LA TRADIZIONE ITALIANA TRA NEOFASCISMO E ANTIFASCISMO – di Piero Vassallo

di Piero Vassallo

 

 

Inseguimento nostalgico d’un passato refrattario al futuro, il neofascismo ha manifestato, attraverso il sogno almirantiano di un’impossibile alternativa di regime, l’estraneità all’insegnamento della tradizione italiana e l’incomprensione delle opportunità offerte al Msi-Dn dalla presenza di una solida maggioranza cattolica e di un robusto partito monarchico.

La fantasticheria intorno all’alternativa di regime, l’allergia al presente, l’avversione ai monarchici e ai c. d. venticinqueluglisti, l’insensibilità ghibellina al cattolicesimo causarono la perfetta disabilità che ha accompagnato la deludente/umiliante avventura, 1968-2013, del Msi-Dn di Giorgio Almirante e dell’An di Gianfranco Fini, dall’utopia alla dissoluzione, dalla micro rivoluzione alla farsa monegasca.

Il nostalgismo quantunque messo nel frigorifero dalla maggioranza che sosteneva il realismo politico di Arturo Michelini [1], offrì alle sinistre il pretesto per lanciare il grido d’allarme contro l’immaginario rigurgito della tirannia, del razzismo e del bellicismo. Grido cui rispose la folla violenta scesa in piazza nel luglio del 1960 per far cadere il governo di Ferdinando Tambroni e congelare la qualunque ipotesi di governo dei moderati [2].

b1Il rifiuto del nostalgismo, pertanto, deve essere coniugato con l’attenzione agli scritti dei filosofi e dei politologi militanti nel Msi in opposizione all’almirantismo e perciò insensibili alla mitologia intorno all’alternativa di regime: Carlo Costamagna, Giorgio Del Vecchio, Nicola Petruzzellis, Marino Gentile,  Guido Manacorda,  Ernesto De Marzio, Nino Tripodi, Vanni Teodorani, Giovanni Volpe, Fausto Gianfranceschi, Primo Siena, Enzo Erra, Giulio Caradonna.

Doveroso è anche il rispetto nei confronti della nostalgia non politicizzata, resto sentimentale dell’ordine di credenti e combattenti massacrato durante la radiosa primavera del 1945.

Prima di diventare partito della neodestra a Monte Carlo, infatti, il Msi era una radunata intrepida di estromessi e sopravvissuti. Reduci dai campi di concentrazione democratica o socialista, orfani di guerra e di liberazione, professori e funzionari epurati, sognatori avventizi, visionari impazienti e animosi aspiranti al rischio inutile.

Un popolo minore, marginale e demodé. D’altra parte chiunque fosse stato capace di assimilare le  lezioni dello storicista Benedetto Croce sull’esistenza delle severe e invalicabili parentesi, che separano il bene liberale dal male fascista, non avrebbe trovato motivo di associarsi agli eredi di una sconfitta clamorosa, meritata e irreversibile.

Si può affermare peraltro che l’antifascismo viscerale è uno strumento a disposizione dei politicanti impegnati ad appiattire e far retrocedere la vita italiana verso i modelli crepuscolari, che sono proposti ora dall’internazionale degli iniziati ai misteri della Bontà secondo gli strozzini ora dai banditori dell’illusoria e fatua alternativa suggerita dalla inattendibile conservazione americana.

Di qui l’obbligo di non ammettere che il fascismo sia giudicato in base al giudizio antitradizionale e anti-italiano elaborato da Antonio Gramsci e divulgato da acrobati del pentitismo, quali Davide Lajolo, Ruggero Zangrandi, Giorgio Bocca ed Eugenio Scalfari.

Nella magmatica/confusa eredità del fascismo, infatti, una ricerca rigorosa ed equanime può scoprire e selezionare idee attuali e indicazioni utili a contrastare la mala azione del partito immoralista, ossia la manfrina malthusiana (abortista e pederastica) messa in scena dagli speculatori, in vista dell’umiliazione degli italiani.

Contenitori di indicazioni utili alla politica del futuro, sono, ad esempio, le proposte di Giuseppe Bottai, il più intelligente e il più colto fra i protagonisti del ventennio fascista, uno studioso rifiutato dal Msi a seguito di un minaccioso e sdegnato intervento di Almirante [3].

Contro Bottai era rivolta l’accusa di aver votato, nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943, l’ordine del giorno che causò la fine del governo di Benito Mussolini.

E’ tuttavia certo che Mussolini poteva sventare la “congiura” del 25 luglio (sugli sviluppi della quale era perfettamente informato) ed è lecito supporre (al seguito di un attendibile testimone, quale fu Pino Romualdi) che Mussolini, avendo chiara la vista sul disastro militare in atto, fosse rassegnato a “passare la mano” in vista della costituzione di un governo capace di gestire l’uscita dell’Italia dal tunnel della mortale alleanza con Hitler [4].

b2Secondo lo storico Renzo De Felice, tale ipotesi è confermata sia dalle lettere indirizzate da Mussolini alla sorelle Edvige al fine di dichiarare la sua intenzione di ritirarsi per sempre dalla politica sia dalla riluttanza ad accettare la proposta di Hitler di assumere la responsabilità di capo dello stato repubblicano [5].

