di Piero Nicola

 

Di tanto in tanto qualcuno osa indicare la droga come sostanza che, assunta abitualmente, induce al delitto. Se ne è sentito accennare in questi giorni ingrati a proposito dell’omicidio efferato e dissennato d’un commerciante cinese e della sua figlioletta.

spinelloGli esiti del vizio di assumere cocaina, eroina, hashish, pasticche allucinogene sono molti, incresciosi e disastrosi. Tuttavia l’argomento scotta; quasi nessuno lo tratta a dovere, anche perché il senso morale ha subito distorsione. Si dice il vizio del fumo: esecrabile, cancerogeno, mortifero; ma il drogato non è un vizioso, è un povero infermo, un tossicodipendente. E questo termine per lo più lo si biascica alla svelta, in punta di forchetta. I tossicomani sono scomparsi (come le prostitute, diventate escort, e gli spazzini, tramutati in operatori ecologici). Si tratta dunque di vittime delle molteplici sventure sociali e familiari. Orrore, giudicarli responsabili, quand’anche essi vollero cominciare da consapevoli del rischio, da leggeri o semplici presuntuosi.

Vale la pena di guardare a volo d’uccello i guasti e le sciagure recate dalla piaga della droga, ben conosciuta da chi l’abbia sperimentata nel proprio corpo e da chi l’abbia toccata con mano diversamente.

Spesso il drogato non può lavorare o lavora male; sovente si trova nella condizione di parassita della società. Non di rado egli è una bomba pronta allo scoppio, basta poco per accendere il detonatore. Buona parte della truculenta cronaca nera si deve a lui. Gli incidenti con morti e feriti destinati all’invalidità volentieri lo trovano implicato, altresì nei panni dell’ubriaco, in quanto il nostro soggetto inclina ad essere bevitore, nonché a consumare ogni genere di medicine e sostanze tossiche. Parecchi alcolizzati, tabagisti, farmaco-dipendenti vengono dal consumo di spinelli, neve, pere e pasticche. E quante famiglie sconquassate dalla droga! Quanti congiunti di tossicomani vivono nell’ansia e nel terrore, al pari di quelli che hanno in casa uno psicopatico, un pazzo (altra parola breve e compendiosa bandita dal dizionario). Quanti di loro incrementano l’elenco dei suicidi! La malavita facilmente arruola queste anime perse, doppiamente ridotte in schiavitù: dagli stupefacenti e dal boss della zona.

Come mai siffatta sciagura non solleva sdegno e moti di ribellione nel popolo? Eppure essa ha proporzioni tutt’altro che trascurabili, se le acque dei fiumi rivelano tracce di cocaina e le grandi mafie, le quali non ci si mettono per quattro soldi, impinguano le loro casse con il commercio più vile che ci sia. La torpida rassegnazione spiega l’acquiescenza. Di questi tempi, ne abbiamo varie riprove disgraziate.

Il sociologo è al corrente del quadro sopra tratteggiato, e dice, con sufficienza, che è uno dei malesseri sociali, un fatto ineluttabile con cui si convive, un fatto connesso al benessere. Pertanto, a che pro agitarsi e rimpiangere l’epoca in cui la droga non c’era – tranne che per pochi facoltosi debosciati – quando l’esistenza era grama e la miseria molto più estesa?

Fandonie! Il denaro disponibile per gli acquisti dallo spacciatore sarebbe il motivo per cui ci si dà al vizio? Siamo d’accordo che l’occasione fa l’uomo ladro; ossia l’uomo, il giovane in particolare, cede naturalmente alle tentazioni. Ciò non toglie che, se non ci fosse lo spaccio, nessuno cadrebbe nella schiavitù. E allora il punto dolente sta nell’offerta criminale.

L’obiezione: la delinquenza sempre ci fu, non si può eliminarla. Eh, no! La delinquenza fu perseguita e arginata in ogni sua attività, e potrebbe esserlo ancora, dovrebbe esserlo, l’offerta di morte essendo in proporzione ad un disastro sociale, avendo una dimensione vasta, inaccettabile per un civile consorzio umano.

Qui, il mio contraddittore osserva che instaurare un regime di polizia così ferreo e draconiano significherebbe opprimere le libertà, avvilire la dignità.

Non rispondo che, in pratica, il commercio esecrabile viene tollerato oltre misura, checché si dia a vedere con arresti e bande sgominate dalle forze dell’ordine. Mi limito a replicare che uno Stato avrebbe indubbiamente la capacità e la forza per ridurre al lumicino le organizzazioni a delinquere, senza umiliare nessuno, ma l’Italia, per la sua condizione politico-istituzionale e per la sua soggezione di fronte al mondo liberale, largo di concessioni all’iniquità, si dimostra impotente a provvedere.

Dando un’occhiata alla storia, negli Stati Uniti – che già avevano fallito con il proibizionismo (il flagello dell’alcolismo fu di gran lunga peggiore laggiù rispetto al resto del mondo) – la droga era penetrata nelle scuole quando da noi ciò sarebbe stato inimmaginabile. In seguito, il fenomeno droga non conobbe diminuzione. Le nazioni, ora minate da essa, sono nell’impossibilità di liberarsene, di difendere la propria gente dalle venali sirene che invitano al baccanale, e non solo dalla sirena specifica di cui mi sto occupando, ma altresì da un concerto di grazie malandrine offerte al vizio (altro vocabolo dal concetto primario rinnegato). Perciò i governanti, consapevoli d’avere le mani legate e che non fanno niente per uscirne, hanno su di sé la colpa di mali sociali gravissimi, di disgrazie e di morti evitabili. Che essi non uccidano arma alla mano, non significa che siano assolti o alquanto scagionati.

Mi giunge di nuovo all’orecchio la voce seccata del sofista libertario, del radicale, del democratico offeso e spaventato dalla troppa presenza dei gendarmi – quando a me piacerebbe vederne molti in giro, e che non figurino da belle statuine, e che mi raddrizzino pure la gobba, purché la raddrizzino a chiunque. Secondo lui, dicevo, la persona dev’essere lasciata libera il più possibile, libera di drogarsi e di suicidarsi. Ed è di quelli che hanno dichiarato una guerra spietata al fumo!

La persona, cari signori, va protetta nondimeno contro se stessa, dagli stupefacenti con cui finisce male, a cui non sa resistere, e, allo stesso identico modo, va preservata dagli stupefacenti immateriali, che suscitano di lei analogo appetito e provocano dipendenza, che sono ancor più malefici e subdoli, perché lasciano il corpo apparentemente intatto, ma rendono invalida la mente e uccidono l’anima.

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