Lega cattolica per la preghiera di riparazione. Notizie e avvisi. Una lettura di formazione di S. Aelredo di Rievaulx

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Calendario tradizionale. Giovedì 2 febbraio 2017. Per il Martirologio clicca qui

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Gentili Amici,

ogni giorno, con un crescendo diabolico, si consumano offese al Sacro Cuore di Gesù, anche da parte di Pastori che non guidano più sulla buona strada i fedeli e da parte di quanti, avendo la responsabilità della guida delle Nazioni, dovrebbero agire solo per il bene dei popoli. I pochi che si oppongono con risolutezza al peccato dilagante sono messi a tacere, diffamati e derisi. Il nostro impegno nella Preghiera di riparazione deve perciò essere costante e instancabile. Rinnoviamo anche le preghiere affinché il Signore doni Santi Pastori alla Sua Chiesa. Possiamo rileggere, cliccando qui, le modalità della preghiera di riparazione. È prezioso anche l’ausilio del libretto con gli Atti di devozione al Sacro Cuore e le Litanie del Sacro Cuore (clicca qui).

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Per la nostra formazione, leggiamo un estratto da L’Amicizia spirituale di S. Aelredo di Rievaulx  . Il testo potrà anche essere scaricato in formato pdf cliccando qui; in tal modo potrete costituire e conservare la vostra biblioteca di letture di formazione.

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NOTIZIE E AVVISI

 I sacerdoti della Fraternità San Pio X celebrano la Santa Messa in rito antico in diverse città. Per l’elenco completo delle Cappelle in Italia e orari delle celebrazioni, clicca qui.

 Tutte le domeniche e i giorni festivi a Verona si celebra la S. Messa in rito antico alle ore 11.00 nella Rettoria Santa Toscana, in piazza XVI Ottobre n. 27.

– Tutti i sabati e nei giorni delle solennità a Brescia si celebra la S. Messa in rito antico alle ore 18.00 nella chiesa di San Zeno al Foro (piazza Carducci). Alle 17.30, recita del S. Rosario, esposizione del Santissimo Sacramento e benedizione eucaristica.

– Ogni domenica e festa di precetto a Pavia si celebra la S. Messa in rito antico, alle ore 9.30 nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, in via Luigi Porta (centro storico).

– Nella diocesi di Prato si celebra regolarmente la S. Messa in rito antico in latino, in seguito al Motu Proprio “Summorum Pontificum” del 2007 nelle seguenti chiese: la chiesa dello Spirito Santo a Prato (piazza del Collegio), ogni domenica e festa di precetto ore 17.00; la chiesa di Santa Cristina a Pimonteogni domenica ore 10.00; la chiesa di San Martino a Paperino a Prato la prima domenica del mese ore 16.00 e ogni giovedì ore 7.30; la chiesa del Sacro Cuore a Prato (Via Benincasa), tutti i primi venerdì del mese ore 21.00; la Badia di Vaiano, da febbraio a giugno, un sabato al mese. Per il calendario dettagliato clicca qui.

 Ogni domenica e festa di precetto a Firenze, alle ore 11.00 e alle ore 19.00, nella chiesa dei Santi Michele e Gaetano, viene celebrata la Santa Messa in rito antico. Al sabato le celebrazioni sono alle ore 7.30 e 11.00 e nei giorni feriali alle ore 7.30 e 18.30.

– Ogni domenica e festa di precetto a Belluno, alle ore 8.00, nella chiesa di Santo Stefano, viene celebrata la Santa Messa in rito antico.

– In Alto Adige/Sud Tirolo viene celebrata la Santa Messa in rito antico: ogni prima Domenica al mese a Silandro in via Ospedale alle ore 18, ogni terza Domenica al mese a Bolzano in via Weggenstein alle ore 18, ogni quarta Domenica al mese a Bressanone nella chiesa Mariahilf/Zinggen alle ore 18, ogni 8 del mese nella chiesa parrocchiale a Cengles alle ore 17.