In conclusione si può affermare che il veto di Almirante non aveva serie motivazioni, poiché Bottai non un traditore ma il protagonista di un disperato tentativo di salvare il salvabile.

Ora Bottai fu ispiratore geniale (insieme con Carlo Costamagna) del laboratorio politico attivo nella Normale di Pisa, protagonista della riforma corporativa dello stato e autore di una riforma della scuola italiana intesa a destare negli scolari una sensibilità conforme all’umanesimo del lavoro.

Il progetto avviato da Bottai tra il 1938 e il 1943 era finalizzato a trasformare la scuola borghese – rimasta élitaria nonostante la riforma di Giovanni Gentile – in una scuola autenticamente popolare.

Bottai fu altresì fondatore e animatore della ruggente rivista Primato e, nel dopoguerra, promotore del mensile Abc. Fu anche collaboratore di Civiltà italica di  Mons. Roberto Ronca e di Luigi Gedda, rivista cui collaborarono anche Camillo Pelizzi, Guido Manacorda, Edmondo Cione e Vanni Teodorani [6].

La sua audacia di interprete della tradizione italiana Bottai la aveva dimostrata il 7 dicembre del 1942, quando inaugurò a Berlino l’Istituto Humanitatis, costituito per promuovere, nel segno del primato e dell’attualità del diritto romano e “in polemica implicita con il rifiuto [germanico] di esso, un umanesimo capace di congiungere due culture, quella umanistica e quella tecnico-scientifica, sotto il segno della civiltà romano- cristiana[7]. Dopo aver ascoltato il discorso di Bottai, il filosofo del nazismo, Arthur Rosemberg, esclamò: “E’ passato il nostro nemico”.

Oltre che al nazismo Bottai fu ostile alla suggestioni liberale, e infatti dichiarava che compito della cultura fascista era “mostrare chiaramente come la concezione fascista del diritto, dell’economia, della politica e, insomma dello Stato, si identificava perfettamente con la concezione del corporativismo”.

Ultimamente Bottai può essere giudicato pensatore del quale la destra italiana fu orfana disgraziata, fino all’allestimento della comica finale/liberale a Montecarlo .

Rileggere le proposte di Bottai senza subire l’incuboso ricatto del culturame e senza scendere nel nostalgismo può essere un’opportunità per gli studiosi che desiderano capire il Novecento e scoprire quali frazioni della sua storia culturale possono entrare nell’orizzonte del futuro.



 


[1] Arturo Michelini (Firenze 1909 – Roma 1969) volontario nella guerra di Spagna e nella campagna di Russia durante la quale meritò la Medaglia d’argento. Il Msi fu fondato nel dicembre del 1946 nel suo studio. Secondo l’autorevole Giuseppe Parlato “si adoperò per unire in un partito politico che accettasse le regole democratiche gli eredi del fascismo”. Interprete della maggioranza missina, indirizzò il partito alla conservazione degli equilibri politici imperniati della Dc.  Cfr. Giuseppe Parlato in “Fascisti senza Mussolini”, Il Mulino, Bologna 2006.

[2] Non per caso il “colpo di grazia” al governo Tambroni fu assestato da Giorgio Almirante, come ricorda lo storico Luciano Garibaldi, presente a Genova nel luglio del 1960. Tambroni, vista l’impossibilità di controllare la piazza violenta, aveva proposto a Michelini di trasferire la sede del congresso in un teatro situato a Nervi, tranquilla e controllabile periferia di Genova. Almirante insorse e minacciò la scissione ove Michelini avesse accettato la proposta di Tambroni.

[3] Cfr.:  L’intervento di Giorgio Almirante nel “Secolo d’Italia” 2 gennaio 1956 e la nota di Paolo Andriani (“Bottai nell’anticamera”) nella rivista “Ordine Nuovo”, Roma gennaio 1956

[4] Giulio Alfano rammenta che Karl Wolff seppe da Erwin Rommel che, all’inizio del 1943, Hitler era perfettamente convinto della inevitabilità della sconfitta e tuttavia  deciso a continuare la guerra ad ogni costo.

[5] Mussolini si piegò al volere di Hitler quando fu prospettata la “polonizzazione” dell’Italia in caso di un suo rifiuto.

[6] Cfr. Fabrizio Amore Bianco, cfr. “Il cantiere di Bottai”, Cantagalli, Siena 2012.

[7] Cfr. la nota di Luciano Canfora nel “Corriere della Sera” del 25 aprile 2013. Sull’avventura di Bottai nella Legione straniera (nella quale si arruolò per sottrarsi alla persecuzione democratica) cfr.: Enzo Natta, “Ombre sul sole”, Solfanelli, Chieri 2013.

1 commento su “LA TRADIZIONE ITALIANA TRA NEOFASCISMO E ANTIFASCISMO – di Piero Vassallo”

  1. Piero Vassallo

    sotto il doppio petto di Almirante batteva un cuore agitato dall’incapacità di adattarsi alla vita italiana post-fascista

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