LA LAICITA’ DELL’IMPERO DANTESCO – di Piero Vassallo

Le lontane origini dell’utopia mondialista

 

di Piero Vassallo

 

Nel saggio “Le metamorfosi della Città di Dio”, recentemente proposto da Massimo Borghesi e pubblicato in Siena dalla casa editrice Cantagalli, Etienne Gilson ha dimostrato che, nel De Monarchia, Dante, allontanandosi dalla dottrina di San Tommaso, afferma la piena autonomia del potere temporale, “ossia lideale di una società umana universale che deve la sua universalità alla sua stessa temporalità“.

A sostegno del suo tagliente giudizio, Gilson rammenta che secondo Dante all’impero universale si doveva riconoscere un potere assoluto: “La pace universale è il mezzo più immediatamente richiesto per raggiungere il fine cui tendono tutti i nostri atti. Abbiamo quindi il diritto di esigere che la società del genere umano soddisfi a tutte le condizioni richieste perché la pace regni finalmente nel mondo intero. Partendo da questo principio è possibile stabilire per induzione la necessità di un monarca assoluto che regni su tutti gli uomini“.

Riconosciuta la necessità dell’impero universale, Dante ne afferma l’indipendenza dal magistero danteecclesiastico, vuoi perché l’impero, secondo lui, dipende direttamente da Dio, vuoi perché l’impero, nei confronti del sole ecclesiastico, gli sembrava simile a una luna che non deve al sole né il suo essere né la sua luminosità.

In parziale conformità con l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, Dante ammetteva che il fine della società civile è conseguente al fine spirituale della Chiesa ma disconosceva la subordinazione gerarchica del potere imperiale al magistero ecclesiastico, che era invece chiaramente affermata dalla scolastica ortodossa. Dante, in ultima analisi, non riconosceva il primato dell’autorità spirituale.

L’analisi gilsoniana della dottrina politica dantesca mette capo a una condanna senza appello: “Con lingratitudine verso la fede che così spesso dimostrano gli uomini, la filosofia di Dante si appoggiava su ciò che essa doveva alla rivelazione cristiana per giustificare la propria intenzione di farne a meno in futuro“.

Con il De Monarchia ha inizio inavvertito quella secolarizzazione della politica che ha angosciato e insanguinato l’età moderna: “Per concepire la possibilità di una società temporale universale bisognava prendere dalla Chiesa lideale di una cristianità universale e laicizzarla“.

L’utopia mondialista, sogno contemplante l’istituzione di un potere laico, capace di stabilire la pace e di indirizzare l’umanità all’attuazione dei propri fini ultimi è il risultato parodistico della teologia politica dell’Alighieri.

Se non che la laicizzazione dell’ideale cristiano comporta la laicizzazione e lo svilimento dei fini temporali.

Non ordinata al conseguimento di un ragionevole risultato – lonesto vivere – propedeutico alla vita secondo la fede cristiana, la pace diventa fine a se stessa e in definitiva compatibile con il qualunque disorientamento.

Non per caso i più convinti promotori del potere mondiale professano la fede radical chic e incoraggiano senza pudore le trasgressioni che capovolgono l’onesto vivere: omosessualità, aborto, tossicodipendenza, eutanasia.

Nell’orizzonte del potere improntato al laicismo totale, le ragioni del vivere si restringono al breve tragitto dal piacere alla morte, un esito dolcificato dall’ingannevole pietà praticata dalla medicina obituaria.

Il nichilismo e la permissività soppiantano la giustizia, che rovescia i suoi poteri nel tumultuoso fiume delle leggi futili e malefiche: leggi sulla la piega delle banane, sul sapore del sale, sull’emissione della moneta e sulla disastrosa licenza concessa agli speculatori e ai corruttori.

La finalità pacificatrice dell’antico impero implode e si riduce a scenario grottesco: la storia degli ultimi decenni, infatti, testimonia l’impotenza dei poteri sovranazionali di fronte ai conflitti suscitati dai poteri nazionali e/o tribali. Impotenza che spesso e volentieri si rovescia in interventi tanto feroci quanto inutili e/o controproducenti.

Il mondialismo, in definitiva, è la perfetta figura dell’idea cristiana pervertita. Frastornata e rapita dai luoghi comuni diffusi dalla cultura dominate, la frazione conformista del laicato cattolico è purtroppo incapace di vedere che il mondialismo rappresenta la perfetta degenerazione dell’ideale civile cattolico.

Al seguito dell’oscurata intelligenza, stormi di pie mosche cocchiere volano in soccorso della bontà mondialista. E per alzare il livello dello stupido volo, sostituiscono i princìpi non negoziabili con il fantasma di un edificio sociale costruito sulle rovine della verità cattolica.

La riflessione di Gilson, in definitiva, offre l’occasione per tracciare un cammino di ricerca indirizzato all’esodo dalla cultura di morte agente nelle istituzioni sovranazionali di stampo laicista e massonico.

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