LETTERA ALLA FRATERNITA’ SAN PIO X – di P. Giovanni Cavalcoli, OP

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 


Cari Fratelli della Comunità S.Pio X,

Premetto che il titolo della vostra Fraternità – S.Pio X – mi incute profondo rispetto per questo grande Papa, nel quale vedo, sia pure in diverso contesto storico, un modello attualissimo anche per i Pontefici del nostro tempo.

In secondo luogo mi ha colpito la serietà dell’impegno che vi siete assunti nel vostro indirizzo nei miei confronti, elaborato con quello stile di controversia dignitosa ed argomentata, che si ritrova nella tradizione degli antichi Padri del mio Ordine e che io mi son sempre proposto a modello della discussione teologica, uno stile purtroppo spesso perduto nei dibattiti del nostro tempo, che tendono o a banalizzarsi sul piano degli argomenti ad hominem, o sono vittime della sofistica, per non parlare di quando si scade sul piano dell’insulto, della truffa o del sarcasmo.

Ho letto sul vostro sito la vostra risposta (Cfr. http://www.sanpiox.it/public/) al mio articolo recentemente apparso su Riscossa Cristiana, nel quale formulo delle obiezioni al vostro modo di atteggiarvi nei confronti delle dottrine del Concilio Vaticano II, da voi giudicate non infallibili e quindi errate o quanto meno facoltative. Approfitto ancora una volta di Riscossa Cristiana, che gentilmente e generosamente ospita anche questo nostro dibattito, per replicare alle vostre posizioni.concilio

Dico subito che non concordo su molti punti del vostro scritto, ma ciò non toglie la mia ammirazione per il tono dello scritto stesso. E forse questa è la cosa più importante, perché quando manca la carità a nulla serve la verità.

Rispondo, come si suole in questi casi, per partes. Comincio con la critica che voi fate al fatto che ho paragonato il vostro modo di usare la Tradizione nei confronti delle dottrine conciliari, al modo col quale i protestanti respingono il Magistero della Chiesa. Voi dite che il paragone non regge, perché voi, a differenza dei protestanti, accettate il Magistero della Chiesa, mentre essi lo respingono in blocco.

E’ vero, lo riconosco, sono stato esagerato, tanto più che so con quanto zelo voi respingete gli errori dei protestanti che purtroppo oggi rivivono nel modernismo postconciliare. Tuttavia, consentitemi di insistere su questo punto: voi accettate questo Magistero solo fino al Concilio escluso, perché ritenete che il Magistero del Concilio e del postconcilio non sia infallibile ed abbia insegnato delle falsità che rinnegano la Tradizione.

E fate questo non accogliendo docilmente e fiduciosamente quello sviluppo della Tradizione che è insegnato dal Concilio in continuità con la precedente fase della Tradizione, come sua esplicitazione e spiegazione, ma permettendovi di considerare la Tradizione direttamente, per conto vostro, senza usare la mediazione di essa che vi dona il Magistero del Vaticano II.

Non è questo lo stesso metodo che i protestanti usano per respingere il Magistero, con la sola differenza che mentre essi pretendono di basarsi sulla Bibbia, voi pretendete di basarvi sulla Tradizione? Convengo tuttavia che voi siete molto più vicini a Roma di loro, perché voi almeno accogliete la Tradizione e tutto il Magistero infallibile sino al Concilio, mentre loro respingono tutto questo.

Vi manca solo l’accettazione dello sviluppo della Tradizione operato dal Concilio, ossia quelle “dottrine del Concilio”, che il Santo Padre vi invita ad abbracciare per essere in piena comunione con la Chiesa Cattolica.

Quanto al nostro dovere di cattolici di stare al Magistero attuale della Chiesa pur conservando – “custodisci il deposito” – e venerando quello del passato, che comunque resta vero ed immutabile, non ci siamo intesi. Voi fate una questione di tempo, come se io usassi come criterio di verità il semplice tempo presente nel quale oggi il Magistero ci parla con la sua viva voce (Tradizione orale).

