La maturità del futuro? Arriva da un inquietante passato – di Elisabetta Frezza

   

Per la “scuola del futuro” il governo gialloverde ha partorito, con gestazione in conto terzi, la maturità del futuro: un ibrido di laboratorio geneticamente in linea con le riforme precedenti, a partire da quella, famigerata, del capostipite Berlinguer. Ultimogenita della famiglia normativa votata alla demolizione del modello gentiliano (quello che ha reso la scuola italica un modello virtuoso nel resto del mondo), la creatura fornisce il proprio generoso apporto alla massificazione imposta per ordine superiore: in fondo, ce lo chiede pur sempre Bruxelles…

PROVA ORALE Decenni di solida formazione televisiva hanno lasciato il segno anche tra i creativi del ministero. Come da migliore tradizione quizzologica nostrana (quella che va da Lascia o Raddoppia a l’Eredità, passando per OK il prezzo è giusto!), al colloquio di maturità il concorrente dovrà pescare una busta. 

Busta numero 1, numero 2 o numero 3? La sorte – τύχη, Fortuna, sempre lei, dea bendata capricciosa e implacabile – suggellerà la prova finale del candidato. Allegria! Avrà l’incarico di esclamare il più Mike Bongiorno della commissione per tagliare l’aria e dare all’occasione il tono scanzonato che di questi tempi le si confà. 

«Metteranno nel regolamento anche l’aiuto dal pubblico. O la chiamata a casa» – commentano in chat gli incolpevoli maturandi, classe 2000 tondo tondo, che pure erano già pronti al peggio viste le anticipazioni giunte via rotocalco – «Siamo finiti in un programma trash», «Sì, sì, il titolo è: Chi vuol esser diplomato». 

Quando l’istituzione, specie quella che detiene il monopolio della “educazione”, sfonda la soglia del ridicolo agli occhi dei suoi utenti in erba, vuol dire che siamo proprio alla frutta. 

Poveri ragazzi. Ma almeno questi – se non altro chi, tra loro, ha ancora avuto il privilegio di strappare un cursus studiorum di un qualche rispetto nella barbarie dilagante che tutto travolge – dispongono degli strumenti per soppesare l’idiozia di ciò che viene loro propinato. Le reazioni della “base”, alla fine, confortano. Triste che cinque anni di sudato liceo debbano concludersi in farsa, ma è già qualcosa rendersene conto: siete finiti su scherzi a parte, ragazzi, con la peculiarità che il set è la vostra carriera scolastica, sineddoche della vita. Un tragicomico reality show di cui i vostri immediati posteri, probabilmente, saranno attori del tutto inconsapevoli, teleguidati dal regista collettivo sulla strada spianata dell’ignoranza obbligatoria. Nel senso che il sapere va bandito, la cultura vietata, la storia cancellata, perché bisogna prevenire a tappeto la malsana tentazione di capire e di pensare, pericolo sommo per chi si è intestato la parte ambiziosa di domatore delle masse. Queste – stordite, anestetizzate, inebetite, manipolate, fluttuanti nell’eterno presente ipertecnologico e omogeneizzato – diventeranno, finalmente, obbedienti per vocazione. 

La prova orale, dunque, ha i suoi lati spettacolari. Altri prosaici, tipo l’alternanza scuola-lavoro assurta a tema di discettazione, giusto per tenere i piedi per terra: che il discorso si elevi oltre una certa quota speculativa, magari stimolando le facoltà superiori del discente, potrebbe rivelarsi controproducente in vista dell’obiettivo di cui sopra. Perché va bene l’evoluzione a ominide dello scimpanzè, ma poi anche l’evolvendo rischia di evolvere troppo. Sapiens sì, ma non esageriamo; habilis e faber è meglio, anche in termini di futura efficienza&produttività, sacra diade della tecnocrazia.

Verifica orale anche sulla materia che, erede della fu educazione civica, sta scalzando via la storia grazie alla suggestione dell’omaggio dovuto al totem della “legalità” (concetto tanto intoccabile quanto equivoco e tendenzioso): sotto l’etichetta di “Cittadinanza e Costituzione”, in mancanza dei fondamentali della scienza giuridica, si può predicare di tutto e di più, specialmente il pensiero unico universalmente corretto gabellato come obbligatorio a norma di legge. Insomma, la nuova materia che suona tanto bene all’orecchio collettivo è, in potenza, uno straordinario veicolo ufficiale di propaganda politica per plasmare in serie tanti devoti cittadini europei. E chi dissente diventa soggetto socialmente pericoloso.

Fin qui, dunque, le tendenze moda per la prova orale, stagione primavera-estate 2019: trionfo del prêt à porter con qualche nota di colore e lustrini di circostanza. Si vola basso, insomma, praticamente rasoterra. 

