CONVENTO PATRIARCALE S. DOMENICO
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P. Giovanni Cavalcoli, OP
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Bologna, 21 gennaio 2012
Caro Dott.Sgarbi,
ne Il Giornale del 20 gennaio ho letto un suo articolo sullo spettacolo di Castellucci. Al riguardo vorrei fare alcune osservazioni, perché gli argomenti che Lei porta per contestare il valore della Lettera della Segreteria di Stato sono facilmente confutabili.
Lei afferma che “ogni ‘censura determina una vittima, e quindi procura l’effetto opposto di trasformare quello della Chiesa in un potere inquisitorio contro la libertà d’espressione. Chi viene ‘inquisito’ diventa vittima e ottiene un beneficio sia di pubblico, sia di consenso”.
Rispondo dicendo che la sua affermazione circa la “censura” è troppo assoluta. Lei come critico sa benissimo che esistono opere censurabili ed opere non censurabili e giustamente in molte occasioni Lei hai esercitato, come critico d’arte, questo suo diritto di valutare ora positivamente ora negativamente.
D’altra parte, poche righe dopo, Lei pur riconosce, in linea di principio, il diritto della Chiesa di censurare. Senonchè però, come Lei dice, “la miglior ‘censura’ che l’autorità religiosa può esercitare è il silenzio”. E questo perché? Perché “lanciare condanne avvantaggia il teatro, trasformando il regista in vittima”.
Sono d’accordo con Lei che certe opere sono talmente scadenti o sconvenienti, che non vale neppure la pena prestar loro alcuna attenzione, perché il solo parlarne sarebbe un valorizzarle, con la conseguenza effettiva di attirare l’attenzione del pubblico. Però mi domando: quale pubblico? Evidentemente un pubblico impreparato e incompetente che ha simpatia per l’autore e sfiducia nel critico.
Ora io mi domando se lo spettacolo di Castellucci può essere classificato realmente in questa categoria di opere. Direi proprio di no. Qui, come ha notato giustamente la Santa Sede, non si tratta di un’opera scalcagnata ed insulsa, una sbrodolata che non merita neanche l’attenzione di un critico o di un pubblico serio, ma si tratta di ben altra cosa. Non si tratta di una questione artistica, ma di una questione morale: si tratta di un’opera “offensiva nei confronti di Cristo e dei cristiani”, evidentemente di tutti i cristiani sparsi nel mondo, assommanti a centinaia e centinaia di milioni di persone, oltre due miliardi.
La Santa Sede non entra nel merito del valore artistico. Certo si tratta di arte, ma di arte perversa e oggettivamente offensiva, e quando un’opera offende Cristo, il linguaggio corrente adopera spontaneamente e a ragion veduta un termine ben noto: bestemmia, come abbiamo sentito in questi giorni da parte di molti cattolici sdegnati ed offesi. I codici civili parlano di “vilipendio alla religione” o di reato contro la libertà religiosa. E si potrebbe anche ravvisare “corruzione dei minori”, vista la parte obbrobriosa svolta dai ragazzi.
Le chiedo dunque: se qualcuno La offende, Lei non ha forse il diritto di difendere il suo onore? Altrimenti che ci sta a fare il sistema giudiziario? E allora se questo diritto lo ha Lei, perché non dovrebbero averlo anche i cattolici? Non sono esseri umani come Lei? Non parlano forse le moderne Costituzioni democratiche di “uguaglianza dei diritti”?
Comunque la Santa Sede a ragion veduta è ben lungi dal porre la questione su questo piano giudiziario. Essa però invoca una “reazione ferma e composta della Comunità cristiana”. Ma tutto ciò non è perfettamente logico e comprensibile? Dove sarebbe l’“intolleranza” esercita dalla Chiesa? Dove sarebbe l’atteggiamento inquisitoriale? E d’altra parte la condanna non è forse più che giusta e comprensibile? Se amiamo una persona, possiamo sopportare che venga impunemente offesa? E Chi i cristiani amano di più del Fondatore divino della loro stessa religione?
