LE DUE ANTROPOLOGIE – di P.Giovanni Cavalcoli,OP

di P.Giovanni Cavalcoli,OP


 

La concezione cattolica dell’antropologia è oggi per così dire presa tra due fuochi. Per esprimerci con categorie politiche, ma qui, trattandosi di filosofia, non del tutto confacenti, potremmo parlare di un’antropologia “di destra” pagano-panteistica, di tendenza liberale, oggi rappresentata da Heidegger, da Emanuele Severino e dalla fenomenologia husserliana, e di un’antropologia “di sinistra”, di tendenza materialistico-libertaria, rappresentata ieri da Siegmund Freud e da Herbert Marcuse, ed oggi da Gianni Vattimo e da Vito Mancuso. Entrambe hanno la loro origine rispettivamente nella “destra” e nella “sinistra” hegeliane.creazione

La prima tendenza esagera e falsifica l’aspetto spirituale; la seconda ingigantisce fuor di misura l’aspetto materiale. La concezione cattolica invece concilia questi due aspetti, dando il primato allo spirituale e concependo l’uomo, dietro l’insegnamento biblico interpretato dalla Chiesa, come unica sostanza o soggetto – la persona creata “ad immagine e somiglianza di Dio” – composto di anima spirituale e corpo.

L’anima spirituale, secondo la definizione del Concilio di Viennes del 1312, è la “forma sostanziale” del corpo, mentre la distinzione fra anima e corpo è stata insegnata dal Concilio Lateranense IV. Corpo ed anima sono due comprincìpi di quell’unica e medesima sostanza che è l’individuo o persona umana.

Invece, che cosa è poi successo nella storia dell’antropologia? Che da una parte in Inghilterra, con John Locke, nel sec.XVII, si è perso di vista il concetto ontologico di sostanza, per cui successivamente, nel sec.XVIII, con David Hume, si è finito per concepire la persona come un semplice atto della coscienza col quale io collego un insieme di sensazioni e di esperienze sensibili nello spazio e nel tempo, ma senza che tali fatti si appoggino o emanino da un vero e proprio soggetto spirituale sempre identico a se stesso nel tempo (“l’anima”).

D’altra parte, sempre nel sec.XVII Cartesio, come è noto, concepiva l’uomo come un’autocoscienza (il famoso cogito), come res cogitans unita non si sa come ad un’altra sostanza, il “corpo” come res extensa. Quindi, mentre Locke annullava la sostanza, Cartesio concepiva l’uomo come composto addirittura di due sostanze, sicchè, mentre nel caso di Locke si perdeva di vista il primato dello spirito e si preparava il materialismo settecentesco, nonché quello di Marx e di altri filosofi, nel caso di Cartesio il detto primato balzava talmente in primo piano in un’illusoria evidenza, tanto da sostituire la certezza del senso e trasformare l’autocoscienza umana in un’autocoscienza angelica o quasi divina, nella quale l’essere si riduce all’essere pensato e quindi la volontà all’essere voluto.

Era la nascita di quella concezione idealistica dell’uomo che avrebbe raggiunto il suo culmine con Hegel fino a Nietzsche, a Gentile, ad Husserl ed ad Heidegger. La persona come autocoscienza e libertà, dottrina che gli eredi attuali di Cartesio vorrebbero spacciare come la conquista insuperabile della modernità, nella quale, a quanto pare, non ci sarebbe più posto per la concezione cattolica, che la Chiesa ha tratto da Boezio, Individua substantia rationalis naturae.

Ma l’empirismo humiano e l’idealismo cartesiano, al di là della loro opposizione, sono  connessi tra di loro più di quanto a tutta prima possa sembrare. Ciò è apparso soprattutto nell’antropologia contemporanea, la quale, in reazione al dualismo cartesiano, ha finito per cadere in un rozzo monismo, che non distingue più l’anima dal corpo, e ciò tanto negli eredi materialisti di Hume quanto nei nipoti idealisti di Cartesio.

L’unica differenza è che mentre per i primi la materia si autosupera per evoluzione elevandosi alla dignità dello spirito, sicchè lo spirito proviene dalla materia, nei postcartesiani la corporeità è una semplice emanazione, manifestazione o espressione dello spirito, un “fenomeno” (Erscheinung, dirà Kant, dello spirito o della mente), con quella conseguenza o, se vogliamo, premessa, che gli idealisti chiamano “identità dell’essere” (materia) “col pensiero” (spirito). In tal modo gli idealisti, pur restando tali, hanno modo di congiungersi con i materialisti.