 Ogni domenica e festa di precetto a Bergamo, alle ore 9.00 e ogni venerdì alle ore 20,30, nella chiesa della Madonna della Neve, viene celebrata la Santa Messa in rito antico. Al termine della S. Messa del primo venerdì del mese, Adorazione Eucaristica e recita delle Litanie del Sacro Cuore di Gesù. Per essere aggiornati sulle celebrazioni in rito antico, cliccare su https://www.facebook.com/madonnadellanevebergamo/

–  Ogni domenica e festa di precetto a San Lorenzo, frazione di Pizzoli (AQ), alle ore 18.00, presso l’Abbazia di Sant’Equizio, viene celebrata la Santa Messa in rito antico.

– Ogni domenica e festa di precetto a Milano, nella chiesa di Santa Maria della Consolazione, in largo Cairoli, viene celebrata alle 10.00 la Santa Messa in Rito ambrosiano antico. Per informazioni:http://messatradizionalemilano.blogspot.it/ .

– Ogni domenica e festa di precetto, a Monza, viene celebrata la Santa Messa in rito antico alle 18.45, nella chiesa delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, via Italia 37. Per informazioni, cliccare “La Messa di sempre – Monza” . 

– Ogni primo venerdì del mese, al Priorato Madonna di Loreto, a Rimini-Spadarolo, alle ore 21, Adorazione Eucaristica notturna per riparare le offese e gli oltraggi al Sacro Cuore di Gesù.

– a Firenze, nell’Oratorio di S. Francesco Poverino, Santa Messa domenicale in rito antico alle ore 10 e tutti i venerdì, alle ore 18.30, Preghiera di Riparazione (S. Rosario, Litanie del Sacro Cuore, Atto di riparazione ed altre preci anche per impetrare l’aiuto divino alla Chiesa martire della ferocia islamica). Per informazioni: Dante Pastorelli, dante.pastorelli@virgilio.it, tel. 055.600804.

– Ogni venerdì un gruppo di fedeli si ritrova per la preghiera a Cremona. Per informazioni: Mauro Faverzani  – mauro.faverzani@gmail.com

– Ogni primo venerdì del mese viene celebrata la Santa Messa in rito antico alle 19.30 a Modena nella parrocchia dello Spirito Santo in via Fratelli Rosselli. Vi partecipano alcuni aderenti alla Lega di riparazione  secondo le intenzioni proposte dalla nostra iniziativa. Ricordiamo che nella medesima chiesa viene celebrata ogni domenica alle 17 la S. Messa (dal 2007) e, a richiesta, anche gli altri sacramenti.

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– Se altri sacerdoti fossero disposti a fare lo stesso nella zona in cui operano, ce lo facciano sapere e provvederemo a darne comunicazione.

– Ricordiamo che è possibile anche il semplice incontro tra laici che preghino secondo le intenzioni della Lega come già indicato. Anche in questo caso, sarebbe utile segnalarcelo in modo da poterne dare comunicazione. Rimane il fatto che lo strumento più efficace per la diffusione è il passaparola, che sarebbe meglio chiamare apostolato.

– Nei limiti delle nostre forze, siamo a disposizione per incontrare gli amici che intendono impegnarsi in questa impresa. Per questo, si faccia riferimento all’indirizzo di posta elettronica della Lega di riparazione, legariparazione@email.it , e troveremo il modo e il tempo per farlo.

Paolo Deotto – Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo

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LETTURA DI FORMAZIONE

L’AMICIZIA SPIRITUALE

(estratti)

di S. Aelredo di Rievaulx  (1109 o 1110 – 1167. Abate dell’Abbazia cistercense di Rievaulx)

per scaricare il testo in formato pdf, clicca qui

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I vari tipi di amicizia: carnale, mondana, spirituale.

