LA VOCE PUBBLICA PERVERTITA – di Piero Nicola

di Piero Nicola

 

 

sdIl titolo è forte. Ma non è il caso di scuotere le coscienze, quando le persone chiare e ragionevoli tacciono o sono messe a tacere? quando gli organi di informazione, i politici di destra e di sinistra (attenti ai sondaggi demoscopici più che alla morale) e quanti hanno facoltà di farsi sentire travisano i fatti o semplicemente ignorano la logica, vanno blaterando di lesa maestà, di dignità conculcata e, così procedendo, fanno zerbino dell’evidenza, incoraggiano lo stupido orgoglio, l’immodestia e altre malattie spirituali?

Il Questore di Bergamo, conscio della deficienza dell’ordine pubblico, alla quale non è in grado di porre rimedio almeno nell’immediato, almeno con la diligenza del buon padre di famiglia ha avvertito le donne del pericolo che corrono uscendo di casa da sole nottetempo. Siamo nel campo della pacifica concretezza delle cose: una minaccia tangibile, attestata dai fatti statisticamente verificabili, e nel campo dei doverosi provvedimenti assunti dall’Autorità civile costituita.

In tempi normali, in consorzi umani sensati, i cittadini arrivano a comprendere e ringraziano. Il Questore, onestamente e senza infingimenti, senza dare ad intendere un potere maggiore di quello che in effetti possiede, ha messo sull’avviso il sesso debole per i rischi che corre, e lo ha ben consigliato; non è ricorso al coprifuoco, non ha intimato di restare in casa dopo il tramonto. Quantunque, essendone il caso, sarebbe stato in obbligo di adottare le misure drastiche adeguate al rischio. Quando un cornicione scricchiola e minaccia di rilasciare calcinacci, chi di dovere non è forse tenuto a disporre transenne e divieti che impediscano il transito sul marciapiede sottostante?

Ma la vanità è orba, il pregiudizio è miope, la suscettibilità non sente ragioni, e coi sentimenti di prevenuti e di fanatici ci si rompe la testa. Così, le donne più sindacaliste, più indocili, più lanciate, sono insorte, e la loro indignazione ha avuto libero corso attraverso i mezzi di diffusione, accendendo l’irrazionale sentire di altre donne e uomini solidali. Così, i profittatori (consapevoli o meno) della condizione femminile col pretesto di esserne i paladini, hanno suonato i tamburi dello sdegno, altamente meravigliato e disgustato che si potesse introdurre una limitazione della libertà femminile, sia pure sotto forma di autolimitazione, e quindi una diseguaglianza dei sessi. Perché di qui nasce tutto: dalla diseguaglianza, implicitamente da riconoscersi.

Qui, i nodi vengono al pettine: da un principio falso, contrario alla natura – che non è il solo vigente in questa disgraziata società menata per il naso – discendono inevitabili errori e accecamenti dell’intelligenza. Che la femmina sia differente dal maschio sta sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, per un malinteso concetto di giustizia e di parità, si ragiona e si legifera come se questa evidenza non fosse, come se entrambi gli esseri avessero una uguale muscolatura, una stessa struttura fisica e psichica (salvo celebrare l’incomparabile intuito femminile), una medesima attitudine a svolgere mansioni, una medesima conformazione e funzione degli organi genitali, una medesima capacità di eccitare col proprio corpo la concupiscenza e l’istinto all’accoppiamento.

La retta presa d’atto di tali differenze disposte dal Creatore non ha niente a che vedere con i soprusi che l’uomo possa commettere ai danni della sua compagna di questa vita. Le prevaricazioni di lui nei confronti di lei sono assolutamente un altro paio di maniche. Invece si sono volute confondere le giuste rivendicazioni di lei con un’assurda e abusiva uguaglianza, elevata a oggetto di diritto. In questo modo abbiamo avuto le soldatesse, le poliziotte, le camioniste, le conducenti di autobus, le netturbine, per giunta senza distinzione di mansioni, e la diarchia nella società familiare, con grande scapito per le donne. Esse devono sobbarcarsi a un lavoro anche pesante, per il quale sono inadatte o meno adatte dell’uomo, e devono svolgere funzioni che, data la loro costituzione, non possono essere svolte dall’uomo (maternità), devono sottostare ai dolori e agli incomodi periodici (mestruazioni) che pure sono loro propri.

Ma la nostra debolezza, sfruttata obbrobriosamente per disegni innominabili, l’insoddisfazione che rende insaziabili, inducono l’essere umano a non voler scapitare, a non ammettere d’essere escluso in alcun modo, anche se gliene viene un danno, anche a costo di snaturarsi, specie quando, a torto o a ragione, crede di essere in qualche modo sottomesso. D’altronde la virtù della modestia è stata scalzata dalla finta virtù dell’orgoglio e dell’egoismo mascherato di arzigogoli.

Un meccanismo psicologico di bassa moralità ha permesso che le donne si compiacciano di vedersi impegnate a fare l’uomo, per il solo motivo che ne hanno una certa possibilità, e non vedano come in tale impegno si sviliscano, alterino i propri connotati, si mascolinizzino là dove, viceversa, il maschio acquista virilità. Purtroppo una donna che fa il meccanico può sembrare in gamba; un uomo che ricama con le sue grosse dita muove al riso. La grazia e la bellezza muliebri sono esclusive del gentil sesso; le goffe imitazioni di esse praticate dal sesso forte si prestano soltanto all’umorismo.

A sostegno dell’equivoco si è montata una serie di nuove dottrine aberranti: il diritto di ognuno di scegliere il sesso che preferisce, i gender o generi sessuali tutti sullo stesso piano, a  prescindere dai due generi individuali e congeniti, i matrimoni omosessuali, i film-fumettone dove ragazze portentose atterrano i marcantoni esibendo forza congiunta a destrezza, e via dicendo. Basterebbe la superba incuranza generalmente dimostrata verso i costumi dei padri e degli avi, verso la trascorsa civiltà ancora regolata o condizionata dalla Chiesa, per mostrare lo stupido autolesionismo oggi dominante.

Mi sembra d’aver spiegato abbastanza la perversione della più elementare e necessaria potenza dell’anima: il corretto uso del raziocinio. Donde, gli esseri umani rinnegano la loro natura per soddisfare ubbie, ideali drogati, vanaglorioso andare oltre la natura violentandola, non essendo più capaci di seguire il sano anelito a superarla, incapaci di ubbidire alla sua legge e all’esigenza del vero Dio, amoroso Creatore e Legislatore.

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