LA DESTRA DOPO LA PARENTESI NEODESTRA – di Piero Vassallo

Sofistica e cultura

 

di Piero Vassallo

 

 

A differenza della sofistica, metodo da sempre funzionale all’ambizione di ciarlatani politicanti, intesi a stupire, ingannare e sfruttare il qualunque ammiratore della parola facile e squillante, la cultura è l’autobiografia delle società civili e la testimonianza della loro ascesa o della loro decadenza.

L’icona della cultura, visibile in filigrana nella Scienza Nuova di Vico, è un cerchio in continuo movimento, in cui il timor di Dio avvia la liberazione dal disordine e il racconto dell’oscuro passato prepara la riflessione filosofica, che disegna infine la legge della città a misura d’uomo.

La dismisura sofistica, l’irreligione, che si capovolge nella mitologia intorno all’uomo misura di tutte le cose, al contrario, soffoca la radice dell’autentico progresso, diffonde la disperazione nichilista e conduce al bivio tra il suicidio della civiltà e il ricominciamento dal timor di Dio.vico

L’errore che ha fatto arretrare la destra almirantiana nella Roma di Marozia, dove ha subito il ridicolo fallimento di Fini & Bocchino & Granata è, appunto, la dismisura sofistica, il culto della volontà di volontà, la furiosa e vuota ambizione emanata dall’abbagliante figura di Nietzsche, sedicente discepolo di Spinoza ed effettivo precursore dell’anarchia ultramoderna.

L’allucinazione superomistica ha trasformato la destra del piccolo oligarca Fini in un futile surrogato della sinistra immoralista e anarcoide, ovvero nella brutta copia dell’ideologia generata dall’esito rovinoso dell’esperienza sovietica.

Sospinta dal soffio agonico di una cultura aliena, umiliata dall’insuccesso sovietico e devastata dalla tarda suggestione francofortese, la fazione di Fini & Bocchino & Granata si è trasformata in società del vuoto mentale, una scuola Zen a misura degli orfani brezneviani.

Calata la tela sulla farsa dei nietzschiani, militanti tra i fantasmi di gloria nutriti dall’imperiosa Marozia e le roventi frustrazioni di Fini, è tempo di congedare il Bocchino-pensiero e di riprendere il filo del discorso sulla cultura della destra.

Ora il primo dovere che la gravità del momento impone agli uomini di cultura legati alla destra è  liquidare le viete opinioni intorno alla supremazia dell’azione politica sull’attività culturale.

Di conseguenza il problema che gli studiosi impegnati a destra devono risolvere è l’uscita dall’inganno, che contempla il consenso elettorale quale ultima e assoluta fonte dell’autorità, e ultimamente attribuisce agli eletti del popolo il compito di dire l’ultima parola sul bene della società.

Occorre smentire la leggenda (di origine hobbesiana) che nel politicante vede un demiurgo, capace di trasformare il naturale disordine del branco umano in società ordinata, e ristabilire la verità sulla politica, che ha origine dalle esigenze della società consorziata secondo la legge naturale.

La destra moderna non può prescindere dall’insegnamento tradizionale sull’origine della politica dunque non può ignorare la dottrina esposta da Pio XII (nel radio-messaggio del Natale del 1944) sullo stato, che non organizza una massa amorfa ma si costituisce legittimamente ed efficacemente solo dove già esiste una vera società.

Dopo che l’attività politica è stata separata dalla mitologia assolutista hobbesiana si può tener conto della circolazione di influssi reciproci da sempre in atto tra la letteratura, la filosofia e la politica.

La lettera di Giambattista Vico all’abate Degli Esperti dimostra, ad esempio, il rapporto di causa effetto tra la filosofia (nello specifico la filosofia relativista di Pierre Gassendi) e l’opinione mondana inquinata dai cattivi romanzi.

Il relativismo, infatti, non è una novità dei nostri anni, ma un’antica debolezza del pensiero – la sofistica – che emerge puntualmente nelle situazioni segnate dalla debolezza morale incrementata dalle cattive letture.

L’influsso velenoso della cattiva  letteratura fu percepito dagli ecclesiastici ispanici, che commissionario a Miguel de Cervantes, la scrittura di un libro, Don Chisciotte, concepito per mettere alla berlina i fanatici della cavalleria superomistica.

Purtroppo Miguel de Unamuno negli anni Trenta ha invitato il “chisciottottismo” tragico, aprendo un nuovo e curioso capitolo nella storia dei dotti fraintendimenti…

Non si può dimenticare l’influsso decisivo che il provvidenzialismo di Giambattista Vico esercitò nell’autore del più importante romanzo italiano: Alessandro Manzoni, infatti, conobbe ed apprezzò la filosofia del genio napoletano conversando con Vincenzo Cuoco esule a Milano. E da tale conoscenza ebbe origine un romanzo che ha contribuito alla formazione della (migliore) coscienza civile degli italiani.

Questi soli esempi (fra i tanti che si potrebbero citare) sono sufficienti a dimostrare la stupidità suicidaria dei politicanti che sottovalutano la funzione ora educativa ora diseducativa esercitata dalla filosofia e dalla letteratura. E consentono di ridimensionare la figura del politicante illuso di volare al di sopra della società e della sua originaria cultura.

 

 

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