 Giovanni: Però ci sono di quelli che, seguendo il mondo e avendo in comune certi vizi, si legano l’uno all’altro in un patto del genere, vivendo in un vincolo amicale. Vorresti spiegarmi quale, fra tante forme di amicizia, possa essere detta, a differenza delle altre, “spirituale”? Mi pare, infatti, che l’amicizia spirituale risulti in qualche modo oscurata dalle altre forme, che per giunta sembrano più attraenti. Mi aiuterai così a distinguerla da ciò che la accomuna alle altre, così risulterà più chiara, e quindi più desiderabile. Così tutti opereremo con più decisione per conquistarla e farla nostra.

 Aelredo: Non hanno il diritto di usare il nobilissimo nome dell’amicizia quelli che sono uniti dalla connivenza nel vizio: chi non ama, infatti, non è un amico, e non ama l’uomo colui che ama l’iniquità. Chi ama l’iniquità non ama, ma odia la sua anima, e chi non ama la sua anima tanto meno può amare quella di un altro. Questa gente si vanta di un’amicizia che è tale solo di nome: sono ingannati da qualcosa che ne è solo la scimmiottatura, non la possiedono nella realtà. Se poi, in un’amicizia del genere, cioè sporcata dall’avarizia o disonorata dalla lussuria, si può sperimentare il sentimento, pensa a quanta gioia in più si riversa su un’amicizia che quanto più è onesta tanto più è sicura, quanto più è pura tanto più è gioiosa, quanto più è libera tanto più è felice. Comunque, dal momento che a livello di sentimenti si avverte una certa somiglianza, lasciamo pure per un momento che in base a questo fatto vengano chiamate amicizie anche quelle che non sono vere, purché però esse vengano distinte con segni chiari e certi da quella che è spirituale, e dunque vera.

Diciamo che l’amicizia può essere: carnale, mondana, spirituale. Quella carnale nasce dalla sintonia nel vizio; quella mondana sorge per la speranza di un qualche guadagno: quella spirituale si consolida fra coloro che sono buoni, in base ad una somiglianza di vita, di abitudini, di gusti e aspirazioni.

L’amicizia carnale nasce dal solo sentimento, cioè da quel tipo di emotività che, come una prostituta, allarga le gambe davanti a tutti quelli che le passano accanto, seguendo il vagare di occhi e orecchi verso l’impurità. Da queste porte si intrufolano nella mente immagini voluttuose, e si pensa che la felicità stia nel goderne a piacere, e che il divertimento sia maggiore se si trova qualcuno con cui condividerlo. Si mettono allora in moto gesti, segni, parole e adulazioni con cui un animo cerca di accattivare l’altro. L’uno attizza il fuoco nell’altro fino a fondersi in una sola cosa. Una volta raggiunto uno squallido accordo, arrivano a fare o a subire l’uno per l’altro qualsiasi cosa e si convincono che non ci sia niente di più dolce e di più giusto di una simile amicizia: “volere le stesse cose, rifiutare le stesse cose”, ritenendo così di obbedire alle leggi dell’amicizia. Un’amicizia del genere non nasce da una scelta deliberata, non è messa alla prova dal giudizio, non è diretta dalla ragione, ma è spinta qua e là sotto l’urgenza disordinata del semplice sentimento. Una simile amicizia non osserva misura alcuna, non cerca cose oneste, non si sforza di prevedere ciò che è utile e ciò che non lo è, ma si butta su tutto in modo sconsiderato, imprudente, superficiale ed eccessivo. Così, come agitata dalle furie, si autodistrugge e, con quella stessa leggerezza con cui era nata, prima o poi si spegne.

L’amicizia mondana, invece, quella che nasce dal desiderio di cose o beni temporali, è sempre piena di frodi e inganni. In essa niente è certo, niente è costante, niente è sicuro, proprio perché tutto cambia col volgere della fortuna e… della borsa. Per questo sta scritto: “C’è infatti chi è amico quando gli fa comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura” (Sir 6,8). Se togli la speranza di guadagnare, subito sparirà anche l’amico. Questa amicizia è  stata ridicolizzata con versi eleganti: “Non della persona, ma della prosperità è amico colui che la dolce fortuna trattiene, ma quella amara mette in fuga”. Però, a volte, ciò che fa nascere questo tipo di amicizia viziosa conduce alcuni a un certo grado di amicizia vera: mi riferisco a quelli che all’inizio, in vista di un guadagno comune, contraggono un legame di fiducia reciproca che resta sì basato sul denaro iniquo, ma almeno nelle cose umane raggiungono una grande sintonia. Però questa amicizia non può in alcun modo essere ritenuta vera, dato che nasce e rimane fondata solo sulla base di un vantaggio temporale.

