di Piero Vassallo
Il 20 settembre 1792 Louis-Antoine de Saint Just, accecato dal fanatismo, pronunciò davanti alla Convenzione rivoluzionaria il discorso che stabilisce il fondamentale principio del giustizialismo: il cieco odio politico.
Negata la tesi dell’inviolabilità del re di Francia e rifiutata la proposta di processare Luigi XVI come un comune cittadino, il grande accusatore e fondatore del processo politico, infatti, affermò: “Io dico che il re deve essere giudicato come un nemico, che dobbiamo combatterlo piuttosto che giudicarlo“.
In queste poche parole si contempla l’esplosione del delirio giuridico, che ha scatenato e alimentato la mostruosa vicenda della rivoluzione francese e della rivoluzione russa.
L’idea strutturalmente abnorme e allucinata di un tribunale che combatte il reo anziché giudicarlo con onestà, incoraggia e legittima le azione più irrazionali e più turpi, ad esempio l’assassinio di persone del tutto innocenti e più che innocenti virtuose, quali le monache carmelitane di Compiègne e le monache benedettine di Orléans.
In forza dell’allucinazione che altera la natura dei tribunali, le monache di Compiègne e di Orléans furono condotte alla ghigliottina perché considerate genericamente nemiche e non perché colpevoli di un atto contrario alla morale.
E’ necessario rammentare che le infamie consumate nei processi stalinisti hanno la loro radice nella folle e disonesta dottrina di Saint-Just, una dottrina che continua ad infettare il pensiero dei progressisti sopravvissuti alla catastrofe del comunismo.
Saint Just è il padre di tutte le canaglie togate in Francia o in Russia. La legge del contrappasso ha trascinato Saint Just alla ghigliottina. Saint Just è morto, ma il suo fanatismo vive e lotta ancora contro la ragione e contro il diritto.