L’angolo di Gilbert K. Chesterton – La pazzia e l’anarchia – Rubrica quindicinale di Fabio Trevisan

LA PAZZIA E L’ANARCHIA

 “Il pazzo è colui che smarrisce la via e non sa più ritornare”

 

I temi della pazzia e dell’anarchia sono stati affrontati diverse volte da Chesterton. Famoso è quello espresso in Ortodossia del 1908: “Il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma quello che ha perso tutto tranne la ragione”. Spesso la pazzia è collegata alla monodirezionalità, alla monotematicità dell’universo maschile tanto da divenire sistema ideologico. Al contrario, nel femminino Chesterton trovava l’elemento riequilibratore che temperasse la dissennatezza del maschio. La mano che dondola la culla, la gonna che governa il mondo erano riconducibili alla capacità della donna di tenere a bada il delirio, anche d’onnipotenza, del maschio.

Nel Poeta e i pazzi, Gabriel Gale definisce in questo modo la pazzia: “Il pazzo è colui che smarrisce la via e non sa più ritornare”. I temi del “perdersi” e del “ritrovarsi” sono continuamente esaminati da Chesterton al pari di quelli della “pazzia” e dell’anarchia. Basterebbe fare una rapida carrellata dei suoi scritti per rendersene esatto conto: Innocent Smith è l’uomo vivo che fa il giro del mondo per ritornare a casa. Sembrerebbe pazzo ma in realtà mostra in modo paradossale la capacità di trovare la strada del ritorno e quindi dell’assennatezza.

Nell’introduzione all’Uomo eterno il giovane scorge dalle montagne la sua piccola casa e capisce che quella era in realtà ciò che cercava. Nel La sfera e la croce il monaco Michele mostra al professor Lucifero l’esito della pazzia, riconducibile alla forsennatezza di svellere la croce da tutti gli ambiti della vita umana (dal collo della sua fidanzata alla cima del campanile fino alle palizzate di legno lungo le strade di campagna). Lo smarrimento della strada ha qui il significato non solo di squilibrio razionale ma soprattutto spirituale, indicando con precisione la sanità con l’affermazione salvifica della croce di Cristo.

La condizione della sanità è riferibile in Chesterton all’accettazione del dogma del peccato originale (la “tradizione della Caduta” come amava definirla) e, conseguentemente, allo status di pellegrino: “Mi son fatto pellegrino per guarirmi dall’essere un esiliato”. L’incapacità di ritornare sulla retta via è quindi simbolo della pazzia, ma anche dell’anarchia, come egli afferma in Eugenetica e altri mali: “L’anarchia è l’incapacità di rientrare dopo un legittimo divertimento”. Chesterton non intendeva con il termine “anarchia” solo una concezione politica ma soprattutto una condizione etica e la raffigurava con un’immagine altisonante, la cascata: “Il Niagara è debole e assordante, è incapace di fermarsi”. L’anarchia dall’alto verso il basso, il potere come il Niagara, oppure l’anarchia dal basso, come i costumi disordinati di chi va a letto sempre più tardi o mangia ad orari sbagliati. Viene meno, nell’anarchia come nella pazzia, la condizione dell’umano, ed infatti Chesterton giustamente apostrofa, senza mezzi termini, come “porci” coloro che non hanno più regole. Sembrerebbe quindi che l’anarchia, concepita in questo modo, estenda il concetto di pazzia oltre il solo razionalismo per lambire i vari ambiti dell’esistenza.

Anarchico quindi non è solo colui che mette la bomba perché avversa ogni potere (ad esempio nel caso dell’incubo descritto nell’Uomo che fu Giovedì), ma è soprattutto colui che non accetta l’ordine razionale e naturale e lo porta alle estreme conseguenze in una vita disordinata senza più freni né limiti. Se quindi il pazzo poteva essere riscontrabile nello scientista, nel razionalista, nell’eugenista, nell’evoluzionista, l’anarchico era anche l’uomo della strada che aveva perso la strada e che non sapeva e, soprattutto, non voleva più ritornare. Era l’uomo comune che smarriva il senso comune o l’uomo che non sapeva più mantenersi fedele al voto. Era il disimpegnato, l’avventuriero moderno che non aveva più Patria, Tradizione, Famiglia. Era il relativista che non cercava più la verità oggettiva; era colui che aveva invertito i principi fondamentali con quelli legati all’autodeterminazione e alla perversione del desiderio.

Ancora una volta Chesterton indicava l’esito drammatico della modernità. La non accettazione della verità oggettiva (“Tutte le strade portano a Roma, per questo molta gente non c’è mai stata”) conduceva alla deriva libertaria, pazza e anarchica che tuttora stiamo vivendo.

2 commenti su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton – La pazzia e l’anarchia – Rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”

  1. Stiamo assistendo con sempre maggiore sbigottimento non solo al diffondersi a macchia d’olio della pazzia generalizzata di masse omologate ad un pensiero perverso, ma anche al tipo di anarchia qui illustrata che rifiuta l’ordine naturale delle cose, così come voluto dal Creatore. Una tragedia immane si sta svolgendo sotto i nostri occhi e tanto più grave in quanto pare difficile opporvisi. E’ il male travestito da bene e il rovesciamento di ogni buon senso ad avere la meglio; lo abbiamo visto in questi giorni: accanto agli inferociti e vomitevoli oppositori al Congresso di Verona, la stessa manifestazione,per quel poco che se ne è potuto sapere, non ha certo brillato per una vigorosa presa di posizione priva di ogni distinguo sui temi di ordine morale che chi è tutto di un pezzo pure si aspettava. Un politicamente corretto ben spalmato negli interventi di chi avrebbe dovuto dire ben altro, oppure starsi zitto e certa terminologia in linea con l’andazzo generale non hanno creato altro che mesta delusione. Un vero peccato

  2. Maria Antonietta Polerani

    Un “peccato” che la Chiesa un tempi custode dei valori oltre ad essere incluna al male essa stessa lo ripudi nella sua essenza e li travesta di luce apparente. Tanti ,troppi gli esempi …..viene in mente il Vangelo di Giovanni quando Gesù condotto alla croce duce alle donne”Non piangete sopra di me ma sui vostri figli”. Più si guarda in alto nella chiesa e più viene da piangere. Ma coraggio!! Christus vincit!

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