L’amicizia spirituale, infatti, quella che noi chiamiamo vera, è desiderata e cercata non perché si intuisce un qualche guadagno di ordine terreno, non per una causa che le rimanga esterna, ma perché ha valore in se stessa, è voluta dal sentimento del cuore umano, così che il “frutto” e il premio che ne derivano altro non sono che l’amicizia stessa. Proprio come dice il Signore nel Vangelo: “Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,16), cioè perché vi amiate a vicenda (cfr. Gv 15,17). È infatti nell’amicizia stessa, quella vera, che si progredisce camminando, e si coglie il frutto gustando la dolcezza della sua perfezione. L’amicizia spirituale nasce tra i buoni per una somiglianza di vita, di abitudini, di aspirazioni, ed è una sintonia nelle cose umane e divine, piena di benevolenza e di carità. Mi pare che questa definizione basti a esprimere l’idea di amicizia, purché intendiamo il termine “carità” in senso cristiano, cosicché si escluda dall’amicizia ogni vizio, e con “benevolenza” si intenda lo stesso sentimento d’amore che proviamo interiormente insieme a una certa dolcezza. Dove c’è un’amicizia di questo genere, vi è certamente “il volere e il rifiutare le stesse cose”; cioè un sentire che è tanto più dolce quanto più è sincero, tanto più bello quanto più è sacro, al punto che gli amici non possano neppure volere ciò che è male, o non volere ciò che è bene. Un’amicizia così è guidata dalla prudenza, è retta dalla giustizia, è custodita dalla fortezza, è moderata dalla temperanza. Di questo però parleremo più avanti. Adesso dimmi se ho risposto in modo adeguato alla tua prima domanda, cioè cos’è l’amicizia.

Giovanni: Quello che hai detto mi basta, e non mi sembra di avere altro da chiederti. Ma prima di passare ad un altro punto, desidero sapere come nasce l’amicizia tra di noi. Nasce dalla natura, o dal caso, o da una qualche necessità? È una legge insita al genere umano? È la stessa esistenza che ci spinge a ricercarla?

L’origine, lo sviluppo dell’amicizia e la legge

Aelredo: Mi sembra che il sentimento di amicizia sia stato anzitutto impresso nell’animo umano dalla stessa natura; l’esperienza poi lo ha sviluppato e, infine, l’autorità della legge ne ha stabilito le regole. Dio, infatti, che è infinitamente buono e potente, è un bene che basta a se stesso: è lui il proprio bene, la propria gioia, la propria gloria, la propria beatitudine. Non ha bisogno di nient’altro all’infuori di sé, né di un uomo, né di un angelo, né del cielo, né della terra, né di alcuna delle cose che vi si trovano. Davanti a lui ogni creatura riconosce: Sei tu il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei beni. Non solo Dio basta a se stesso, ma è anche ciò che costituisce la pienezza di tutti gli esseri: ad alcuni dà l’esistenza, ad altri la vita sensitiva, ad altri ancora l’intelligenza, ed è lui la causa di tutto ciò che esiste, la vita di tutto ciò che è sensibile, la sapienza di tutto ciò che è intelligente. Lui, che è il sommo bene, ha stabilito tutte le cose, le ha disposte con ordine e armonia, ciascuna al suo posto, e le ha distinte e distribuite ciascuna nel suo tempo definito. Ma volle pure, perché così stabilì la sua eterna sapienza, che tutte le sue creature si armonizzassero nella pace, si unissero in società, cosicché tutte traessero da lui, che è la perfetta unità, una qualche unità. Per questo motivo non ha lasciato nella solitudine nessuna specie creata, ma di ogni moltitudine ha saputo fare una sorta di corpo solidale.

