I cinesi tengono al guinzaglio gli Usa: hanno smesso di comprare buoni del tesoro biennali
Prima l’Afghanistan, ora la Libia: ridicole le capacità militari
di Piero Laporta – da Italia Oggi-Gruppo Class
l’ultimo articolo di Piero Laporta sulla Libia è: “Libia. Devastanti i bombardamenti”. Nell’articolo troverete anche i link per leggere le pubblicazioni precedenti, che hanno trattato a fondo l’argomento della guerra in Libia
Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia attuano verso la Cina la medesima strategia che le prime due elevarono contro il Giappone dagli inizi del secolo scorso, precludendo a Tokio l’accesso ai circuiti finanziari internazionali (allora solo a Londra e New York) e ostacolando il rifornimento energetico e l’importazione delle materie prime.
In realtà il tentativo in corso contro Pechino è molto più tortuoso ed ha il fiato già corto, al contrario dell’efficacia che mostrò quello del secolo scorso contro Tokio.
La Libia e Gheddafi resistono, a dispetto d’una pianificazione operativa della Triplice preparata ben prima della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza. La messinscena delle rivolte contro i governi fantoccio che gli stessi statunitensi avevano tenuto a battessimo al Cairo come a Tunisi, appare in tutta la sua inutilità.
Gli effetti concreti della cosiddetta «primavera mussulmana» sono maleodoranti e malauguranti. Soldati egiziani sotto mentite spoglie combattono in Cirenaica contro le forze lealiste. I Fratelli mussulmani sono stati sdoganati dal premio nobel per la pace, Hussein Barak Obama. I Palestinesi sono in balia di Al Qaida e Hamas. A Tunisi il futuro è sempre più incerto. La Siria, che non sparava un colpo dalla guerra dello Yom Kippur rischia di incendiarsi. Quello che rimane consiste in tre certezze. La prima è che la chiave della destabilizzazione e della violenza nel Maghreb e nel Vicino oriente non è in mano a Israele, come si è sempre sostenuto, ma è a Londra, Washington e Parigi. La seconda certezza è che i mussulmani uccidono altri mussulmani su ordine delle potenze colonialiste, così come accadeva fino al secolo scorso. La terza certezza è più preoccupante ancora: le capacità militari della Nato sono ridicole.
In una guerra asimmetrica se il «debole» resiste al «forte», questi ha perso anche se infine vince. La Nato ha perso in Afghanistan (e si poteva capire) ma ha perso, comunque vada, anche in Libia e qui cominciano i guai veri.
Il premio Nobel per la pace Hussein Barak Obama in Libia ha toccato gli interessi cinesi. La Cina allo scoppio delle ostilità aveva 50 grandi progetti in Libia. La guerra ha fermato questi progetti, costretto a evacuare 30.000 tecnici cinesi e imposto perdite economiche incalcolabili alle aziende di Pechino in Cirenaica.
Al contrario del Giappone, che si fece trascinare a Pearl Harbor, la reazione della Cina è gelida e terribile. Nonostante sia padrona di una massa incalcolabile di dollari, la svalutazione del green non manda Pechino nel panico.
Per la prima volta nella storia, l’entrata in guerra degli Usa marca la caduta anziché la rivalutazione del dollaro. Vuoi la guerra? Sembra dire Pechino, alquanto beffarda, io no; intanto guardati il debito pubblico oppure strangolati e vai al disastro stampando carta che nessuno vorrà e muovendo guerra a quanti rifiuteranno i dollari, cioè il resto del mondo.
I cinesi hanno smesso di comprare buoni del tesoro Usa biennali e stanno comprando solo quelli trimestrali: cappio al collo e corda tirata.
Il premio Nobel per la pace Hussein Barak Obama sta portando gli Stati Uniti verso Pearl Harbor, se ne stanno accorgendo anche gli osservatori statunitensi, ma vi arriverà solo se Pechino concederà un prestito di guerra. Usciamo dalla Nato prima che sia troppo tardi.