Ma il peggio forse si annida nelle nuove prove scritte, dove, con un paio di tocchi da maestro, è spianata la strada all’omologazione prossima ventura dei diplomati a norma europea, dei quali può circolare il solo modello-base. Sono i favolosi frutti dell’”Inclusione Scolastica”, nuovo idolo del pedagogismo aggiornato, per cui ogni esemplare studentesco – qualsiasi sia la sua originaria indole, lingua, cultura, attitudine, talento – deve uscire dal percorso d’istruzione con le “competenze” prestabilite, nulla di più e nulla di meno. I malcapitati bi-millennials verranno stirati se troppo corti o amputati per l’eventuale eccedenza, onde adattarsi alla misura del mitico letto di Procuste costruito in serie nella falegnameria globale. 

PROVA SCRITTA Dietro le modifiche introdotte nella prova scritta si conferma la medesima ratio. Abolito, guardacaso, il tema di storia. La motivazione semiufficiale è che negli ultimi anni veniva scelto sempre meno dai candidati: il criterio-guida dell’istituzione, cioè, è l’indice di gradimento degli utenti, quello stesso con cui si scelgono i progetti curricolari ed extracurricolari che svuotano i programmi delle materie di studio cannibalizzando ore su ore con intrattenimenti a dir poco imbarazzanti. Ma l’alunno-medio si diverte, si dice, e tanto basta. Che viceversa gli scolari non si appassionino alla storia forse dipende dal fatto che la storia non sanno più cos’è. In particolare (ma non solo) quella antica: liquidata in qualche paginetta beota di quinta elementare (una facciata per la civiltà greca, una e mezzo per la romana), sorvola le medie senza nemmeno sfiorarle per riatterrare direttamente al biennio superiore assorbita, e neutralizzata, dalla più moderna “geopolitica” che meglio si presta alla omiletica mondialista, globalista e, di conserva, immigrazionista. 

Per infliggere allo studio della storia un altro colpo fatale e ridurla alla definitiva irrilevanza, ci mancava solo toglierla completamente dalla scena nel primo scritto, prova principe della maturità. Detto fatto. Da magistra vitae a presenza spettrale e polverosa, ultima ruota del carro mascherato che trasporta la nuova paccottiglia pseudo-educativa destinata alle scuole di ogni ordine e grado.

Ma le velleità rivoluzionarie dei burocrati d’apparato – quelli che, annidati nei gangli del potere, resistono a ogni avvicendamento politico e assicurano alla macchina statale continuità operativa – non risparmiano nemmeno la seconda prova scritta, che diventa – ed è una novità assoluta – “multidisciplinare”. In una temperie socioculturale in cui il prefisso “multi” garantisce successo per mera virtù onomastica, la captatio è abbastanza esplicita. In apparenza (e non solo in apparenza per le cavie di quest’anno) la prestazione si fa più impegnativa perché strutturalmente molto più articolata. Di fatto, il suo nuovo assetto costituisce il primo passo verso l’annacquamento delle discipline di indirizzo, funzionale all’omologazione generale e a un generale livellamento verso il basso dell’istruzione cosiddetta superiore. 

In pratica, per il liceo classico, la mutidisciplinarità significa che non ci sarà più la traduzione secca. La versione dal greco o dal latino, su cui si sono cimentate generazioni e generazioni di studenti, sparisce. Parliamo di quell’esercizio mentale impareggiabile necessario per comprendere, e rendere al meglio nella propria lingua madre, un testo scritto da un autore antico in una lingua antenata cosiddetta morta; lingua di cui si presuppone siano state approfondite lungo l’arco di un quinquennio le caratteristiche lessicali, morfologiche, sintattiche, oltre all’orizzonte storico e culturale di contorno. Questo sforzo di logica creativa è proprio ciò che distingue, tecnicamente, la formazione classico-umanistica da tutte le altre formazioni superiori; è la cifra che, se costa al classico il marchio corrivo di scuola di antiquariato (rilanciato a pappagallo dagli squadroni di analfabeti scolarizzati nutriti dagli slogan di ordinanza), in realtà rappresenta il vero valore aggiunto, l’imprinting esclusivo, che anni di versioni di greco e di latino assicurano al cervello in formazione, allenandolo a un esercizio non paragonabile ad alcun altro per efficacia e fecondità nel facilitare l’acquisizione di un metodo “totipotente”, versatile a ogni genere di ulteriore apprendimento. 

Vero è che una traduzione dal greco e/o dal latino, sulla carta, resta pur sempre presente nella seconda prova. Ma in un quadro inedito che sostanzialmente la disinnesca, e la relega a un ruolo ancillare. Il che è grave soprattutto per le ricadute che, di rimbalzo, bisognerà attendersi nei programmi del domani: che senso avrà, infatti, spaccarsi la testa a tradurre se alla fine l’abilità acquisita non varrà quasi più nulla? Se sarà molto più remunerativo in termini di punteggio saper apparecchiare alla meglio un commento di circostanza? 

La nuova prova mista è articolata così: Il passo da tradurre (greco o latino) è preceduto da un pre-testo e seguito da un post-testo in italiano, i quali servono a contestualizzarlo, facilitandone notevolmente la comprensione (si sa con certezza di cosa si parla, in quali termini e con quali parole-chiave). La difficoltà di orientarsi da solo è risparmiata al maturando teleguidato, ché senza navigatore evidentemente non ce la può fare. Al brano da tradurre segue un altro brano, in greco se il precedente era in latino o viceversa, con traduzione italiana a fronte, da confrontare con il primo. Infine, la terza parte della prova consiste in tre quesiti sulle possibili comparazioni critiche fra i due testi proposti.