Se vogliamo cominciare dalle cose insensibili, chiediamoci in quale terreno, o in quale fiume, si trovi un’unica pietra di un solo tipo, o quale foresta abbia un unico albero di una sola specie. Così, tra le stesse creature insensibili si nota una sorta di amore della compagnia, dato che nessuna di queste creature è sola, ma è creata e mantenuta in società con qualche altra della sua specie. E come descrivere in modo adeguato con quale bellezza risplende nelle creature sensibili l’immagine dell’amicizia, della compagnia e dell’amore? In molte cose le creature sensibili si rivelano irrazionali, ma sotto questo aspetto imitano a tal punto l’animo umano da sembrare spinte dalla ragione. Si inseguono, giocano tra di loro, esprimono e manifestano l’affetto che le lega con movimenti e suoni, godono della reciproca compagnia con tale avidità e tanta gioia da sembrare che non si curino d’altro che di vivere l’amicizia.

Anche riguardo alle creature spirituali, agli angeli, la divina sapienza ha agito in modo che non ne fosse creato uno solo, ma moltitudini. Tra loro la piacevole compagnia e l’amore perfetto creò una medesima volontà, un medesimo affetto, al punto che nessuno poté sentirsi superiore o inferiore all’altro, e la carità dell’amicizia tolse spazio all’invidia. Così la moltitudine eliminò la solitudine e la comunione della carità aumentò in tutti la gioia.

Infine, quando creò l’uomo, per raccomandare con maggior forza il bene della compagnia disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gen 2,18). E la divina bontà non formò questo aiuto con una materia simile o uguale, ma per esprimere in modo più chiaro la sua intenzione di favorire la carità e l’amicizia, creò la donna dalla stessa sostanza dell’uomo. È bello che il secondo essere umano venga tolto dal fianco del primo: così la natura vuole insegnarci che tutti gli esseri umani sono uguali, quasi collaterali, e che nelle cose umane non c’è né superiore né inferiore, il che costituisce l’essenza stessa dell’amicizia. Così, fin dal principio, la natura stessa ha impresso nello spirito umano il desiderio dell’amicizia e della carità, un desiderio che il sentimento interiore dell’amore presto intensificò dandogli un certo gusto di dolcezza.

Ma dopo la caduta del primo uomo, quando con il raffreddarsi della carità subentrò nel mondo l’avidità, che portò a preferire l’egoismo alla solidarietà, l’avarizia e l’invidia offuscarono lo splendore dell’amicizia e della carità, e introdussero nei costumi ormai corrotti dell’umanità contese, rivalità, odi e sospetti. Allora si cominciò a distinguere tra carità e amicizia, avvertendo che l’amore era dovuto anche ai nemici e ai perversi, ma essendo anche evidente che tra i buoni e i malvagi non poteva esserci alcuna comunione di volontà e di propositi. L’amicizia, che all’inizio era vissuta, come la carità, da tutti e con tutti, rimase confinata per legge naturale a pochi.

Questi, vedendo come molti violassero le leggi della lealtà e della solidarietà, si legarono tra di loro in un patto più stretto di amore e di amicizia così da trovare, in mezzo ai mali che vedevano e pativano, ristoro e quiete nella grazia dell’amore reciproco. Bisogna dire però che anche nelle persone in cui la vita disonesta aveva cancellato ogni senso di virtù, la ragione, che in essi non poteva spegnersi, lasciò in loro l’inclinazione verso l’amicizia e la compagnia, al punto che le ricchezze non potevano piacere all’avaro, o la gloria all’ambizioso, o il piacere al lussurioso, se non c’era qualcuno insieme al quale goderne. Anche tra le persone peggiori, infatti, si strinsero legami detestabili, che vennero nascosti sotto il nome dell’amicizia, ma che dovettero essere distinti da questa con giuste regole, per evitare che, ingannati da una qualche somiglianza, quelli che cercavano l’amicizia vera cadessero incautamente in quella sbagliata. Così l’amicizia, insita nella natura e rafforzata dall’esperienza, è stata alla fine regolata dall’autorità della legge.

