L’invenzione del vero, romanzi antichi e nuovi – Inkiostri: “I sentieri del Nizhar

Se nel campo della saggistica non mancano certo gli esempi di volumi scritti a quattro mani, è abbastanza raro trovare opere narrative frutto di una collaborazione. Certo, quando succede possono essere anche coppie di grande successo, come Fruttero&Lucentini o Ellery Queen (curiosamente due coppie di Giallisti), ma il romanzo, o il racconto, sembrano essere qualcosa di più intimo di un saggio, ed è difficile costruire a quattro mani trame e vicende.

Cosa succede quando a scrivere un romanzo sono addirittura in undici, come una squadra di calcio? Un esperimento davvero singolare. Il risultato è questo romanzo fantasy, I sentieri del Nizhar (Marcovalerio Editore, 2022, pag. 236 euro 19), firmato da questa compagnia di ventura letteraria che ha scelto il nome “Inkiostri” che nemmeno troppo nascostamente ammicca agli Inklings, ovvero a quel gruppo di intellettuali di Oxford composto da Tolkien, Lewis, Charles Williams e altri che si ritrovavano settimanalmente in un pub di Oxford a rendersi partecipi l’un l’altro di quello che la loro fervida fantasia elaborava.

Questi “Inkiostri” invece sono italiani, e più precisamente piemontesi. In anni dove la politica la faceva da padrona assoluta in ambito letterario, li si sarebbe definiti un “collettivo”. Sono invece un gruppo di amici, che hanno in comune la passione per la narrativa del fantastico e la fede cristiana. Esattamente come gli Inklings di Oxford. E cosa hanno fatto questi autori subalpini? Oltre che mettere in comune idee e amicizia, hanno tentato un’operazione letteraria non facile. Sarebbe stato ovvio pubblicare una raccolta di racconti, prodotti da ciascun membro del gruppo. Invece hanno realizzato un romanzo, passandosi il testimone narrativo tra un capitolo e l’altro.

Nella “Post fazione” si spiega che “un gruppo di amici decidono di raccontare una storia, divisa in capitoli, col generoso presupposto fiduciario che ogni autore segua e prosegua quanto scritto da chi l’ha preceduto, intuendone intuizioni e spunti.” Se, per comprendere quest’opera, si pone mente a un archetipo come i poemi omerici, diventa facile apprezzarne l’idea e la struttura. Nel contempo, lo spirito che si respira tra queste pagine è quello secondo cui “ognuno possa trovarsi a casa in quel che gli è proprio; si parli di musica, di guide turistiche, di romanzi, di canzoni”.

L’esperimento si può dire che sia riuscito. L’esito è quello di un’armonia di voci, come in un coro. I critici malevoli della letteratura fantasy dicono che i romanzi di questo genere si assomigliano tutti: storie di bene e male, creature mostruose e cavalieri, nomi impronunciabili. Pochi di questi critici vanno oltre questi pregiudizi, e guardano ai contenuti della storia. Nel lavoro dei nostri “Inkiostri” c’è invece molto su cui riflettere.

Nel romanzo si parla di “… quel popolo che non alzava più lo sguardo verso l’alto, né sapeva più ritrovare la strada verso le proprie radici. Ma lei ricordava e iniziò a raccontare…”. “Lei” è Kira, una magica narratrice che conosce le leggende “di ogni cima” di quelle zone montuose, che un po’ assomigliano alle Alpi. E in questi luoghi familiari ma non troppo si svolgono le gesta dei nostri viaggiatori, che come in ogni grande storia che si rispetti, dal Viaggio degli Argonauti un poi, hanno una missione da realizzare.

E non c’è nulla su cui ironizzare, perché la narrativa del fantastico – e ce lo conferma in pieno questo libro – nasce da una giusta e quasi sacrosanta insoddisfazione per il presente, per la situazione che si vive. È una risposta che in parte può essere sottoscritta. Certo, i grandi spazi, le grandi foreste, le alte montagne di uno scenario fantasy sono altra cosa rispetto al quartiere residenziale periferico con il quale ognuno si trova a fare i conti quotidianamente. È altrettanto vero che i grandi rischi, i grandi amori, le grandi battaglie, il camminare sul ciglio di profondi burroni, lo scintillio delle spade che si incrociano, sono l’antitesi di quella vita piatta, grigia, codificata e programmata che la modernità propone. O impone.

I Sentieri del Nizhar conducono in un mondo, assolutamente reale e assolutamente separato da quello, per così dire, concreto. Portanoi in un luogo diverso, in un tempo diverso, nel quale gli scenari sono indubbiamente più affascinanti di quelli della quotidianità moderna, nel quale i fatti non hanno l’insipido sapore della routine, dicevamo.

Ma il punto fondamentale è un altro: ciò che viene creato non è semplicemente un mondo, ma un cosmo perfettamente coerente, un tutto organico dove ogni entità ha una sua funzione, un suo significato; un uni-verso, univocamente orientato verso un centro che dà senso alla creazione. Non c’è bisogno di spiegare quale sia il fascino che questo può esercitare negli anni del grande caos. Nondimeno, il mondo proposto non conosce la moderna menomazione dell’uomo, della natura, dell’universo a una dimensione – quella puramente materiale – senza di contrappasso scadere mai nel basso sentimentalismo o, peggio, nella ricerca dell’infero, del subconscio, dell’istintuale. Al contrario, vengono proposte figure che – anche nell’errore, nella tragedia, nella sconfitta – rivelano i tratti freddi e lucidi dell’archetipo.

1 commento su “L’invenzione del vero, romanzi antichi e nuovi – Inkiostri: “<em>I sentieri del Nizhar</em>””

  1. Grazie. Che bello sentire parlare in questi termini. Che gioia sapere di uomini che danzano con la fantasia. Come bere acqua pulita.
    Grazie Mauro

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