di P. Giovanni Cavalcoli, OP
Luca Signorelli. Comunione degli Apostoli
E’ noto come Cristo raccomanda a tutti noi di avere una fede salda, forte, certa, robusta, a tutta prova, capace di resistere alla tentazione, perché è solo così che possiamo salvarci. Per converso biasima il dubbio, la debolezza, l’oscillazione. Gesù è severo contro le “canne sbattute dal vento”. La sua raccomandazione è che il nostro linguaggio sia: sì sì, no no, il resto appartiene al diavolo. I discepoli comprendono questo comando del Maestro e gli chiedono come aumentare la loro fede.
La fede infatti comporta una duplice saldezza: una, per così dire, oggettiva, e una, soggettiva. La prima è la solidità e l’affidabilità della stessa Parola di Dio o del mistero rivelato che Cristo ci comunica per la nostra salvezza. Essa è come una roccia sulla quale possiamo costruire la casa della nostra vita. La seconda è la saldezza con la quale dobbiamo aderire ed aggrapparci con tutte le forze alla divina Parola di salvezza, come uno scalatore si tiene stretto alla roccia della montagna per non precipitare nel burrone.
Certamente occorre nella vita vedere dove mettiamo i piedi, a cosa aggrapparci, a chi affidarci. Ma una volta trovato il saldo appiglio che ci garantisce il senso della vita e il raggiungimento della felicità, il buon senso vuole che ci teniamo stretti con perseveranza a questi appoggi o a queste guide, a costo di qualunque sacrificio e vincendo ogni ostacolo o tentazione di abbandonarli.
In base a queste considerazioni meraviglia alquanto l’affermazione del Card. Martini riportata nel Corriere della Sera del 5 dicembre scorso, che recita così: “Ciascuno di noi ha in sé un credente e un non credente che si interrogano a vicenda”.
Capirei che il Cardinale si riferisse ad alcuni, pochi o molti casi, nei quali ciò può effettivamente avvenire. Ma prospettare questa situazione come universale e normale, quasi ad accettarla senza alcuna opposizione, quasi come metodo stesso della vita cristiana, senza vederne e quindi combatterne l’anomalia e la pericolosità, mi pare assurdo e del tutto contrario al vero stile di vita del cristiano e alla stessa natura della fede.
Innanzitutto è sbagliato che in ognuno di noi ci sia un credente. Sembra esser, questa, la tesi rahneriana del “cristiano anonimo”, per la quale l’uomo come tale, qualunque uomo, a prescindere dalle sue convinzioni “categoriali”, che potrebbero comportare anche l’“ateismo”, è originariamente ed aprioricamente “in grazia” e possiede una fede “atematica, preconcettuale e trascendentale”, per la quale è sempre e comunque in tensione verso Dio e quindi comunque salvo.
Al contrario, S.Paolo ci ricorda che “non di tutti è la fede”. Purtroppo esistono anche coloro che resistono alla fede con disprezzo, pervicacia, ostinazione ed arroganza. Al riguardo ricordo un episodio tra il buffo e penoso occorso ad una mia cara amica, pia ma vittima di questa tendenza ingenuamente buonista, la quale, discutendo con un ateo, lo voleva convincere ed assicurare che in realtà egli era credente. Ma costui non ne voleva sapere di queste “assicurazioni”: non glie ne importava niente. Era ateo e basta. Ma questa pia donna insisteva, tanto che a un certo punto l’ateo sbottò in un insulto e troncò la conversazione.
Quello che possiamo ammettere ed approvare in linea di massima e che anzi è tutto sommato auspicabile, è l’interrogarsi reciproco tra un credente e un non credente, ma come persone tra di loro distinte, non che questo dialogo avvenga all’interno della medesima persona. Se un medesimo io si sente ad un tempo credente e non credente in confronto tra di loro, vuol dire che questo io non ha una vera fede, ma che semmai è alla ricerca e magari anche con buoni motivi, perché indubbiamente, prima di compiere il passo della fede, occorre ben soppesare gli argomenti che ci appaiono favorevoli e quelli che appiano contrari, occorre sapere chi è Cristo, per avere una ragione valida di affidare a Lui tutta la nostra vita e il nostro eterno destino.
Ma il coltivare sistematicamente e volontariamente, quasi con gusto, quasi lo si sentisse un dovere e cosa lodevole o normale, all’interno di sé questo tira e molla tra il credere e non credere è segno di un animo, diciamolo pure, abbietto, perché doppio, ipocrita ed opportunista, un’anima che ora pensa di essere con Cristo, ora pensa di respingerLo a seconda di come gli conviene.
