono essere penetrati, espropriati, violati, una forma post moderna di stupro. Libertà significa innanzitutto poter pensare, imparare, confrontare, dibattere, liberi da censure e dal bisogno materiale. Nessuna proibizione, rivendichiamo noi il “vietato vietare” del Sessantotto.

Fermo restando il rigetto della violenza, non vi è idea, opinione e parola che non abbia diritto di cittadinanza. Libertà è anche il diritto di lavorare, scegliere un’attività e svolgerla senza interferenze. Lo Stato non è il mio padrone, piuttosto il mio difensore. La proprietà privata – chi scrive lo affermava anni fa nello stupore generale – va difesa non dal comunismo, ma dal liberalismo degenerato. Se mi tolgono vita e libertà mi negano l’essere. Se non posso possedere qualcosa – a partire dal denaro contante che mi tolgono dalle tasche per trasferirlo nella loro insindacabile disponibilità – mi proibiscono di avere. Ci vogliono poveri, immobili, ignoranti, dipendenti. Dalla loro “benevolenza”, dalla loro tecnologia, dalle loro terapie che invadono il corpo per impadronirsi dell’anima. Animali con reddito minimo universale elargito da lorsignori previa richiesta all’ufficio competente, da spendere con apposita carta di credito, utilizzabile per i beni e i servizi ammessi da loro.

Questa è vita, è libertà, è “avere” ed “essere”? Non sappiamo se stiamo esponendo principi di destra, di centro o di sinistra. Meglio sarebbe dimenticare questi termini, frutto di stagioni passate e rammentare che José Ortega y Gasset considerava destra e sinistra forme speculari di emiplegia mentale, ossia di paralisi del cervello.

Fatto sta che la destra reale è addomesticata. Non fiata sui principi, non crede più alla triade Dio, Patria e famiglia, non ha più rispetto per legge e ordine (tranne che per difendere la proprietà e gli interessi oligarchici), ride di vecchi valori come lealtà, fedeltà, rispetto della parola data, onore. Non vi si può applicare il cartellino con il prezzo, dunque non valgono nulla sul mercato. Quanto al pane e la giustizia sociale, “se non ce la fai, peggio per te”. Diventa imprenditore di te stesso, credi nelle tre “I” come Silvio: Internet, inglese, impresa. Mezzi, non fini, strumenti per avere successo, il modo ipocrita per dire “fare soldi”. E chi se ne frega se gli altri, i risvegliati (il progressismo ultimo chiama così se stesso, woke) impongono le parole vietate e quelle obbligatorie, negano per legge il diritto a dire ciò che si pensa di un numero impressionante di cose, distruggono quel che resta della comunità, della famiglia, della legge naturale, cancellano la civiltà in nome del nulla.

Essenziale è che si possano fare affari. Anzi, adesso è meglio: se tutto è ridotto a cosa, se tutto è compravendibile, si allarga il giro d’affari. Nuove opportunità per chi è furbo, svelto, cinico. Camminano insieme, la destra e la sinistra, e insieme tolgono la vita, la libertà, gli averi e la dignità. Occorre una nuova teoria sociale, morale e politica, ma se vogliamo mantenere in piedi l’edificio fatiscente della destra e della sinistra, basta con la versione “domestica” di entrambe. La sinistra, almeno, consegue con moto accelerato il suo obiettivo di demolire il mondo e costruirne uno nuovo, peggiore. È la sua ragion d’essere, la ostentarono dopo la Bastiglia, sedendosi a sinistra nell’assemblea nazionale, affinché tutto quanto era sempre stato “diritto”, ovvero giusto e naturale, fosse capovolto. La loro missione è compiuta, in gran parte a spese di chi non chiedeva che pane e giustizia, gli sdentati, i deplorevoli, gli ignoranti, i tipi da taverna.

La destra addomesticata è la versione senza maschera della sinistra neo liberale in campo economico sociale, un po’ più lenta nella distruzione dei principi fondanti, come dimostra l’iniziativa di Lega e FI sulla legge anti omofobia, formulazione light di principi analoghi a quelli del ddl Zan. È l’”opposizione di Sua Maestà” in un mondo simile al muro dei graffiti: un angusto recinto di libertà vigilata. Come i graffiti, se la destra domestica contasse qualcosa non esisterebbe o la vieterebbero d’autorità.

Spetta a noi cancellare i graffiti e rifare il quadro; spetta a chi crede nella Vita, nella Libertà e nell’Essere, agire perché ci siano pane e giustizia, ossia dignità, presupposti di un mondo fondato su Dio, Patria, famiglia, comunità, identità, morale e legge naturale. Il fronte di chi non sarà mai domestico.

4 commenti su “La destra addomesticata”

  1. A voi non interessa l’invasione di clandestini, di un continente che si muove per sostituirci. Non interessa che li stato ti porta via il 60% del guadagno. A convertire le genti ci pensi il prete non il partito. Siete in grado di fare un partito migliore? Provateci. Tra 100 anni forse vincerete le elezioni! Si sceglie quello che c’è. Da una parte più clandestini, più tasse, più gender.
    Dall’altra gli italiani.

  2. Non mi piace. Sarei daccordo sul tema ma è troppo luno e confuso (forse non è stato riletto e/o scritto in fretta): le accuse sono gerneriche e le diverse posizioni (ci sono tre destre diverse!) non differenziate. Se seguitate ad essere così generici ed imprecisi dovrò smettere di leggervi

  3. Perfettamente d’accordo! Basti pensare alla belante reazione che si è avuta rispetto alle recenti iniziative censorie e intimidatorie.

  4. Andrea Griseri

    I radical chic si sono dimenticati che il popolo , quello vero, amava le osterie di fuori porta, quelle cantate da Guccini. Da anticomunista mi viene spesso da esclamare. ridateci i comunisti del passato! Con loro si poteva ragionare e magari provare a costruire qualcosa come ebbe a intuire Moro. Ma lo hanno fermato e da allora è iniziata la discesa agli inferi….

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