Per i materialisti la materia, per una sua intrinseca energia, sale dal basso verso l’alto, contraddicendo così al principio fondamentale della scienza, che è il principio di causalità efficiente, per il quale ciò che è superiore (lo spirito) non può provenire dall’inferiore (il corpo), ma è vero il contrario, giacchè la causa non sarebbe esplicativa ed informativa se non contenesse maggior essere e maggiore intellegibilità dell’effetto.

Ma anche l’antropologia idealista contravviene al principio di causalità in altri modi. Infatti, il principio di causalità dice anche che la causa causando non scende al livello dell’effetto, né l’effetto sale al livello della causa. Ora, l’antropologia idealista comporta come conseguenza o quella di materializzare lo spirito o quella di assorbire la materia nello spirito: nel primo caso abbiamo la prima contravvenzione al principio, nel secondo, abbiamo la seconda.

Le conseguenze ultime di queste due antropologie nel campo dell’agire morale sono nefaste. Naturalmente le si può evitare e ci si può fermare prima, nel qual caso può esistere una certa compatibilità con l’etica cattolica, ma si tratta di una situazione instabile, si potrebbe dire una vita  “alla giornata”, un po’ come il Dasein atematico di Heidegger, nel quale il soggetto, se vuole sopravvivere (anche psichicamente), è obbligato a tacitare la coscienza, a continui estenuanti equilibrismi, compromessi, meschinità, doppiogiochismo, incoerenze.

Se uno è uomo di coscienza, sarà per lui un continuo tormento. Vanno avanti solo coloro che mancano di princìpi saldi, potremmo dire gli incoscienti o le banderuole, e purtroppo oggi, forse anche senza colpa, sono molti, convinti di essere uomini del dialogo, dalla mente aperta, pacifisti, democratici, progressisti, predestinati alla salvezza.

Infatti, la concezione humiana conduce al relativismo morale, negando l’oggettività, l’universalità e l’immutabilità della legge morale naturale, degrada la condotta umana al livello dell’animalità rendendola schiava del senso e delle passioni, genera egoismo, debolezza di carattere, inettitudine al sacrificio, infedeltà agli impegni assunti, ingiustizia, utilitarismo, sfruttamento del prossimo, avidità insaziabile di ricchezze e di piaceri, fino alla caduta nel crimine e nel delitto.

Questa morale materialista ama eventualmente mascherarsi sotto l’egida della liberazione dell’uomo dalla povertà e della lotta per la giustizia sociale e si presenta come fautrice di pace (“fate l’amore, non fate la guerra”), ma in realtà, a causa della sua empietà e del suo ateismo, genera alla fine solo sistemi politici tirannici, liberticidi e degradanti, come si è visto nei regimi comunisti del secolo scorso.

La concezione cartesiana, dal canto suo, spinta alle sue estreme conseguenze dell’idealismo panteista, che dette i suoi frutti più amari col fascismo e il nazismo, genera una concezione elitaria e superomistica della persona, falso eroismo, arroganza e prepotenza, uno spirito sofistico scambiato per genialità, una superbia gnostica, una libertà senza legge, tradizionalismo acido ed esoterico, crudeltà, sete di potere, di successo e di dominio, disprezzo per la povera gente, una feroce competitività che tende ad eliminare avversari che ci sbarrano la strada e che forse Dio ci manda per correggerci.

Oggi il mondo cattolico va soggetto al richiamo di queste sirene che amano presentarsi in modi seducenti o raffinati, polically correct, magari sotto sembianze cristiane o come aggiornamenti conciliari ed ecumenici, ed indubbiamente non prive, come accade anche nei più gravi errori, di istanze positive e di elementi validi, per recuperare i quali occorre però molto discernimento, una buona formazione cattolica, salde convinzioni, esercizio delle virtù umane e cristiane, pratica della preghiera e della vita sacramentale, fedeltà alla Chiesa, accettazione della croce, apertura di cuore, ma anche grande vigilanza: “semplici come le colombe, prudenti come i serpenti”.

Noi cattolici abbiamo ricevuto da Cristo il mandato sublime di essere “luce del mondo e sale della terra”. Per esercitare questo prezioso servizio con la dovuta modestia ma anche col necessario coraggio, in ordine alla salvezza del prossimo, senza fondamentalismi ma anche senza opportunismi, con tutta la carità possibile, occorre certo vivere il nostro tempo, amare la modernità, ma anche, alla luce del Vangeli e degli insegnamenti della Chiesa, fare nella modernità un’opera di discernimento, che ci consenta di assumere quanto in essa  è conforme a Cristo e di respingere quanto invece con Cristo non si concilia.

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