Ma io non faccio questione di tempo ma di verità, nel senso che il modo col quale oggi, grazie agli insegnamenti del Concilio, conosciamo la Parola di Dio, la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione, è migliore e più vero di quello del preconcilio. Conosciamo meglio e più a fondo la stessa immutabile verità di fede consegnata una volta per sempre da Cristo alla sua Chiesa. Esiste una crescita nella verità, verso la pienezza della verità, una conoscenza sempre migliore della stessa, identica ed immutabile verità.

Insegnamento attuale non vuol dire semplicemente un insegnamento pronunciato adesso, ma vuol dire esplicitazione o migliore conoscenza di un insegnamento passato, il quale conteneva implicite virtualiter ciò che adesso è stato esplicitato.

La categoria dell’attualità che ho usato non fa tanto riferimento al tempo, all’oggi, ma ad un atto conoscitivo o a un fatto epistemologico: si tratta di una conoscenza migliore di quella passata aventi entrambe per oggetto la medesima verità di fede eodem sensu eademque sententia.

Chi in questo senso resta fermo ed irrigidito nel passato e si rifiuta di progredire (ecco il sano progressimo), resiste allo Spirito Santo, che conduce alla pienezza della verità, e siccome per ipotesi si tratta di un progresso in materia di fede, ne viene la conseguenza che chi non vuol riconoscere questa nuova conoscenza, cade nell’eresia, se l’eresia è rifiuto di una verità di fede. Coloro per esempio che non hanno accettato il dogma calcedonese ma sono rimasti fermi a Nicea, hanno rifiutato la professione di fede di Calcedonia e con ciò stesso sono caduti nell’eresia. Piena ortodossia non è dunque una qualunque accettazione di una verità di fede, ma l’accettazione di questa verità nel grado di esplicitazione che è attuato dalla Chiesa del nostro tempo.

Non bisogna confondere la saldezza nella fede, la conservazione del deposito o la fedeltà al dato rivelato – doveri sacrosanti – con la rigidezza di chi non vuol avanzare, col rifiuto di camminare e di aprirsi a quanto la Chiesa ci fa conoscere di nuovo rispetto a quanto sapevamo prima, perché questo nuovo non è rottura con l’antico, ma è con esso in continuità, non è negazione o smentita, ma migliore comprensione di quanto già sapevamo, in se stesso immutabile perchè è Parola di Dio.

Voi mi direte: questa tesi della continuità è una semplice affermazione. Ma come la dimostri? Noi abbiamo la netta impressione del contrario. Ebbene, cari Fratelli, mi sto preparando, insieme con amici teologi, a scrivere un libro, se Dio me lo permetterà, nel quale voglio appunto dimostrare questa continuità relativamente ad alcuni punti importanti dibattuti ormai da cinquant’anni. Come cattolici dobbiamo credere ai Papi del postconcilio che ci ricordano questa continuità. Come teologi la dobbiamo dimostrare ai dubbiosi o a coloro ai quali sembra il contrario.

D’altra parte riconosco che in tanta quantità di documenti emanati dal Concilio e con un linguaggio non sempre preciso ed univoco, privo di canoni come sono sempre stati usati nei precedenti Concili, non è facile orientarsi per discernere dov’è che il Concilio tratta di quelle materie di fede o prossime alla fede circa le quali il Concilio non può errare né insegnarci il falso. Personalmente ritengo che siano poche le proposizioni presentanti un carattere di novità e da credersi per fede.

Il Papa vi ha invitati ad accogliere le “dottrine del Concilio”. Vi faccio una proposta: attraverso i vostri rappresentanti che stanno trattando con la S.Sede perché possiate essere riammessi, come certo desiderate e come il Papa desidera, alla piena comunione con Roma, chiedete al Santo Padre: Santità, Lei ci invita ad accogliere le dottrine del Concilio. Bene, siamo disposti. Ma ci dica quali.

