LETTERA AL PROF. ROBERTO DE MATTEI, sul libro “Apologia della Tradizione” – di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Caro Prof. De Mattei

ho letto il suo libro Apologia della Tradizione (Lindau, Torino 2011). Vi ho notato una giusta considerazione della Sacra Tradizione Apostolica, come compendio (traditum) della dottrina di Cristo affidata agli Apostoli ed ai loro Successori i Vescovi sotto la guida del Successore di Pietro e come trasmissione (traditio) fedele ed infallibile di tale dottrina, sotto lassistenza dello Spirito Santo, alle generazioni successive sino alla fine del mondo.

libro de matteiInfatti, come Lei sa, Cristo comandò agli apostoli di insegnare a tutto il mondo la dottrina del Vangelo, quellaParola che non passa”, assicurando loro che chi avrebbe ascoltato loro avrebbe ascoltato Lui, promettendo di esser con loro sino alla fine del mondo e che lo Spirito Santo nel corso della storia li avrebbe guidati alla piena conoscenza della verità divina ed immutabile contenuta nel dato da Lui rivelato, dato che gli evangelisti poi misero per iscritto (Scrittura), mentre continuò la predicazione orale (Tradizione) della dottrina evangelica.

Questo ufficio di insegnare la verità rivelata o verità di fede costituisce il Magistero della Chiesa, (laChiesa docente”), compito precipuo del collegio apostolico ed episcopale in unione con Pietro e sotto Pietro. Questo collegio ha avuto inoltre da Cristo il mandato di governare il gregge di Cristo sullesempio del buon Pastore e come guida pratica verso la salvezza (potere pastorale o giurisdizionale).

Il Concilio ha opportunamente distinto la funzione giurisdizionale (pastorale) da quella dottrinale, correggendo una precedente opinione diffusa tra i teologi, la quale riconduceva la seconda alla prima, col rischio di svalutare la funzione magisteriale, giacchè se il magistero pastorale può sbagliare, la funzione magisteriale, in quanto attinente in vari modi e gradi alla dottrina della fede, è infallibile. Per questo Lei avrebbe dovuto giudicare quellopinione teologica alla luce del Concilio e non viceversa.

Inoltre, perché un insegnamento dottrinale conciliare sia infallibile, come risulta dallAd tuendam fidem, non è necessario che esso sia dichiarato tale, ma è sufficiente che si tratti di fatto di materia di fede o come sviluppo della Tradizione o come esplicitazione di un dogma già definito o come dottrina connessa col dato di fede o dedotto da un dato di fede. Il che appunto è il caso delle dottrine del Concilio. Per questo non è giusto dire che esse non sanoinfallibili”. Se per infallibili si intende, come si deve intendere, “vere”, esse sono assolutamente infallibili.

Certamente il traditum, ciò che è trasmesso ed insegnato dal collegio episcopale nel corso della storia, in questo senso la Tradizioneè linsieme delle verità di fede, sintetizzato nel Simbolo della Fede ed oralmente insegnato dal medesimo collegio episcopale cum Petro e sub Petro.

Nel suo libro c’è una domanda centrale di estrema importanza: come facciamo a sapere quali sono le verità di fede o, come Lei si esprime: “qual è la regola della fede”? Chi ce lo dice? Da dove lo ricaviamo? Come possiamo esserne sicuri? E Lei risponde giustamente: la Tradizione.

Ma poi stranamente Lei fa una distinzione tra Tradizione e Magistero che indubbiamente ha una parte di verità, quando afferma con chiarezza che la Tradizione contiene la Verità rivelata e costituisce la regola della fede, una distinzione però che finisce per separare queste due cose presentando laTradizionecome una specie di astratto e trascendente ideale platonico da una parte, isolato dal Magistero vivente e dallaltra unMagisterorelativizzato, confinato nei limiti della storia, fallibile, discontinuo ed incoerente, tale da essere a volte infedele alla Tradizione e che quindi può esser corretto e messo in riga dallaTradizione”.

Ma chi poi, in base allaTradizioneavrebbe lautorità o la facoltà di correggere il Magistero? Qui Lei simmette in un sentiero molto pericoloso, certo contro le sue intenzioni, un sentiero che finisce per assomigliare molto alla via imboccata dai tradizionalisti del sec. XIX condannati dalla Chiesa (De Maistre e Lamennais), da Lutero e dai modernisti, con la differenza che mentre Lei si appella allaTradizioneisolandola dal Magistero, questi ultimi si appellavano similmente allaScritturaisolandola dal medesimo Magistero.

