di Piero Vassallo
La implacabile teologia di donna Berta e ser Martino, saccenti del rustico crocchio, dove si presumeva di vedere dentro al consiglio divino (Par. XII, 141) si è ultimamente rovesciata nel buonismo, teologia qualunquistica elucubrata da religiosi pavidi e tentennanti, ai quali il rispetto umano suggerisce di addolcire e riformare quelle verità della divina rivelazione, che irritano la temuta e adulata sensibilità dell’ateo moderno.
La spiacevole esistenza dell’inferno, ad esempio. I teologi buonisti dimenticano che l’ateismo dei moderni (al pari dell’ateismo antico, che la Bibbia definiva stoltezza) prima di detestare la minaccia dell’inferno sdegna e rifiuta la promessa dell’eterna beatitudine. Nello stile che esprime tale sprezzante rifiuto non è difficile vedere una scelta a favoredel binomio costituito dall’incontro del breve giro del piacere con la dissoluzione finale.
Il pregiudizio ateista disconosce l’orrore del nulla, che secondo una puntuale definizione di Antonio Rosmini, turba gli uomini onesti. L’ateismo, in ultima analisi, esige il consenso al perpetuo annientamento, cioè l’avvio al nulla finale in cambio di alcuni attimi di felice distrazione e della vana e sciocca speranza di essere ricordati e ammirati dalle nuove generazioni.
Ora la libera scelta del nulla, nel vocabolario mentale dell’ateismo, produce la patetica, assurda consolazione che un monumento o una semplice lapide confortino gli uomini annientati dalla morte. L’inganno architettato dal re delle mosche non può essere definito meglio.
All’ateismo si oppongono soltanto le forti parole dell’apostolato. Sommo criterio teologico dei buonisti, invece, è la morbidezza dialogante con l’assurdo, una condizione che rende inadatti ad abbattere la refrattarietà dell’ateismo al vero bene e di conseguenza suggerisce di ottenere il consenso degli atei adulando il loro invincibile errore.
La desolante storia del cattocomunismo è un esempio massiccio di trasformazione dell’apostolato in elogio dell’errore invincibile. Ultimamente l’immotivato elogio avanza addirittura fino alla temeraria approvazione di una politica inclinata alla corruzione e alla violenza regressista.
Padre Giovanni Cavalcoli o. p., ha definito puntualmente gli insulsi giudizi dettati dal buonismo: “Il voler distinguere con assolutezza il vero dal falso sembra a molti espressione di presunzione e di intolleranza, sorgente di discordia e mancanza di rispetto per le idee e la coscienza degli altri. Il concetto stesso di una religione assolutamente vera che primeggi sulle altre appare a molti una pretesa imperialistica di questa sulle altre religioni”.
La paura della scontrosa verità esige che la religione sia addolcita, accomodata e riversata in un contraffatto ecumenismo, empiamente finalizzato (secondo la puntuale sentenza del cardinale Siri) a separare la giustizia dalla carità divina, quindi ad assolvere la miscredenza e/o la falsa religione.
Nella malcelata intenzione dei buonisti, la Chiesa un tempo esperta in umanità deve scendere nelle grotte dove l’invincibile delirio grida che l‘uomo è misura di tutte le cose.
Se non che la indeclinabile teologia rammenta che fuori dalla Chiesa, depositaria dell’unica verità, non c’è salvezza. Lo rammentano gli anticonformisti titolari delle edizioni Amicizia cristiana (www.edizioniamiciziacristiana.it) che hanno riproposto una fondamentale opera, Fuori della Chiesa non c’è salvezza, pubblicata nel 1922 dall’illustre teologo domenicano Eduard Hugon.
Quasi anticipando la confutazione dei buonisti, padre Hugon rammentava, anzi tutto, l’inseparabilità della misericordia e della giustizia: “Allorché, liberati dai vincoli corporei, vedremo Dio così com‘è, capiremo quanto stretto e meraviglioso è il nesso tra la misericordia e la giustizia divina“.
Il meraviglioso nesso tra la misericordia e la legge è implicitamente negato dal padre di tutti i buonisti, il gesuita Karl Rahner, il quale afferma che la pace religiosa inizia dal riconoscimento che tutti sono nella verità e nessuno erra. La misericordia annulla e sostituisce la giustizia.
Sulla scia del qualunquismo teologico si è affermata la tesi che attribuisce agli atei e ai seguaci delle false religioni la qualifica di cristiani anonimi, che, in quanto tali, sono naturalmente destinati alla beatitudine eterna.
Per attingere un tale pensiero Rahner è costretto a condividere il disconoscimento modernista della dottrina cattolica sulla grazia, che pertanto diventa “la natura–grazia che è sufficiente ad assicurare la felicità e la divinizzazione dell’uomo”.
Purtroppo il risultato del progetto buonista per la pace è la cristianofobia, un diffuso fenomeno che conferma il discorso sul sale insipido destinato ad essere calpestato dal qualunque viandante.
L‘eccellente libro di padre Hugon, pertanto, rappresenta la figura della teologia che rientra in se stessa, dopo aver compiuto un giro nel vuoto.
Anzi tutto il testo di padre Hugon ci rammenta che, nella dottrina di sempre, l‘ecumenismo era coniugato con la verità teologica e con il buon senso: “E‘ evidente che l‘infedeltà non ha annullato le facoltà naturali, e che essere producono da sé certi atti facili, i loro frutti e i loro meriti. Tali operazioni [al proposito sono citati la lealtà verso gli amici e la venerazione dei genitori] sono talmente spontanee che le circostanze non possono viziarle; il fine è per sé onesto e si collega a Dio: è l‘infallibile omaggio della creatura al suo Creatore“.
La verità dell‘ecumenismo si manifesta quando la misericordia è associata alla giustizia. I non credenti escono allora dall‘anonimato cristiano per camminare verso la vera, consapevole fede: “La mano di Dio non si è accorciata, i doni della grazia celeste non mancheranno mai agli uomini che, con volontà sincera, desiderano e chiedono la luce“.
A Sant‘Agostino si deve il memorabile detto, “Tu che mi hai creato senza di me, non puoi salvarmi senza di me“. Non può essere salvato chi rifiuta la salvezza. Prima di negare la giustizia divina la teologia buonista umilia la libertà dell‘ateo, obbligandolo ad indossare quell‘abito cristiano che egli ha sdegnato. Negata la giustizia la misericordia divina è umiliata nella figura di un abuso.
Al miracolo che aggira e coarta la cattiva volontà degli infedeli, si oppone il miracolo che asseconda la disposizione al bene manifestata dai pagani onesti. Afferma padre Hugon: “Se [i pagani onesti] hanno praticato tutti i comandamenti, ivi compreso quello dell‘amor di Dio, hanno fatto quanto era loro possibile, hanno ricevuto la grazia, poiché Dio era in dovere, verso se stesso, di illuminarli sovrannaturalmente: diremo che sono in cielo“.
Il premio celeste non compete agli uomini ammassati alla rinfusa, ma ai singoli che invocano il soccorso divino. Al cristianesimo anonimo è soggiacente un futile paradosso, che svanisce non appena si considera la perfetta carità di Dio: “La sana e tradizionale teologia è quella che esalta più adeguatamente la bontà di Dio e ci fa meglio comprendere come la storia umana, anche in seno al paganesimo, possa essere – in tanti casi – la storia delle divine misericordie“.