Considerando d’altra parte che nel Concilio ci sono dottrine dogmatiche e dottrine pastorali, è  chiaro a tutti che non tutte le dottrine del Concilio sono infallibili o di fede, ma non ci è impedito ritenere che certi provvedimenti o indicazioni pastorali siano sbagliati. Ed a ciò è da addebitarsi una delle cause della crisi attuale, non alle dottrine dogmatiche del Concilio, che sono salutari ed hanno fatto avanzare la conoscenza del dato rivelato della Scrittura e della Tradizione.

Quanto alla questione dell’infallibilità del Magistero della Chiesa e quindi del Concilio, voi citate quella forma di infallibilità che corrisponde al dogma solennemente definito. Ora è vero che nel Concilio non esistono proposizioni di questo genere; tuttavia ve ne sono, che toccano materia di fede o prossima alla fede, le quali sono anch’esse infallibili, benchè non siano dogmi definiti.

Per questo la vostra tesi, secondo cui “non tutte le proposizioni (anche a contenuto dogmatico) contenute negli atti di un Concilio Ecumenico godono dell’infallibilità, ma solo quelle per le quali risulti chiara e indubitabile la volontà di definire e obbligare la Chiesa Universale in materia di fede e costumi”,  non corrisponde a verità. In realtà, come è insegnato nell’Istruzione Ad Tuendam Fidem (http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/motu_proprio/documents/hf_jp-ii_motu-proprio_30061998_ad-tuendam-fidem_it.html) che vi ho già citato, possono esistere dottrine in materia di fede o prossima alla fede che godono della qualifica dell’infallibilità, benchè non si tratti di dogmi definiti.

Infatti il suddetto documento aggiunge, nel can.750 del nuovo Codice di Diritto Canonico, al primo comma che tratta delle dottrine solennemente definite, un secondo comma che tratta ancora di verità di fede, ma senza intenzione di definire, e tuttavia, trattandosi di materia di fede, si parla ancora di dottrina “infallibili”.

Ebbene è questo genere di dottrine che è presente nel Concilio e non semplicemente come ripetizione di dottrina già insegnate, ma come insegnamenti nuovi nel senso di esplicitazione di dottrine già definite.

Per esempio, la famosa tesi che “la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica”, come ha già spiegato un recente documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, è un insegnamento nuovo, ma che non è da considerarsi falso o in contrasto con l’insegnamento tradizionale, per il quale la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica.

Il Concilio si pone dal punto di vista dell’esistenza concreta della Chiesa e considera come elementi di Chiesa si trovino anche al di fuori dei suoi confini vivibili, cosa che non smentisce ma conferma il primato del cattolicesimo su tutte le altre religioni; mentre la definizione precedente considera l’essenza sovratemporale della Chiesa nella sua divina perfezione, a prescindere da altre formazioni religiose che in forme inferiori partecipano in qualche modo per somiglianza di quella divina perfezione.

Ed è possibile dimostrare la verità di questo assunto. Del resto, trattandosi qui di verità di fede tradizionale, è impensabile che un Concilio ecumenico, pronunciandosi su questa materia seppur in forma nuova, possa insegnarci il falso, portarci fuori strada o comunque insegnare qualcosa di non coerente con quanto ha insegnato in precedenza, perché vorrebbe dire che la Chiesa tradisce la sua missione e quindi quando Cristo le ha promesso di assisterla sino alla fine del mondo, la ha ingannata, cosa evidentemente assurda e blasfema per un cattolico al solo immaginarla.

Dice infatti l’Ad Tuendam Fidem a proposito dei due commi del can.750: “Il magistero della Chiesa insegna una dottrina da credere come divinamente rivelata (1° comma) o da ritenere in maniera definitiva (2°comma), con un atto definitorio oppure non definitorio. … Nel caso di un atto non definitorio viene insegnata infallibilmente una dottrina del magistero ordinario ed universale” (gli insegnamenti del Concilio). … “Tale dottrina può essere confermata o riaffermata dal Romano Pontefice, anche senza ricorrere ad una definizione solenne. … Di conseguenza, quando su una dottrina non esiste un giudizio nella forma solenne di una definizione, ma questa dottrina, appartenente al patrimonio del depositum fidei, è insegnata dal magistero ordinario ed universale” (come avviene oggi per gli insegnamenti del Concilio) … “essa allora è da intendersi come proposta infallibilmente”, n.9.