Chi resta per correggere i Vescovi che deviano dalla Tradizione? Il Popolo di Dio, supremo custode dellaTradizionee in special modo quei coraggiosi storici e teologi (vedi i lefevriani), che, in base allaTradizioneindividuano gli errori dei Vescovi, magari addirittura di un Concilio ecumenico, per cui facendosi custodi e vindici dellaTradizione”, sono in grado di correggere e di richiamare ad essa anche un Concilio, riportando la Chiesa sulla via della verità. Ma Le pare tutto ciò coerente con quanto detto allinizio sulla Tradizione e lufficio del Collegio Apostolico? Le pare questo discorso veramente cattolico?

Certamente il Magistero è distinto dalla Tradizione in rapporto al fatto che mentre il Magistero è lufficio dottrinale proprio del Collegio dei Vescovi col Papa e sotto il Papa, la Tradizione è linsieme delle verità rivelate (traditum) affidate da Cristo agli Apostoli. Ma se consideriamo la Tradizione come tradere, trasmettere, insegnare oralmente (predicazione) o per iscritto (Scrittura, Nuovo Testamento, Concili, Pontefici sino al Concilio Vaticano II e ai documenti del postconcilio), dove sta la differenza? Il tradere non è forse un insegnare e un predicare?

In questo senso ha ragione il Concilio ad affermare che sostanzialmente Magistero e Tradizione sono la stessa cosa, indubbiamente al rapporto alla funzione del traderedocerepraedicare, anche se, come ripeto, dal punto di vista dei contenuti di fede, indubbiamente la Tradizione Apostolica è la regola della Tradizione Ecclesiale, che costituisce il Magistero.

Noi Domenicani abbiamo come motto contemplata aliis tradere. Per cui, anche noi nel momento in cui predichiamo il Vangelo, siamo testimoni della Tradizione, benchè ovviamente dobbiamo farlo in comunione col Magistero vivente, ossia col Magistero di oggi. Infatti lo Spirto Santo assiste forse anche questo Magistero. E forse che questo Magistero potrà trovarsi in contraddizione con quello di ieri? Ma allora dove andrebbe a finire la promessa di Cristo? E perché il Papa ha parlato dicontinuità”, seppure nel progresso e nella riforma? Perchè nel suo libro Lei non spiega in che consiste questa continuità, invece di accusare le dottrina del Concilio di essere sbagliate (“non è infallibile”)?

Se come Lei stesso riconosce, oggi la Chiesa conosce meglio il deposito rivelato che non in passato, questo allora non vuol dire che le dottrina del Vaticano II sono più progredite e più avanzate di quelle del Concilio di Trento o di Calcedonia, pur conservando esse la loro verità?

E allora questo non vuol dire forse che il Vaticano II ha sviluppato la Tradizione e che quindi è possibile giudicare non solo il Concilio alla luce della Tradizione espressa, che so, nel Vaticano I, ma è anche possibile e doveroso fare loperazione inversa, ossia valutare il Vaticano I alla luce del Vaticano II? Infatti, mentre la Tradizione del passato è una Tradizione fondante, quella del presente è una Tradizione sviluppata. Occorre usare entrambi i criteri per evitare da una parte il lefevrismo e dallaltra il modernismo.

Invece di contestare il valore della dottrina del Concilio, chiediamo semmai al Santo Padre che ci chiarisca quei punti dove effettivamente sembra valere linterpretazione modernista. Infine mi permetto di segnalarLe il mio libro Progresso nella continuità (Ed. Fede&Cultura, Verona 2011), dove appunto cerco di spiegare la continuità con la Tradizione e confuto linterpretazione modernistica, pur mostrando che tipo di progresso è avvenuto dal Magistero preconciliare a quello postconciliare. Dobbiamo essere moderni, anche se non modernisti.

Ma la cosa è possibile e doverosa. Cerchiamo di capire che cosa veramente ha inteso dire il Vaticano II, anche se ci è concesso di avanzare critiche sulla parte pastorale, ma quella dottrinale non possiamo dobbiamo criticarla per non metter in dubbio la fedeltà del Magistero al mandato di Cristo ed alla Sacra Tradizione.

Con viva cordialità

P.Giovanni Cavalcoli,OP


Bologna, 7 dicembre 2011

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