di P. Giovanni Cavalcoli, OP
La recente rappresentazione teatrale “Il concetto del volto nel Figlio di Dio” di Romeo Castellucci ci sbatte in faccia con la spregiudicatezza tipica dell’arte la perenne drammatica questione della preghiera che esce dalle labbra del sofferente incapace di liberarsi da sé e che si volge a Dio nella speranza di essere liberato.
Gli attori, padre e figlio, si volgono a Dio, rappresentato da una enorme stupenda immagine del volto di Cristo perennemente campeggiante, – quasi a significare la maestà immutabile e la trascendenza divine – muta ed immobile sulla scena, ormai nota a tutti. Dal volto del Cristo emana un dolce sguardo appena accennato, che sembrerebbe di tenerezza o forse anche lievemente triste.
L’insistenza con la quale gli attori si rivolgono a questa immagine implorando pietà non giova a nulla. Il padre resta irrimediabilmente nella sua umiliante situazione. Ed ecco che alla fine dello spettacolo un gruppo di ragazzi lancia contro quell’immagine una serie di oggetti molto simili, nel colore, ad escrementi. Su questo punto, in due diverse interviste, Castellucci prima ha affermato trattarsi di escrementi e poi ha smentito. Alcuni si sono divertiti a coglierlo in castagna.
Appare poi una scritta: “Tu sei il mio pastore”, alla quale segue: “Tu non sei il mio pastore”. Sembra infatti supposto un ragionamento: se Cristo è il divino pastore, buono e onnipotente, quale si conviene a un Dio, e questo “pastore” non esaudisce la preghiera dell’uomo che chiede di essere liberato dalla propria miseria e dalla stessa morte, dunque questo “pastore” non è né buono né onnipotente. Non è pastore. Dunque non esiste.
Se infatti bontà ed onnipotenza sono attributi divini, Dio non esiste perché dovrebbe essere un Dio non buono e non onnipotente, dunque non–Dio, e l’uomo resta solo con la sua sofferenza e la sua miseria. Infatti alla fine dello spettacolo l’immagine, dopo esser stata ricoperta di liquami, si lacera e scompare. Resta il buio, ossia il nulla.
C’è chi ha voluto vedere nel gesto stesso dei ragazzi la prosecuzione della preghiera degli attori. Da qui la negazione che quel gesto sia blasfemo e si è preteso di paragonarlo alle imprecazioni di Giobbe oppresso da mille disgrazie o al grido di Cristo sulla croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Ma una simile interpretazione della preghiera è assolutamente inaccettabile e Castellucci, benchè neghi che il suo spettacolo sia blasfemo, tuttavia non osa affermare che in esso ci sia la preghiera, giacchè come risulta dalla conclusione, non è solo l’uomo che fallisce ma Dio stesso, un Dio “kenotico”, fallisce insieme con l’uomo.
Dunque non c’è nessun Dio da pregare, perché Dio stesso condivide il fallimento dell’uomo senza alcuna speranza di riscatto o di liberazione o di resurrezione. Neanche Dio può farci nulla per risolvere la situazione. O Dio non esiste o la sofferenza e la morte appartengono a Dio. In ogni caso si tratta di un Dio disgraziato e senza speranza.
Il fatto è che, se nello spettacolo di Castellucci, se c’è preghiera, questa è sbagliata fin dall’inizio. Ora è logico che una preghiera sbagliata non possa essere esaudita. Quindi il pregare non esaudito non dimostra affatto, come tale, che Dio non esiste o che non è né buono né onnipotente. Bisogna vedere come si prega, per quale fine si prega e cosa si chiede nella preghiera.
Se Dio non risponde alla preghiera o non esaudisce, non vuol dire necessariamente che non è Dio o che è un Dio impotente, ossia che non esiste, ma può essere che la preghiera sia sbagliata o fatta male. Ora è appunto questo il modo di pregare degli attori. Non c’è da stupirsi quindi se Dio resta indifferente e insensibile. Certo un Dio di tal fatta sarebbe un falso dio, sarebbe una nullità.
Già la Bibbia nota con forza che ciò che caratterizza gli idoli nei confronti del Dio d’Israele è proprio il fatto che mentre questi parla ed ascolta la preghiera, gli dèi dei pagani sono “muti” e “sordi” alla preghiera, sono inetti, inerti ed impotenti, sono dèi che non salvano e che quindi è inutile pregare. Non sono dèi che hanno creato l’uomo, ma è l’uomo che ha fatto questi dèi. Verso questi dèi conviene essere atei.
