di P. Giovanni Cavalcoli, OP
Il Concilio Vaticano II, come ci dicono gli studiosi, nel campo dell’ecclesiologia ha avuto tra le altre la funzione di completare l’opera del Concilio Vaticano I, il quale, come è noto, fu interrotto a seguito dell’ingresso in Roma delle truppe piemontesi.
Così il Vaticano II, dopo che il Concilio precedente aveva trattato dei poteri del Papa, passò a trattare di quelli delle altre compagini ecclesiali, cominciando, come sappiamo, dalla dottrina del Popolo di Dio, ossia la Chiesa come insieme dei fedeli, e poi le funzioni dei vescovi, dei presbiteri, dei religiosi e dei laici: un corpo di dottrina imponente ed importantissimo, che ci fa meglio conoscere con ordine e le dovute distinzioni, quali sono i vari ministeri, uffici, servizi, missioni e carismi strutturali della Chiesa.
Con ciò il Concilio ha voluto valorizzare, attivare e stimolare, nella loro giusta autonomia ma anche nelle reciproche relazioni, tutte le energie, le forze e le potenzialità della Chiesa, così da assicurarle quel nuovo slancio evangelizzatore e missionario che notoriamente fu, secondo le indicazioni del Beato Giovanni XXIII, uno degli scopi se non proprio lo scopo principale del Concilio. In questa linea di potenziamento delle strutture della Chiesa il Concilio elaborò una più approfondita dottrina del Collegio episcopale e della Chiesa locale. Da ciò poi son nate le Conferenze episcopali nazionali.
Tuttavia, a mio modesto avviso, in questo enorme corpo di dottrina, nel momento in cui si ribadivano con totale chiarezza il primato, le prerogative ed i poteri del Romano Pontefice, si trascurò di proporre una sufficiente dottrina circa quell’indispensabile strumento del suo magistero e del suo governo che è la Curia Roma con l’insieme dei suoi dicasteri e dei suoi uffici, a cominciare dalla Segreteria di Stato.
E’ vero che immediatamente dopo la fine del Concilio vi provvedette saggiamente Paolo VI, che pur veniva su dalla Segreteria di Stato, ma – benchè io non sia un esperto in questo campo – devo esprimere la mia modesta opinione che non so quanto tale riforma sia stata veramente efficace. Ci si doveva liberare dalla secolare antipatia nei confronti della Curia Romana che risaliva addirittura alla nascita del luteranesimo e forse non si ebbe il coraggio di dare a questo preziosissimo organismo, che media fra il Papa e il Popolo di Dio, la sufficiente funzionalità, energia e chiarezza.
Impressionati dallo stantio luogo comune anticlericale della “prepotenza della Curia Romana”, la riforma ha prodotto una Curia troppo debole e scarsamente utile per una conduzione efficace della Chiesa da parte del Papa, mentre sono eccessivamente emerse le istanze dell’episcopato e dei teologi, i quali in certi casi hanno sottovalutato e visto male quell’organo di governo del Papa.
Questa lacuna, secondo me, è uno dei motivi che sono all’origine della nefasta separazione che sarebbe sorta in modo drammatico dall’immediato postconcilio e che dura a tutt’oggi, fra il Papa e suoi immediati, fidati e fedeli collaboratori da una parte – in fin dei conti la Curia esiste ancora! – e dall’altra il resto del Popolo di Dio, a cominciare del collegio cardinalizio ed episcopale, per arrivare a tutte le altre componenti del corpo ecclesiale.
E’ successo così, e questo tutti lo hanno notato, che la giusta valorizzazione del Popolo di Dio promossa dal Concilio, in molti casi è stata falsificata da uno stile e da un’impostazione di eccessiva autonomia nei confronti della S.Sede, per non dire di aperta disobbedienza e ribellione con contestazioni di ogni sorta, sia nel campo disciplinare che, e ciò è molto peggio, addirittura nel campo della dottrina della fede.
Il Papa ha cominciato a restare isolato, inascoltato, disatteso, addirittura tradito. Basti per tutti l’orrendo episodio di Paolo Gabriele col processo che ne è seguito, dal quale sembrerebbe risultare che egli avrebbe agito “da solo”, cosa assurda solo che qualunque persona di buon senso rifletta sull’accaduto, del resto reso noto dagli stessi organi del Vaticano: come si può pensare che un qualunque oscuro – che però doveva essere fidatissimo – domestico privato del Papa abbia potuto da solo per scopi suoi privati sottrarre furtivamente al Sommo Pontefice per sei anni 82 scatoloni di documenti privati e segreti, probabilmente molto importanti, senza che nessuno in Segreteria di Stato se ne sia accorto? Che cosa se ne faceva Gabriele di tutto questo immenso delicatissimo materiale? Voleva mettere su un archivio storico per conto suo?
E chi vi parla è uno che ha lavorato in Segreteria di Stato per otto anni, dal 1982 al 1990. A chi la si vuol dare ad intendere? Perché non riconoscere piuttosto in quanto è avvenuto un fatto orribile ed inaudito, che certamente ha procurato un’enorme sofferenza al Vicario di Cristo, da lui sopportata con altissima dignità? Perché non si trovano commenti autorevoli di questo episodio? Non è forse il caso di fare ulteriori indagini per togliere quella “sporcizia” della quale parlò il Papa in una famosa omelia?
