di Piero Vassallo
L’egemonia gramsciana è reale nell’opinione del giornalismo schierato e nelle battute del cabaret, fonti addomesticate che rappresentano una Destra popolata da violenti, depravati, analfabeti e mentecatti. Anche se nelle biblioteche, luoghi dove la parola scritta annulla e sostituisce la chiacchiera scapigliata, il volume dell’alta cultura comunista è ristretto e certamente inferiore a quello della cultura di Destra.
Uno scrupoloso censimento degli Editori di Destra contempla l’esistenza di oltre cinquanta qualificati soggetti, alcuni dei quali come Rusconi, Il Borghese, Volpe, Il Cerchio, Controcorrente, Logos, Aurora Boreale Firenze (editrice di Storia Verità e Novum Imperium), Novantico, Solfanelli, Thule, Effedieffe, ISSPE, Dino, Asefi, Ar, Fede e cultura) presentano o presentavano robusti e interessanti cataloghi.
Non trascurabile è il contributo culturale dei settimanali e delle riviste d’area: Candido, Il Borghese, Asso di bastoni, Meridiano d’Italia, Il Nazionale, La Torre, Pagine libere, L’Italiano, Cantiere, Ordine Nuovo, Tabula rasa, L’Occidente, Domani, Azione, Carattere, Ordine Civile, Lo Stato, L’Alfiere, Novum Imperium, ecc.
Le cause esterne della scarso successo della cultura a monte della Destra vincente nelle cabine elettorali, sono fin troppo note: la disinformazione organizzata dai poteri forti, la congiura giornalistica del silenzio, l’ostilità della burocrazia scolastica, l’ostruzionismo dei distributori e dei librai che fanno il mercato, l’influsso depistante di un’editoria massonica generosamente finanziata.
Non è tuttavia lecita l’ostinazione a rimandare la domanda sulle cause interne che abbassano il profilo della cultura di Destra.
Inesplorate sono infatti le cause endogene della mediocre accoglienza che i lettori appartenenti alla maggioranza silenziosa riservano all’offerta delle loro case editrici.
Ora, la prima causa della scarsa diffusione dell’editoria di Destra è l’incerto confine tra cultura e politica e la conseguenza rivalità tra politicanti estranei alla cultura e uomini di cultura in cerca di spazio nella politica.
I giovani studiosi emergenti a Destra durante il dopoguerra (Giano Accame, Fausto Gianfranceschi, Pino Rauti, Fausto Belfiori, Enzo Erra, Primo Siena, Silvio Vitale, Fabio De Felice, Giuseppe Tricoli) non hanno mai dichiarato la loro estraneità alla politica pura, anzi si sono costituiti in corrente.
Tale imprudente scelta ha nutrito la diffidenza e la gelosia dei politici di professione, i quali (fatta l’unica eccezione di Ernesto De Marzio) ostacolarono la diffusione delle nuove idee e il successo dei loro portatori.
Nell’ottica dell’occlusione si legge la scelta insensata compiuta dal segretario del partito missino, Giorgio Almirante, il quale affidò il settore della cultura a Armando Plebe, un meteorite più che estraneo refrattario alla tradizione della Destra. Plebe fu scelto perché perfettamente isolato nell’ambiente missino, dunque inabile a recare il più piccolo disturbo al manovratore politicante.
Il conflitto che nel Msi opponeva i politici agli studiosi si è esteso poi al centrodestra ingigantendosi. Se non è figlia di tale conflitto, l’umiliante e irritante mediocrità dei politici oberanti a Destra, ne è certamente nipote.
E’ impietoso rammentare le patetiche nomine (a incarichi nei ministeri dei Beni culturali e della Pubblica istruzione) di personalità senza qualità, mentre a Destra militavano uomini di spessore come Giano Accame, Fausto Gianfranceschi, Roberto De Mattei, Stefano Zecchi, Piero Buscaroli, Gaetano Quagliarello ed altri.
Una sottovalutata causa delle difficoltà incontrate dell’editoria di destra risiede nell’egemonia esercitata dal pensiero evoliano. Ammaestrato dall’iniziato Arturo Reghini, Julius Evola fu il scintillante banditore di un ateismo coperto dal sacro grembiule di René Guénon. Purtroppo le suggestioni emanate dalle oblique e martellanti pagine evoliane hanno consegnato all’indifferenza e/o al disprezzo dei giovani missini le opere di filosofi di ben altro spessore, quali Giovanni Gentile (un autore la cui conversione finale al cattolicesimo è stata dimostrata di recente), Francesco Orestano, Giovanni Papini, Domenico Giuliotti, Nicola Petruzzellis, Balbino Giuliano, Guido Manacorda, Marino Gentile, Carmelo Ottaviano, Augusto Del Noce.
Causa seconda del debole impatto dell’editoria di Destra e dello sconcerto dei lettori fu (ed è ancora) l’incontrollata esorbitanza del pluralismo ideologico.
Nel dopoguerra gli esponenti della cultura di Destra hanno infatti attuato una politica editoriale conforme alla libertà d’opinione concessa dal regime fascista, che, forte della sua identità, permetteva il dibattito fra gentiliani e antigentiliani, tradizionalisti e futurista, strapaesani e stracittadini. Malauguratamente, gli intellettuali dell’area missina non hanno tenuto conto di quel fermo indirizzo della politica fascista, che l’amareggiato neopagano Evola definì “vittoria della neoscolastica”.
Di qui la dispersone dell’identità culturale in un ventaglio di dottrine spesso eccentriche e quasi sempre confusionarie e oscure.
Dove occorreva l’unità culturale nel rigore, l’industria culturale della destra ha offerto una produzione intitolata alla mente plurima, gettando sul mercato un imbarazzante assortimento di autori in ordine (ad esempio Marcel De Corte, Thomas Molnar, Marino Gentile, Nino Badano) e di scrittori raccolti nelle praterie della varietà pittoresca : Nietzsche e Guénon, Junger e Cioran, Celine e Drieu la Rochelle, Goldwater, Kirk, Zolla e De Benoist, Davila e Leo Strauss, Pirandello e Mishima, Pitigrilli e Calasso, D’Annunzio e Pasolini.
Nello scenario crepuscolare il coraggio e la determinazione di alcuni studiosi contemporanei (come Giulio Alfano, Sandro Giovannini, Tommaso Romano, Angelo Ruggiero, Valentino Cecchetti, Roberto Manfredini, Pietro Giubilo e Alberto Rosselli, direttore responsabile del rinnovato e anticonformista bimestrale Storia Verità) operanti fuori dal controllo devastante della casta, sta comunque tentando di raggiungere l’unità ancora esistente oltre le anime della destra scismatica e frantumata.
Ora, come è noto, la ricostruzione della perduta unità di pensiero comincia dalla riappropriazione della ‘Verità’ sul passato. L’intelligenza separata dalla memoria, infatti, sprofonda nel vuoto il cui colore tenebroso si legge nelle espressioni livide e desolanti dei divorziati dalla storia (gettati in politica).
A questo proposito, l’emblematico titolo della Rivista diretta dal già citato Alberto Rosselli, cioè Storia Verità, esprime dunque l’ardua intenzione di ricominciare dal punto in cui l’editoria e la politica di destra hanno perduto la memoria, per gettarsi nel vortice grottesco delle mode di passaggio.