L’ANGOLO DI GILBERT K. CHESTERTON – GKC pedagogista – Rubrica quindicinale

GKC PEDAGOSISTA

Più è piccola la nostra fede nella dottrina, più grande è la nostra fede nei dottori”

Nell’Illustrated London News del 26 gennaio 1907, Chesterton discettò sull’educazione, mostrando tutta la sua versatilità anche come fine pedagogista. Egli aveva molto a cuore l’educazione dei figli (anche se personalmente non poté gioire di averne alcuno) e ne parlò copiosamente successivamente in numerosi saggi, da Ciò che non va nel mondo del 1910 a Fancies versus Fads del 1923, solo per citarne alcuni.

Egli riteneva che il problema dell’educazione andasse di pari passo con quello della famiglia: “Se l’educazione è veramente la questione più grande, allora senz’altro la vita domestica è la questione più grande; e la vita in ufficio o il commercio la questione meno importante”. Proprio in quanto nulla era più importante dell’educazione, era doveroso impegnarsi per formare la generazione nascente, piuttosto che lottare per l’emancipazione ipotetica della donna (allora c’era il movimento delle suffragette): “Se c’è una sillaba di verità in tutti quei discorsi sull’educazione del bambino, allora non c’è indubbiamente nient’altro che assurdità nei nove decimi dei discorsi sull’emancipazione della donna”.

I suoi ragionamenti erano corretti e logici, le sue osservazioni erano realistiche e obiettive: “Se glorificate l’educazione, dovete glorificare con essa il potere dei genitori. Se ingigantite l’educazione, dovete ingigantire con essa il potere dei genitori”. Chesterton era conscio di tutti i problemi relativi all’educazione del bimbo, del significato etimologico della parola “educare” e di quello relativo all’istruzione: “So tutto di quel discorso che la parola educazione significa tirar fuori cose e la mera istruzione significa metter dentro cose e rispondo rispettosamente che Dio solo sa che cosa c’è da tirar fuori; ma noi possiamo ragionevolmente essere responsabili di quello che noi stessi mettiamo dentro”.

La finezza del Chesterton pedagogista stava innanzitutto nella sensibilità premurosa per lo sviluppo armonioso del bimbo. Egli era consapevole che non erano solo le cose che si dicevano o si insegnavano quelle che i bambini rispettavano, ma erano piuttosto quelle date per scontate, quelle tradizionali che potevano radicarsi dentro: “Sono le cose che dimentichi perfino di insegnare, quelle che imparano”.

L’educazione, la pedagogia non dovevano essere trattate, secondo Chesterton, alla stregua di “materie scolastiche”. Egli era contrario all’educazione moderna, poiché la considerava un’impostura o una scusa per parlare d’altro. L’educazione tradizionale invece era la sola ed eterna educazione: l’essere così sicuri che qualcosa è vero da avere il coraggio di dirlo a un bambino.

L’educazione quindi per Chesterton aveva a che fare con il dogma: “E’ curioso che la gente parli di escludere i dogmi dall’educazione. Il dogma è sicuramente l’unica cosa che non può essere separata dall’educazione. Il dogma è l’educazione stessa. Un insegnante che non è dogmatico è un insegnante che non insegna”. Numerose deduzioni si potrebbero trarre da queste osservazioni chestertoniane; sta di fatto che il vero scopo dell’educazione, come affermò Chesterton in “Ciò che non va nel mondo”, consisteva nel far rimanere le persone davvero vicine a Dio, permettendo loro di assaporare tutta la bellezza e verità del creato: “C’era un tempo in cui tu ed io, e tutti noi, eravamo davvero vicini a Dio, tanto che adesso il colore di un sassolino, il profumo di un fiore ci entrano nel cuore con una specie di autorevolezza e fiducia”.

Chesterton voleva riversare questa solida semplicità dentro la vita, riservando all’educazione il gusto delle cose eterne ed immutabili, come scrisse nell’Illustrated London News del 30 maggio 1908: “Un bambino vuol conoscere le cose stabili, non quelle mutevoli. Si gode il mare, non le maree. Si gode la bellezza, non la moda”.

1 commento su “L’ANGOLO DI GILBERT K. CHESTERTON – GKC pedagogista – Rubrica quindicinale”

  1. Prendiamo ad esempio il rispetto verso i propri genitori: una educazione che dovrebbe formarsi mano a mano che il bambino cresce, una educazione che viene con sé perché l’autorevolezza con cui il genitore si pone davanti al figlio ne fa risaltare l’autorità. Oggi da soggetto autorevole, il genitore è divenuto amico, un soggetto dunque alla pari. Difficilmente tratterà il figlio con autorità o, se proverà a farlo, non sarà preso sul serio, se non nel momento in cui al figlio aggraderà. E dunque, quell’ “Onora il padre e la madre ” non è più un precetto stabile, né lo si dà più per scontato, ma dipende dal “se mi va o non mi va”. Niente più gusto delle cose eterne e immutabili, purtroppo, poiché non si è fatto altro che allontanarsi dall’Eterno e Immutabile che fa belle tutte le cose e tutte le rende semplici, chiare e limpide. Ma nulla è perduto finché resterà il lumicino della fede e da qualche parte, se Dio vuole, si salveranno pure i dogmi dell’educazione. Che la Madonna, Madre santa e premurosa, ci aiuti e ci assista nel conservarli.

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