L’amicizia e la sapienza

È chiaro quindi che l’amicizia è naturale come la virtù, come la sapienza, e come tutte quelle cose che, per la loro bontà naturale, sono da desiderare e da praticare per se stesse. Tutti quelli che le posseggono, poi, sanno farne un buon uso, e nessuno ne abusa.

Giovanni: Scusami, ma non sono tanti quelli che abusano della scienza o ne traggono motivo per vantarsi di fronte agli altri o si insuperbiscono o se ne servono in modo affaristico e venale, così come altri usano la loro apparente bontà per far soldi?

Aelredo: Qui potrà risponderti sant’Agostino, che ha scritto: “Chi piace a se stesso piace a uno stupido, perché è certamente uno stupido chi si compiace di sé”. Chi è stupido non è sapiente, e chi non è sapiente, non avendo la sapienza, non sa di niente. Come potrebbe dunque usare male la sapienza colui che sapiente non è? Allo stesso modo una castità piena di superbia non è una vera virtù, perché la superbia, che è un vizio, rende conforme a sé quella che era ritenuta una virtù, e perciò questa castità non è una virtù, ma un vizio abilmente camuffato.

Giovanni: Ti dirò con franchezza che non mi sembra logico che tu abbia collegato la sapienza con l’amicizia, dato che non è possibile fare alcun paragone tra le due.

Aelredo: Spesso le cose piccole e le grandi, le buone e le migliori, le deboli e le forti, anche se non coincidono, vengono accostate, soprattutto quando si tratta di virtù: se è vero che sussistono fra loro differenze di grado, ci sono però delle somiglianze che le avvicinano. Per esempio, la vedovanza è vicina alla verginità, la castità coniugale è vicina alla vedovanza, e anche se tra queste virtù c’è una grande diversità, tuttavia, proprio perché sono virtù, si può stabilire tra loro un qualche rapporto. La continenza coniugale non cessa di essere una virtù per il fatto che la castità vedovile sta su un gradino più alto, e anche se la verginità scelta per amore è ancora migliore, non per questo viene eliminata la bontà delle altre due.

Se fai bene attenzione a quanto ho detto dell’amicizia, troverai che essa è così vicina alla sapienza, e ne è così piena, che potrei affermare senza timore che l’amicizia altro non è che la sapienza.

Giovanni: Ti confesso che la cosa mi sorprende, e penso che non ti sarà facile convincermi di quanto hai detto.

Aelredo: Hai dimenticato quello che dice la Scrittura? “Un amico vuol bene sempre” (Pr 17,17). E ti ricordi quello che dice il nostro san Gerolamo: “Un’amicizia che può finire non è mai stata un’amicizia vera”? Che poi l’amicizia non possa sussistere senza la carità lo abbiamo dimostrato molto bene. Visto che l’amicizia è eterna, è fondata sulla verità e vi si gusta la dolcezza della carità, come pensi che sia possibile escludere da queste tre cose la sapienza?

Giovanni: Che discorso è questo? Allora posso dire dell’amicizia quello che l’apostolo Giovanni, l’amico di Gesù, dice della carità, che cioè “Dio è amicizia”?

Aelredo: Veramente non si dice così. Questa espressione non la si trova nella Scrittura. Però non esito ad applicare all’amicizia la frase dove l’apostolo Giovanni parla della carità: “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16). La cosa ti apparirà ancora più chiara quando cominceremo a parlare dei frutti dell’amicizia. Ora, se per quello che ha potuto fare la mia povera intelligenza, ho detto abbastanza su cosa sia l’amicizia, rimandiamo ad altro momento l’esame degli altri punti che mi hai chiesto di analizzare.

 Giovanni: A dire il vero, per il desiderio che ho di ascoltarti, questo rinvio mi fa davvero soffrire. Concludiamo, visto che è l’ora della cena. È poi non possiamo far attendere gli altri, visto che devi ancora incontrarli.

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