E’ comprensibile che un modo sbagliato di pregare, che non ottiene quel che chiede, un qualcosa che pur sembra buono e necessario, si concluda con la bestemmia. Anzi la preghiera pagana, confinante con la magia, non è poi molto diversa dalla bestemmia. Tuttavia anche il bestemmiatore pagano continua a credere nei suoi dèi, proprio perché li insulta e li bestemmia.
L’ateo non bestemmia perché nega che Dio esista e quindi non se la prende con un dio che non esiste. Dovrebbe prendersela col nulla. Invece il Dio di Castellucci è un Dio che sembra esistere, ma che implode su se stesso, un Dio che passa dall’essere al non–essere, un Dio che fa flop, scompare ed è annullato in seguito alle imprecazioni che lo raggiungono sotto forma di luridi proiettili. “La merda, dice Castellucci, illumina Dio” e sotto questa “luce” Dio scompare. L’uomo, come in Nietzsche, maledicendo Dio, lo distrugge, lo uccide.
E’ interessante, al riguardo, notare come il sacrum dell’antica religione romana significa ad un tempo sacro e maledetto, mentre il francese sacrer significa sia consacrare che maledire. Il Precor latino è la preghiera e imprecor è, oltre alla preghiera, imprecazione. Infatti il rapporto del pagano col suo dio si configura come richiesta di aiuto, ma se questo dio non esaudisce, viene maledetto o costretto ad obbedire: da qui la pratica magica, che suppone nell’uomo un potere divino tale da obbligare Dio a fare il volere dell’uomo. Se il dio non interviene, interviene l’uomo e castiga il dio.
Quindi nel paganesimo non è l’uomo che chiede a Dio di poter fare il volere divino – questo è il Dio cristiano -; ma l’uomo presenta alla divinità le sue esigenze che devono esser assolutamente esaudite, per cui è Dio che deve fare la volontà dell’uomo. Così come in un bar l’avventore chiede al barista la coca–cola e se questa non arriva, protesta e lo insulta.
Il dio pagano viene minacciato che se non esaudirà, verrà abbandonato e maledetto, e la preghiera stessa è qualcosa di minaccioso. Infatti, se questo dio non esaudisce, viene bestemmiato e respinto e ci si rivolge eventualmente ad altri dèi, più efficaci e competenti, che possano esaudire o accontentare o si cerca il modo di costringere il dio, ricorrendo a forze demòniche, a fare ciò che si vuole.
C’è bensì nel paganesimo, come è noto, una divinità suprema ed tenebrosa, contro la quale nulla possono né gli uomini né gli dèi ed è il fatum, potenza infinita, cieca, insopprimibile, arbitraria ed imperscrutabile, che ha fissato per ciascuno – non si sa come e non si sa perché – un destino inesorabile, il quale, se è felice, è conseguito anche se si è grandi peccatori, mentre, se è infelice, ad esso nessuno può sfuggire. Lì non vale nè la preghiera né lo scongiuro nè la pratica magica diretta a costringere la divinità a fare il proprio volere. Davanti al fatum occorre rassegnarsi: non c’è nulla da fare. Prima o poi ti raggiunge.
Il fatum di Castellucci è la non esistenza di Dio e la solitudine disperata dell’uomo, per cui la conclusione è sconsolatamente e tragicamente nichilistica. Il fatum di Castellucci è che tutto va nel nulla. L’unico barlume, che resta, come ha riconosciuto Mancuso, è la pietas per il padre, virtù dei romagnoli, anche i maggiori bestemmiatori. Ma senza Dio dove va a finire questa pietas?
Non appare dunque neppure l’arrogante e prometeico superomismo di Nietzsche, ma forse viene in mente l’essere–per–la morte (sein zum Tode) di Heidegger o l’esistenzialismo sartriano. Nessuna spavalderia, ma solo amarezza o forse il gusto nicciano di “danzare nell’inferno”. Anche in Hegel il nulla nega l’essere, ma poi dal negativo sorge il positivo. Il negativo è nel positivo e viceversa. Invece nella dialettica di Castellucci il negativo nega il positivo senza alcun recupero e ritorno. Castellucci dice di essere di sinistra, dunque dovrebbe emergere il fiero antropocentrismo marxista. Ma qui abbiamo una “sinistra” svampita e disperata. Il figlio del leone marxista è un leoncino spelacchiato, traballante e smarrito.