Non è vero che il Concilio non impone dottrine e non condanna errori; solo che fa ciò con un linguaggio semplicemente dichiarativo o espositivo, nella forma descritta dal secondo comma e non dal primo, per cui, in base al dettato del secondo comma, quegli insegnamenti del Concilio continuano a possedere la nota dell’infallibilità.

Voi ponete giustamente i requisiti per l’infallibilità delle definizioni solenni, ma trascurate o ignorate che tutti quei requisiti, come risulta dall’Ad Tuendam Fidem, non sono necessari per l’infallibilità delle dottrine dogmatiche di secondo grado o non definite, che comunque il documento chiama “definitive”, ma, per l’infallibilità di questo livello inferiore, è sufficiente che si tratti del Magistero della Chiesa, Pontificio o conciliare, che insegna o sviluppa temi contenuti nel deposito rivelato, si tratti di Scrittura o si tratti di Tradizione, si tratti o non si tratti di dogmi già definiti.

Voi invece fate un salto indebito: dal fatto che il Concilio non definisce nuovi dogmi (e ciò è vero), voi concludete che le nuove dottrine dogmatiche del Concilio non sono infallibili e quindi sono false per il solo fatto che non godono di quel tipo di infallibilità che è proprio delle dottrine definite o dogmi dichiarati come tali.

Invece perché ci sia dottrina infallibile, sempre da come risulta dall’Ad Tuendam Fidem, non è necessario che un Magistero conciliare abbia o manifesti esplicitamente l’intenzione di definire, ma è sufficiente che definisca di fatto anche senza dichiaralo formalmente: ciò che conta è che tratti materia di fede, ossia insegni verità di fede le quali chiariscono o esplicitano dogmi già definiti o testi della Scrittura o dati della Tradizione. Ed è esattamente quello che ha fatto il Concilio.

Per questo voi fate un salto assolutamente illegittimo allorchè, restringendo il concetto di infallibilità alle sole definizioni esplicite solenni, che avvengono rarissimamente, voi asserite che “gli insegnamenti del Papa e dei vescovi in materia di fede non sono sempre infallibili” e che “in linea di principio, seppure eccezionalmente e in epoche di crisi gravissima, non è impossibile che cadano in errore persino in materia di fede”.

E dite inoltre che “nessun insegnamento del Concilio Vaticano II può essere definito “infallibile” (“in sensu diviso”): né a titolo di una definizione solenne e straordinaria (mancando l’intenzione espressa), né a titolo del Magistero Universale Ordinario (perché nel caso di un Concilio la Chiesa docente non è “dispersa” in tutto il mondo, caratteristica specifica del MOU, e sopratutto le novità professate nel Concilio mancano dell’universalità verticale cioè temporale necessaria a un vero Magistero ordinario che non è altro che un’eco della Tradizione), e neanche nei punti in cui riprende gli insegnamenti degli altri Concili o della Tradizione (in questo caso gli insegnamenti sono “assolutamente e definitivamente veri”, ma non “infallibili” se non “in sensu composito”)”, e quindi che è possibile che “vi siano degli errori del genere nei testi del Concilio e nel “Magistero” successivo visto che non è stato esercitato il privilegio d’infallibilità non essendo presenti tutte le condizioni richieste”.

Noto che, sempre da quanto risulta dall’Ad Tuendam Fidem, il Magistero di secondo grado non è sic et simpliciter soltanto quello dei vescovi sparsi nel mondo, ma può essere anche quello dei vescovi in quanto, dopo un Concilio, benchè sparsi nel mondo, insegnano quello che il Concilio in forma straordinaria, ma non necessariamente con volontà di definire, ha insegnato in materia di fede, aggiungendo nuove visioni a quanto già si sapeva.