E’ chiaro che è ragionevole e doveroso aggrapparsi saldamente solo ad un vero e saldo valore, perché chi si aggrappa ad un appiglio che non tiene o che è caduco o non sopporta il peso di chi è assetato di Assoluto, è uno stolto. C’è quindi saldezza e saldezza nell’attaccarsi a qualcosa. C’è una saldezza intelligente e saggia e c’è una “saldezza” che è dabbenaggine, vana credulità, fideismo, cocciutaggine, testardaggine, fanatismo, fondamentalismo, che non auguro a nessuno e che non porta alla salvezza ma alla perdizione. Sì, ci si può illudere che un dio sia il vero Dio ed aggrapparsi a questo; ma se si è in buona fede il vero Dio non tarda a rivelarsi.
Ma per evitare il dogmatismo non occorre cadere nello scetticismo. Il conservare la propria fede, l’esser saldi ed irremovibili in essa non è l’impuntarsi del somaro che non vuole andare avanti nonostante gli strattoni del padrone, non è il conservatorismo pauroso e meschino di chi è attaccato alle cose che passano e non si apre al futuro di Dio.
Questa ostinazione nel restare attaccato alle proprie idee può essere semmai il segno dell’eretico, situazione che evidentemente non conduce alla salvezza. L’attaccamento alla propria fede invece è il tenersi stretti a una Parola che è Parola di Dio, Parola che non passa, sorgente di luce, di forza e di felicità eterne.
Non so immaginarmi la fede di una Beata Vergine Maria, di un S.Giuseppe, di un S.Pietro, S. Paolo, S. Ambrogio, S. Agostino, S. Atanasio, S. Gregorio Magno, S. Francesco, S. Domenico, S. Tommaso d’Aquino, S. Caterina da Siena, S. Pio V, S. Francesco Saverio, S. Pio X, S. Massimiliano Kolbe, San Pio da Pietrelcina, Maritain, Edith Stein, Tomas Tyn, la fede degli Apostoli, dei Martiri, dei SS. Padri e dei Dottori, la fede di tutti i Santi canonizzati sul modello di “fede” proposto dal Card. Martini.
Il vero credente non ha nulla da chiedere al non-credente che ogni tanto compare nella sua coscienza, ma ha solo da rispondere ai dubbi che gli propone, ha solo da respingere le sue tentazioni tese a fargli abbandonare o tradire la fede. Dare ascolto o dare importanza alle insidie del non credente che può apparire in noi, vuol dire soltanto mettere in pericolo la propria fede col rischio reale di perderla. A che pro?
Oppure, se il credente ha delle domande da porre al non credente, presente nella sua coscienza o come interlocutore del dialogo, saranno domande volte a chiedergli ragione della sua incredulità, per vedere che cosa lo ostacola nel credere, onde stimolarlo ad abbracciata la fede; potranno essere domande di dolce e garbato rimprovero, onde suscitare in lui il senso di responsabilità e la voce della sua coscienza, dove certamente Cristo “bussa” per poter entrare e “pranzare” con lui.
Chi non crede invece fa bene a porre domande al credente. E’ ammissibile anche che queste domande vengano poste da un non credente che è in noi. Ma il credente che è in noi deve saper rispondere, deve adoperarsi affinchè questa voce, questa tentazione all’incredulità sia spenta e allontanata. Il non credente non ha alcuna obiezione ragionevole da fare al credente, mentre è vero il contrario. Nel dibattito interiore tra il credere e non credere, cosa che effettivamente può motivatamente verificarsi, se, come dice il Concilio Vaticano I, nel suo animo c’è come dovrebbe esserci un pius credulitatis affectus, ossia la benevola disposizione a credere alla verità, questo è un dono che Dio dà a tutti e serve a preparare immediatamente ad accogliere la verità di fede.
Dunque, come sempre in affermazioni che contengono errori, anche nelle suddette parole del Card. Marini c’è una parte di verità, che consiste nel riconoscere che nella nostra situazione umana di oscurità e di incertezza i problemi della fede non sono facili, per cui effettivamente può capitare che anche ad una persona salda nella fede sorgano dubbi, anche sinceri, che pertanto vanno presi in seria considerazione.
Ma soprattutto quello che è importante secondo le frequenti esortazioni della Chiesa di oggi, è che i credenti, come dice il Concilio Vaticano II, si sforzino di capire con la massima attenzione quali sono i motivi che frenano tanti nell’incontro con Cristo, al fine di rimuovere questi ostacoli, di “colmare le valli ed abbassare i monti”, affinchè in molti cuori si aprano le vie che conducono a Cristo.
Inoltre, dalle parole del Card. Martini, risulta che i non credenti sono opportunamente invitati, se cercano realmente la verità, ad interpellare i credenti affidabili, per scoprire con gioia le ragioni della loro fede. E’ questo il vero dialogo costruttivo tra credenti e non credenti che è oggi una delle massime urgenze dell’evangelizzazione, affinchè vengano allargati i confini del Regno di Dio.