Perché è sbagliata la preghiera di Castellucci? Perché suppone un Dio dal quale si pretende di essere esauditi per forza e senza condizioni, per ottenere un bene, che certo è un bene – la guarigione del padre -; ma che nella vita presente non possiamo pretendere che ci venga concesso incondizionatamente, sempre e in ogni caso.
Il Dio di Castellucci non è un’altra Persona sublime provvidente e misericordiosa, con la quale entrare in un rapporto d’amore e di fiducia, ma una specie di macchina distributrice di bibite, come quelle che si trovano nelle stazioni ferroviarie, alla quale, se non ci dà la bottiglia richiesta, quando abbiamo messo la monetina, diamo una botta sdegnati e ce ne andiamo da un’altra parte imprecando. Ma se Dio non c’è, l’uomo dove va?
Nella visione cristiana ci sono dei beni circa i quali possiamo esser certi di essere subito esauditi, e questi sono non tanto quelli che noi vorremmo, beni soprattutto materiali, ma sono quelli che Dio stesso vuol darci, beni soprattutto spirituali e soprannaturali, appresi dalla fede: il suo perdono, la sua verità, la sua grazia, la sua misericordia, la virtù, la conversione, la salvezza.
Invece altri beni, come la salute, il lavoro, il pane, la casa, la guarigione dalla malattia, il benessere, il piacere, il successo, la ricchezza ed altre cose di questo mondo, Dio ce li concede sì, ma a suo modo, quando e come vuole, e solo se li usiamo per la salvezza o se da essi siamo staccati. Può negarceli invece in certe situazioni, in quanto la loro rinuncia o la loro mancanza va vissuta come esercizio ascetico in unione con la croce di Cristo in spirito di espiazione e per la remissione dei nostri peccati.
La vera preghiera, quindi, che in un primo momento, davanti alla sventura presente o incombente, può essere legata allo sconcerto e quasi allo sdegno, dev’essere umile, docile, fiduciosa, paziente, deve esser legata al sacrificio liturgico, deve saper attendere e chiedere ciò che veramente conta, secondo il piano divino della salvezza.
Suppone la fiducia che se Dio per il momento non ci concede quello che chiediamo, in seguito ci darà di sua iniziativa più di quello che chiediamo. Nella preghiera si chiede di sopportare l’assenza di ciò che ci manca e Dio immancabilmente ci dà questa forza di sopportazione.
La preghiera può essere, in casi drammatici, agitata, angosciata, straziata, turbata, affannata, ma non deve mai finire nell’ira, nella ribellione, nell’imprecazione o nella bestemmia, la quale, secondo la giusta definizione di S.Tommaso d’Aquino, propriamente suppone la negazione di qualche attributo divino, e in ciò conviene con l’eresia, ma aggiunge alla parola ereticale (Somma Teologica, II–II, q.13, a.1) un impulso di odio verso Dio che si manifesta con segni esterni (a.2).
Castellucci dice che il suo dramma riflette il Quarto Comandamento: “Onora il padre e la madre”. Non ne discuto. Ma da buon romagnolo anticlericale e bestemmiatore, si è dimenticato che c’è anche il Secondo: “Non nominare il Nome di Dio invano”. E Dio, come insegna la Bibbia, è purissimo Essere – l’Essere perfettissimo, come diceva il Catechismo di S.Pio X – e non quell’assurdo incrocio di essere e non essere del quale parla Castellucci, citando a sproposito Shakespeare. E se voleva una citazione dotta poteva rifarsi piuttosto al Dio kenotico di Hegel. E qui avrebbe trovato una stupenda bestemmia, dotta ed affascinante.
Castellucci si appella alla kènosi, ossia allo “svuotamento” di Dio, del quale parla S.Paolo (Fil 2,7), mettendosi maldestramente al seguito di una falsa interpretazione, di origine protestante, del passo paolino, interpretazione la quale la attribuisce alla natura divina di Cristo, mentre in realtà, come spiega S.Tommaso, si tratta di un’espressione metaforica che significa l’umiltà e l’“abbassamento” di Cristo uomo obbediente al Padre.