Dico allora che non vi accorgete che con la vostra interpretazione dell’infallibilità vi precludete l’acquisizione di un immenso patrimonio di dottrina sicura e di fede, che non si trova solo nel Vaticano II, ma in tutta la storia della Tradizione e di nuovo, forse senza accorgervene, tornate ad avvicinarvi ai protestanti, con la sola differenza che mentre essi dichiarano fallibile qualunque proposizione del Magistero, voi ritenete infallibili solo i dogmi definiti e non anche – come invece la Chiesa vi chiede di fare – le proposizioni semplicemente dichiarative prive dell’esplicita volontà definitoria.

Per sapere cosa è di fede e cosa non è di fede, non è necessaria la forma o il modo più o meno solenni o le dichiarazioni esplicite da parte della Chiesa, ma basta verificare che sia la Chiesa a parlare e che ci parli di ciò che Cristo ci insegna o di ciò che essa ha dedotto dogmaticamente dagli insegnamenti di Cristo valendosi della Scrittura e della Tradizione. Le definizioni solenni e straordinarie sono fatte per i duri d’orecchi o per contrastare l’opposizione degli eretici o per chiarire precedenti insegnamenti.

Non cambia il contenuto o la certezza di fede rispetto alle semplici dichiarazioni, ma semplicemente il modo di insegnarlo. Che la Madonna fosse Immacolata la Chiesa lo sapeva già da prima, solo che con la definizione dogmatica ha voluto proclamarlo col massimo della solennità e della pubblicità.

Ma per i discepoli del Signore, fiduciosi nella saggezza e nell’autorevolezza della Santa Madre Chiesa, non c’è bisogno che essa, quando espone la dottrina cattolica, alzi la voce, suoni la tromba o rafforzi il suo dire con speciale enfasi, ma basta che essa parli. Intelligenti pauca. L’importante è avere orecchi. Chi esige troppe condizioni per l’infallibilità mostra una diffidenza che non si addice alla santa semplicità del vero credente, una volta che egli ha compreso che si tratta di materia di fede o di Parola di Dio.

E per dirimere l’apparente contraddizione tra il prima e il poi, non deve fidarsi presuntuosamente del proprio giudizio, ma chiedere umilmente e fiduciosamente alla Madre che gli spieghi, al di là dell’apparente contraddizione,  la continuità ed ai teologi che la dimostrino, per cui questi non devono oscurare ciò che è già oscuro o, peggio, essere  a loro volta diffidenti. I teologi non devono creare o aggravare i dubbi, ma risolverli, altrimenti mettono in pericolo la fede del popolo di Dio e spingono alla disobbedienza al Magistero.

Il nuovo del Concilio non vi deve turbare o scandalizzare. La vostra Madre non vi ha tradito, ma, come fanno le mamme con i figlioletti che a volte si impuntano e non voglio camminare o per sfiducia nella mamma o per paura del nuovo, la vostra Madre nel Concilio vi chiede di procedere e, come dice il Signore, a guardare che “già le messi biondeggiano” (Gv 4,35).

Chi vi inganna e crea confusione e divisioni non è la Madre Santa, “colonna e fondamento della verità”, semper idem, come diceva il grande ed incompreso Card.Alfredo Ottaviani, ma sono certi figli degeneri, traditori, mestatori, ambiziosi, falsificatori e non interpreti del Concilio, ispirati dal diavolo, – quanto se ne rendono conto? – il cui nome è: modernisti. Chiamiamoli col loro nome.

Dirli “progressisti” è un favore che a loro facciamo, è uno scudo che a loro fa comodo e dietro al quale scorrettamente si riparano da quarant’anni, approfittando di un appellativo in sé lecito ed onesto. Dopotutto progredire è un dovere per tutti. E’ ora invece che gettino la maschera e che li manifestiamo per quello che sono. Preghiamo per la loro conversione e, come dice l’Apostolo, “chi crede di stare in piedi, stia attento a non cadere” (I Cor 10,12).

Con rispetto e cordialità fraterna

 

Padre Giovanni Cavalcoli,OP

 

Bologna, 9 aprile 2011

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