LA FEDE CATTOLICA DI GENTILE NEL BALUGINIO DEL PENSIERO MODERNO – di Piero Vassallo

di Piero Vassallo


 

Giovanni Gentile professava la fede in Gesù Cristo secondo un’intenzione genuina, purtroppo associata al convincimento che non fosse ragionevole e sostenibile la strenua opposizione cattolica al soggettivismo di Kant e di Hegel. Riteneva, infatti, che i sommi autori della modernità avessero avviato la purificazione e iniziato la perfetta restaurazione della Verità rivelata da Gesù, vero Dio e vero uomo. Coerentemente assegnava al proprio pensiero la missione di riformare l’idealismo hegeliano per renderlo finalmente capace di condurre la dottrina cristiana alle dimenticate e censurate verità delle origini.

libero pesceNel saggio “L’interiorità intersoggettiva dell’attualismo Il personalismo di Giovanni Gentile“, edito in questi giorni dalla romana editrice Aracne, Antonio Giovanni Pesce, ammiratore e acuto interprete della filosofia gentiliana, sostiene, appunto, che, secondo il filosofo di Castelvetrano, “La modernità è la scoperta della dignità umana. Lenta, graduale, ma il cui seme è stato piantato dal Cristianesimo. E la filosofia moderna è l’appropriazione critica del deposito del Cristianesimo, lo svolgimento razionale della nuova verità, che lo spirito, correttamente inteso infine dall’attualismo, opera su un contenuto ancora intriso di mitologismo“.

A conferma della sua tesi, Pesce cita un testo in cui Gentile, dopo aver sostenuto che la separazione del divino dall’umano – ossia l’affermazione della trascendenza di Dio – è negata per la prima volta proprio dal Vangelo, conclude che “filosoficamente la teologia cristiana rimane impigliata nella rete del platonismo e aristotelismo; e quando la filosofia moderna proseguì l’opera che essa aveva iniziata di intrinsecare il divino coll’umano, le si volse contro nemica; e fissa ormai nella tradizione de’ suoi istituti, s’è poi straniata per sempre, irrimediabilmente, dal pensiero moderno”.

In buona fede, quantunque prigioniero dell’abbagliante trionfalismo dei moderni, Gentile riteneva legittimo il passaggio dalla verità sulla trascendenza di Dio alla fragile opinione trascendentalista. Coerentemente tentava di rassicurare i critici di parte cattolica affermando l’ispirazione ortodossa della dottrina dell’Io trascendentale: “Chi non ha pace se non gli si assicura una Realtà trascendente, abbia pur pace: questo Io, in tanto è il nostro Io, in quanto trascende l’uomo e tutta la natura. Soltanto che produce la natura e l’uomo, come la sua propria realtà. E perciò meglio che trascendente si denomina da un pezzo a questa parte trascendentale poiché il suo essere trascendentale non toglie che sia immanente all’esperienza quantunque da essa profondamente distinto e diverso”.

Pesce sostiene, azzardando,  che in questo brano Gentile parla del Dio dei cristiani. Certo è che questa era la sua personale convinzione.

La filosofia di Gentile era concepita per indirizzare la rivelazione cristiana alla sua presunta origine immanentistica, in ultima analisi per promuovere la separazione della teologia dall’idea della trascendenza divina, giudicata avventizia e spuria, ossia risultato del contagio platonico-aristotelico della verità evangelica.

Se non che la trascendenza di Dio, fu stabilita da San Tommaso, che confermò, con magistrale rigore, la nozione biblica di Dio Creatore, unificando ed elevando le frammentate e intermittenti nozioni di Platone e di Aristotele, ad esempio l’idea di partecipazione e la dialettica atto-potenza.

Nel saggio sull’enciclica Pascendi, Gentile sostiene che la sua filosofia contiene le verità confusamente cercate dai modernisti. Oggi si può affermare, quasi a chiarimento delle più arcigne espressioni dell’attualismo, che Gentile ha anticipato la svolta antropologica della teologia tentata da Karl Rahner, l’autore di una tesi incautamente accolta in un documento del Concilio pastorale Vaticano II: “Poiché in lui [nel Verbo incarnato] la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata ad una dignità sublime.  Con l’incarnazione [infatti] il Figlio di Dio si è unito in certo modo (quodammodo) ad ogni uomo[1].

Se non che la modernità è stretta in una tenaglia sulla quale agiscono tensioni contrarie ma in qualche modo convergenti: l’esegesi di Hegel elaborata da Alexandr Kojève, un autore che ha fatto salire in superficie il fondo oscuro e mortifero dell’idealismo, e il tomismo speculativo di Cornelio Fabro, che ha confutato la tesi heideggeriana intorno all’oblio dell’essere, dimostrando che San Tommaso ha affermato, in perfetta solitudine, il primato dell’essere sul pensiero.

La filosofia di Gentile, pertanto, deve essere considerata alla stregua di un segnavia piantato al bordo di un sentiero ultimamente percorribile solo a ritroso, cioè nella direzione da Hegel e Kant a San Tommaso.

La caducità della riforma teologica non abbassa tuttavia la statura morale di Gentile, uno fra i più nobili protagonisti della tragedia provocate dal Novecento filosofante.

Gentile, infatti, tentò di attenuare l’errore dei moderni con puntuali riferimenti al cuore cristiano che pulsava nel pensiero di Pascal. Opportunamente Pesce cita un brano del “Sistema della logica“, nel quale si legge un progetto di vita orientato a dare un nuovo e più ampio respiro al razionalismo:  “Un cuore bensì sarà vinto da una ragione, ma non perché il cuore sia mai destinato a soccombere nella lotta, sì perché la ragione vince sempre se stessa. Anzi è un’eterna vittoria su se stessa”.

Di qui un’esistenza orientata a vivere secondo l’imperativo dell’altruismo: “Finché non si ami il prossimo nostro come noi stessi e non si vegga perciò tra noi e il prossimo la relazione stessa che tra noi e medesimi, il nostro prossimo non sarà veduto veramente come tale“.

Gentile obbedì all’imperativo del cuore, che lo elevava al di sopra del gelido e feroce Assoluto contemplato da Hegel e dagli hegeliani. Il professore Ketteler, che dal filosofo italiano fu soccorso nel pericolo e nell’indigenza, poté affermare legittimamente che l’assassinio di Gentile fu un parricidio. Gli italiani consapevoli di vivere dopo il tramonto della filosofia moderna, nella figura dell’uomo Gentile possono finalmente riconoscere un padre della loro patria.


 


[1] “Cum in Eo natura humana assumpta, non perempta, eo ipso etiam in nobis ad sublimem dignitatem evecta est.  Ipse enim, Filius Dei, incarnatione sua cum omni homine quodammodo Se univit”.

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