Lezioni sulla vita spirituale – di Don Marino Neri – Settima lezione

Lezioni sulla vita spirituale – Settima lezione

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zzzzCristoMaestro«Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi» (Act 2, 4). Gli Atti ci mostrano chiaramente che gli Apostoli furono illuminati e fortificati dalla grazia soprannaturale dello Spirito Santo, e a loro volta la loro opera santificante chiamò alla Fede i primi cristiani. Questo fu uno slancio di profondo fervore missionario che caratterizzò la Chiesa nascente.

Immediatamente gli Apostoli, pavidi e titubanti, furono illuminati interiormente dallo Spirito circa il grande mistero della Redenzione che si era compiuto in Cristo Signore. Essi ricevettero la “pienezza della contemplazione”, che, a loro volta, avrebbero dovuto predicare agli uomini come sola ancora di salvezza. È quello che san Tommaso dice, quando afferma che «dalla pienezza della contemplazione deriva la predicazione della dottrina»: ex plenitudine contemplationis derivatur doctrina et praedicatio (S. Th. II-II q. 88 a. 6). Il fuoco della divina Carità infiammò le menti e i cuori degli Apostoli e li “inviò” agli uomini come testimoni del Redentore. Dopo il grande discorso di Pietro – lo abbiamo meditato nel capitolo precedente – molti Giudei gli domandarono: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro» (Act 2, 37-39).

Nei giorni seguenti, ecco un altro discorso estremamente denso pronunciato da Pietro, dopo la celebre guarigione dello storpio al tempio di Salomone: «Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest’uomo? Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l’autore della vita. Ma Dio l’ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni» (Act 2, 12-15), e ancora, davanti al sinedrio: «la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (Act 4, 10-12).

Quello che più deve stupirci e interrogarci, dopo l’effusione dello Spirito a Pentecoste, non è tanto il carisma del parlare le lingue (glossolalia) o di operare guarigioni, bensì proprio questo rinnovamento interiore che porta gli Apostoli nella profondità del mistero della Redenzione, operato col caro prezzo del Sangue di Cristo. Questo è il mistero, ce lo ricordiamo bene, che Pietro, per timore dei Giudei, non riuscì a sostenere e che rifiutò con un triplice “no”, salvo poi convertirsi nuovamente. Ora afferma senza timore che solo in Gesù Cristo vi è salvezza, e in nessun altro. Ora Pietro ha consapevolezza piena dell’economia divina della salvezza, e non può che annunciarlo con franchezza, affinché anche altri possano entrare in questo disegno di Amore per l’umanità: Amore che esige, però, per evidenti ragioni di giustizia, la morte al peccato, la sua riparazione e la conseguente vita da liberi figli di Dio, nella Grazia. Questa è la santa “parresìa” (libertà di espressione) che deve caratterizzare anche i cristiani del nostro secolo! Ma a fronte della consapevolezza della Redenzione, è necessaria la fortezza per annunciare, senza rispetto umano o timore di convenienza. È quanto gli Apostoli ricevettero il giorno di Pentecoste, unitamente all’illuminazione: lo spirito di Fortezza. Gesù lo aveva promesso loro: Sarete rivestiti della forza dello Spirito Santo (Act 1, 6). Nulla farà più indietreggiare gli Apostoli dalla professione pubblica e integrale della vera Fede, né il giudizio del sinedrio (Act 4, 12) né le persecuzioni e le percosse (Act 5, 41-42) né la morte stessa.

Chi aveva donato loro una tale forza? Senza dubbio dobbiamo rispondere: lo Spirito Santo, informando perfettamente della Carità la Fede e la Speranza degli Apostoli. La terza conversione – poiché di questo stiamo parlando – opera nel discepolo di ogni tempo questa trasformazione: da una Fede timida e “privata” a una Fede ardente e testimoniante fino al martirio. E, da ultimo, questa attestazione pubblica della Fede degli Apostoli produce anche un effetto santificante sugli astanti, per lo slancio di autentica Carità che la informava. Non solo: la predicazione seguiva a una vita cristiana fatta di preghiera, Eucarestia, opere di misericordia. La parola altro non faceva che dare ragione della loro Fede che era mirabilmente affermata dalla loro vita. L’unità di volere e di azione che contraddistingueva la Chiesa apostolica era per tutti una sorta di “Vangelo vivente” che rappresentava, sotto gli occhi di tutti, quanto gli stessi Apostoli andavano annunciando a parole: solo in Gesù Cristo c’è pienezza di vita, nel presente e nell’eternità. Così anche noi, se realmente aneliamo alla terza conversione – potenza di Spirito Santo nella nostra anima, potenza di vera Carità nel mondo – dobbiamo essere fermamente persuasi che solo in Cristo vi è salvezza: e in Cristo conosciuto, amato e servito all’interno della Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica, romana.

A noi oggi è chiesto, come già ai discepoli e agli Apostoli allora, di vivere come membri di un solo Corpo Mistico, la Chiesa, di cui Nostro Signore Gesù Cristo è il Capo. Lungi dal lasciarci prendere da scoraggiamento ovvero da contese, dobbiamo gareggiare nel bene, nella pratica di ogni virtù, sapendo che di questo il mondo ha bisogno: di cristiani che amino Dio di Amore filiale e lo servano in parole e opere con slancio missionario. I prodigi dello Spirito Santo sono per la Chiesa di ogni tempo, non solo per quella apostolica, non dimentichiamolo. Ogni comunità cristiana, piccola o grande che sia, deve costantemente conformarsi all’esempio datoci dagli Apostoli: essere “un cuor solo e un’anima sola”; estendere il regno sociale di Cristo nel mondo, nonostante le difficoltà e i sacrifici; credere fermamente all’indefettibilità della Chiesa, che sempre è santa e può produrre santità; sopportare e offrire con pazienza le prove e le sofferenze che il Buon Dio permette. Se noi guarderemo di più ai “grandi monumenti di santità” che la Chiesa ha realizzato negli uomini di ogni epoca, non ci scoraggeremo di fronte alle imperfezioni umane che riscontriamo in tanti suoi figli, ma ci adopereremo di vincerle (prima di tutto in noi!) con la preghiera, la Carità operosa, il dono di sé. «Giustamente ci affliggiamo per certe macchie [dei figli della Chiesa], ma non dimentichiamo che, se talvolta c’è del fango ai piedi delle montagne, sulle vette c’è sempre una neve di candore abbagliante, un’aria purissima, e una vista meravigliosa che eleva costantemente verso Dio» (R. Garrigou-Lagrange).

Dunque: sursum corda!

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(continua)

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