La preghiera è un atto dignitoso, raccolto e composto dello spirito, pieno di venerazione per la maestà divina, mosso da timor di Dio. Non ha nulla a che vedere con un atto aggressivo, esplosione o escandescenza o agitazione emotiva, cosa che richiama piuttosto l’eccitazione psichica dei drogati o degli invasati che non l’elevazione spirituale della vera preghiera.
La vera preghiera è dettata dall’amore e fondata sulla retta fede. Qui dunque troviamo il discrimine chiarissimo tra preghiera e bestemmia. La preghiera suppone la verità su Dio, la bestemmia, il falso. La preghiera sorge dall’umiltà e dalla fiducia; la bestemmia sorge dalla superbia e dalla rabbia, che pretende dominare Dio anziché lasciarsi guidare da Lui. Pretende quasi vendicarsi di Lui, il quale, a nostro giudizio, poteva esaudirci a non ha voluto farlo.
E’ facile trovare nella predicazione cattolica odierna un concetto di preghiera che evita il problema posto da Castellucci, problema che invece non va eluso: si concepisce la preghiera esclusivamente come pio ringraziamento, elevazione dello spirito, entusiastica lode, dolce ed intimo colloquio con Dio, mentre in realtà la preghiera, come spiega bene S.Tommaso d’Aquino al seguito dei Padri e della stessa Sacra Scrittura, è fondamentalmente ed innanzitutto richiesta di aiuto, di grazia, di perdono, di un favore, di un beneficio, di salvezza, materiale o spirituale.
La preghiera è implorazione (imploratio), invocazione (invocatio) e supplica (supplicatio). Di ciò aveva già coscienza la religione romana. Coloro che ringraziano Dio quando capita una disgrazia sono solo i santi o i dementi.
La preghiera può esprimersi nel pianto e nel lamento; essa dev’esser paragonata al grido di aiuto del naufrago che vede arrivare la scialuppa di soccorso, e non all’idilliaco tête à tête di due innamorati che sbaciucchiano. Questa semmai, rettamente intesa, è la orazione mistica, che è un’altra cosa; è il vertice della vita spirituale che suppone la preghiera–domanda e non la sostituisce.
Per questo la questione della preghiera non esaudita, posta da Castellucci, non può essere assolutamente ignorata con fumosi e dolciastri discorsi mistici e mistificatori (il “Dio che perdona e non castiga”), ma va affrontata e risolta virilmente nel modo che ho detto, che non fa che rispecchiare l’insegnamento della Scrittura e della tradizionale pietà cattolica, della quale tutti i santi ci danno stupendo esempio.
Si è voluto sostenere da alcuni, come ho detto, che la bestemmia di Castellucci è preghiera. La si è voluta paragonare a quella di Giobbe. Enorme equivoco. E’ vero che Giobbe, sul momento, colpito da tante disgrazie, ha un moto di ribellione, ma ascoltando la parola di Dio, si rasserena e conclude con atto di fiducia e di abbandono in Dio.
Invece i personaggi di Castellucci concludono con la ribellione e il rifiuto. Il Dio di Castellucci non parla, non consola, non illumina. “Illumina la merda”, dice Castellucci. Sì, ma non illumina la mente, non illumina il cuore dell’uomo. Che Dio è?
Dunque in Castellucci non c’è alcuna preghiera, se non una sua disgustosa contraffazione, anche se si può capire che a volte siamo tentati di “pregare” in questo modo. Bisogna dire pertanto che la “preghiera” di Castellucci – se di preghiera si tratta – è in realtà bestemmia o quanto meno sfocia nella bestemmia.
Questa confusione tra preghiera e bestemmia è fatta da alcuni che cercano di trovare qualche valore nell’opera di Castellucci, confusione causata da un non illuminato anche se forse sincero desiderio di trovare un punto di contatto con Castellucci. Tale confusione, se testimonia da una parte l’impressionante degrado culturale presente, purtroppo, anche tra noi cattolici, è però in fin dei conti, e questo può consolarci, l’occasione per far emergere certe importanti istanze, correggere certi equivoci e ed eliminare equivoci assai pericolosi per la nostra vita spirituale e morale.
Bologna, 2 febbraio 2012
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