Non sarà forse questa la punta dell’iceberg della ribellione che da tempo si è insinuata nei confronti del Papa persino tra i suoi stretti collaboratori? Non si nota forse da tempo dissenso e contrasto col Papa persino il alcuni Cardinali? Non c’è ribellione al Papa persino negli Ordini che tradizionalmente sono stati il suo braccio destro, come i Domenicani e i Gesuiti?
Questa volta i modernisti infiltrati persino nella Segreteria di Stato, sentendosi sicuri, hanno fatto un imperdonabile passo falso, per il quale adesso non può essere tutto come prima, benchè essi siano riusciti ad far fare un processo giudiziario in un settimana, ingenuamente lodato per la sua velocità da parte di certi giuristi italiani: per forza! si è voluto coprire tutto il più presto possibile, nella speranza (vana) che questo imbarazzante episodio sia dimenticato quanto prima. Ma, come dice il proverbio: “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Si è trovato lo zampino, ora bisogna trovare la gatta.
Un giorno in Segreteria di Stato vidi per caso un appunto al Papa del Cardinal Domenicano Luigi Mario Ciappi, degnissima persona che mi onorava della sua amicizia. Era il Teologo della Casa Pontificia. Il biglietto diceva con tono allarmato e la franchezza tipica del Domenicano: “Santità, ci sono deviazioni dottrinali persino nella Facoltà Teologhe Pontificie”.
La cosa tragicomica è che i modernisti si permettono di disobbedire tranquillamente al Papa anche in materia di fede, mentre guai a chi disobbedisce loro, sempre in materia di “fede”, naturalmente la “fede” come la intendono loro, che comporta ogni genere di deviazione dalla autentica ortodossia. In tal modo essi da una parte lasciano parlare o difendono gli eretici, e dall’altra vorrebbero chiudere la bocca ai difensori del Papa, del Magistero e della sana dottrina. La situazione sta diventando intollerabile. Occorre veramente una “riscossa cristiana”!
Il Papa solo com’è, con traditori in casa, difficilmente è in grado di difendere i buoni e di correggere i ribelli. Egli certo ci dà ottime direttive. Gli strumenti per conoscere la sana dottrina non mancano. E’ carente lo strumento per far osservare la disciplina e per correggere i devianti. Con questo non nego i grandi meriti della Congregazione per la Dottrina della fede. Ma essa va aiutata, sostenuta, incoraggiata, perché più volte è stato notato da saggi osservatori come il personale stesso di questo importantissimo Organismo sembri troppo scarso ed impari alla massa enorme di questi problemi che si accumulano in questo settore fondamentale dell’“obbedienza della fede” (Rm 1,5; 15,18; II Cor 10,5; I Pt 1,22).
Obbedire al Papa, quando ci parla come Vicario di Cristo, mette in gioco la nostra obbedienza a Cristo come Mastro della Fede. La nostra fede di cattolici in Cristo ci è mediata dalla nostra obbedienza al Papa, s’intende in quanto ci insegna il Vangelo. E’ ovvio che al di fuori di questo altissimo ufficio che caratterizza il Papa in quanto Papa, egli è una persona fallibile e può fungere semplicemente, come si sul dire, da semplice “dottore privato”, come appare chiaramente dai libri, pur sempre belli e importanti, che Benedetto XVI, “Ratzinger”, come dice significativamente il sottotitolo, ha scritto su Gesù Cristo, invitando il lettore ad entrare in discussione con lui, cosa che evidentemente non farebbe se ci parlasse come Maestro della Fede e dall’altra parte come un teologo così grande come lui non potrebbe avere la libertà di esprimere le sue opinioni?
Indubbiamente questa duplice linea di insegnamento del Papa può essere fraintesa da cattolici sprovveduti. Per questo motivo, credo, i Papi del passato si sono sempre astenuti dallo scrivere libri su quel tono, anche se ovviamente in altri documenti ordinari non sempre hanno impegnato la loro infallibilità pontificia.
Tuttavia oggi possiamo pensare ad un Popolo di Dio abbastanza maturo per saper apprezzare non solo l’insegnamento ufficiale del Papa, ma anche le sue discutibili opinioni, soprattutto se si tratta di un teologo di prima grandezza, come Ratzinger, forte peraltro di una ventennale esperienza fatta alla CDF.
Le istanze autoritative intermedie che stanno tra il Papa e il Popolo di Dio, benchè ovviamente non siano dei semplici meccanici trasmettitori delle direttive e degli insegnamenti pontifici, devono oggi comprendere, in molti casi, laddove esse sono inquinate dal modernismo, che se vogliono aver autorità presso i fedeli e i sudditi, esse per prime devono obbedire al Papa e alla S.Sede.
Diversamente il fedele avveduto non potrà seguirli, ed è pronto anche a subire persecuzione, come purtroppo sta avvenendo in molti casi. Per farsi santi occorre saper soffrire anche da parte dei fratelli senza avere la timidezza o l’opportunismo di uscire dal sentiero della verità disobbedendo al Vangelo insegnato dal Successore di Pietro.