A parte la forzatura di dover confrontare d’ufficio un autore greco a uno latino (Plutarco e Seneca, nella simulazione ministeriale), il tipo di consegna stravolge completamente l’essenza del lavoro di traduzione, lo relega a parte minoritaria (verosimilmente in via di progressiva abolizione…) di una prova che, da tecnica qual era, diventa atecnica, discorsiva, esposta a trattazioni superficiali e approssimative, alla portata di ogni affabulatore e vieppiù esposta all’arbitrio dei correttori.

Un domani – profezia sin troppo facile – saranno serviti già tradotti in italiano (o magari, perché no, in inglese) tutti i passi d’autore, e si chiederà al candidato di esprimersi su tematiche sempre più vaghe e alla portata di chicchessia: liceali, aspiranti geometri o periti turistici. Chi non è in grado di imbastire uno straccio di discorsetto su un argomento di tendenza – un esempio a caso: la pace – facendo finta di confrontare le idee dei classici? Basta un pizzico di fantasia per combinare una macedonia di Aristofane, Cesare, Tucidide e Cicerone, condirla con Gandhi, Barak Obama e qualche prete di strada, e fare anche la propria matta figura.

Non occorrono particolari doti di preveggenza per immaginare gli esiti del processo avviato oggi con il varo della prova “multidisciplinare”. Imparare a tradurre diventerà superfluo ai fini dell’esame di Stato e, per inevitabile (e dolosa) conseguenza, l’esercizio cadrà in desuetudine fino a essere ufficialmente abolito per inutilità sopravvenuta. Ormai, infatti, ci siamo abituati in ogni campo all’idea malsana che la norma debba ratificare la realtà, quale che essa sia: lo stato di diritto adeguarsi allo stato di fatto, l’essere coincidere con il dover essere.

ISTRUZIONE ANTI-IDENTITARIA Il ministro intanto, fingendo che sia stato dato un giro di vite, o forse per sincera convinzione che sia davvero così, si prodiga nella veste di consolatore di giovanottoni ansiosi: promette clemenza, tracce facili e maniche larghe. Con le percentuali di promozione che rasentano il cento per cento, l’atteggiamento iperprotettivo dell’autorità suona vagamente ridicolo, quasi paradossale considerando che, in palio, c’è pur sempre una patente di (supposta) maturità. 

In fondo, anche la disabitudine al sacrificio e all’autocontrollo, l’incapacità di affrontare le incognite di una prova, debolezze assortite e tutte alimentate da un apparato di contorno proteso al sostegno psicologico dello scolaro di ogni età, traumatizzato per definizione, sostanziano la débâcle educativa inaugurata da qualche decennio a questa parte: le nuove generazioni devono essere, oltre che ignoranti, sufficientemente svirilizzate per non reagire al proprio annientamento programmato.

Ora che il progetto di smantellamento della formazione classico-umanistica è in dirittura d’arrivo, con lieve ritardo sulla Francia come sempre all’avanguardia, il nuovo modello di maturità italiana punta alla progressiva assimilazione di ogni istruzione superiore in chiave sincretista e con decisa vocazione al ribasso culturale, sì da rendere tutto alla portata di tutti. È in via di fabbricazione la scuola su misura per quanti, provenienti da mondi diversi e lontani, sbarcano in un paese che, culla della civiltà occidentale, non esita a gettare a mare il patrimonio inestimabile ricevuto in eredità per far spazio a un multiculturalismo suicida.

Tanto si parla di emancipazione politica e geopolitica dell’Italia, e di riappropriazione della sovranità nazionale. Ma la sudditanza ai potentati sovranazionali e la sostituzione etnica e culturale che si punta a contrastare con un sacrosanto scatto di orgoglio, non passano solo attraverso le acque del Mediterraneo: passano anche attraverso una pubblica istruzione depressa e manipolata, imposta surrettiziamente allo scopo di cancellare la lingua, la storia e la cultura che innervano la nostra millenaria civiltà. Quella che, alla fine, costituisce il vero e antico capitale autenticamente europeo. 

 

 

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2 commenti su “La maturità del futuro? Arriva da un inquietante passato – di Elisabetta Frezza”

  1. Ciechi (privati della conoscenza della storia), privi di raziocinio (anche per effetto delll’abolizione dell’esercizio logico cui ti costringe la versione dal greco a e dal latino), tutti ridotti, la nova gens s-formata dalla Istruzione Unica mondiale (IUM) , anche quella a indirizzo classico-umanistico (???), a tranquilli e docili pascolanti nei prati obbligati dei Signori Padroni del mondo. Ebeti che non sanno che cosa brucano, ma brucano felici, perché così gli vien detto.

  2. Bisognerebbe cominciare a costruire l’alternativa. Penso e ripenso. Tre grossi ostacoli : i genitori giusti, gli insegnanti giusti, i programmi giusti.

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