La Lettera del Segreteria di Stato chiede dunque giustamente ai cristiani una “reazione ferma e composta”. Quale può essere? Quella che sta avvenendo: una critica teologica all’opera di Castellucci, quale quella che gli ho rivolto in due lettere aperte che gli ho indirizzato; possono essere pubbliche manifestazioni di dissenso e protesta, segnalazioni su siti cattolici, preghiere e Messe riparatrici, fermi e chiari interventi di Pastori, come per esempio quelli della Curia milanese, quelli di Mons. Negri, Vescovo di San Marino, Mons. Di Marco, Vescovo di Vigevano e Mons. Sanna, Vescovo di Oristano, ai quali spero si assoceranno altri Pastori, oppure i recenti interventi sul quotidiano della CEI Avvenire. Si potrebbe altresì ravvisare l’opportunità di un intervento della Magistratura secondo le leggi dello Stato.
“Reazione ferma” vuol dire in particolare che i nemici di Cristo devono fare attenzione a non prendere alla leggera gli insulti a Cristo e ai cristiani, con la scusa della proverbiale mitezza e tolleranza del cristiano.
Indubbiamente altre eventuali reazioni rancorose, anche se da parte cattolica, dovranno essere disapprovate o escluse, perché si porrebbero automaticamente dalla parte del torto ed otterrebbero effetti controproducenti.
L’intervento della Santa Sede, inoltre, non crea nessuna “vittima” e non fa violenza a nessuno e tantomeno alla “libertà dell’arte”. Riguardo a questo secondo punto, Lei, conoscitore come è della storia dell’arte, sa bene come la Chiesa è sempre stata eminente mecenate e promotrice delle belle arti, ben sapendo come esse esprimono e simboleggiando l’arte del Sommo Divino Artista, quell’arte del Quale, come dice Dante, l’arte umana è “nepote”.
Quanto poi al fare vittime, direi piuttosto che semmai sono i credenti ad essere vittime della violenza di Castellucci, mentre in realtà egli non è vittima di nessuno (forse di sè stesso), ma semplicemente in modo piagnucoloso ed infantile fa la vittima. Con questo non nego, ripeto, che chi reagisse violentemente contro di lui, sbaglierebbe. Tuttavia, come pure gli ho già detto, egli non dovrebbe dimenticare il ben noto detto “chi la fa l’aspetti”.
Come secondo argomento per esprimere la sua disapprovazione circa l’intervento della Santa Sede, – e qui il discorso diventa più serio – Lei ricorda le sofferenze redentive di Cristo: Castellucci non avrebbe fatto altro che rievocare tali sofferenze. E’ vero che Castellucci, nelle spiegazioni che ha dato, ha voluto negare il carattere blasfematorio della sua opera, ed anzi ha dichiarato che essa “deriva dalla Sacra Scrittura”. Ha citato Giobbe e la kenosi di Cristo.
Ma tutto ciò, come già gli ho detto, non convince assolutamente, perché non corrisponde a quanto avviene in realtà sulla scena, dove è evidente l’intento dell’Autore di condurre il pubblico progressivamente ad uno stato d’animo di rivolta contro Cristo, rappresentato nell’enorme immagine di Antonello da Messina, continuamente campeggiante nello sfondo, immagine che assiste del tutto indifferente al susseguirsi esasperante dell’incontinenza del vecchio inutilmente assistito dal figlio, simbolo evidente della catena ininterrotta di sventure che colpisce molti di noi ogni giorno spesso senza alcun rimedio né dal basso né dall’altro.
Certo potrebbe venire in mente l’esasperazione di Giobbe che inveisce contro Dio, senonchè qui però a un certo punto la strada di Giobbe e quella di Castellucci divergono completamente, perché come notoriamente Giobbe, illuminato da Dio, si rassegna serenamente alla sua sorte, cosa che poi gli procura di essere sovrabbondantemente reintegrato nella felice condizione precedente, Castellucci finisce nella ribellione o nell’odio, con una prospettiva quindi disperante che potremmo definire nichilistica: “Tu non sei il mio pastore”, e sembra voler trascinare il pubblico stesso, partecipe del dramma umano del padre e del figlio, alla medesima rivolta.
Che poi a questo punto ci sia o non ci sia lancio di escrementi o qualche altra cosa o liquami che imbrattano il volto di Cristo, tutto ciò evidentemente non ha nulla a che vedere con un millantato rispetto per le sofferenze di Cristo, ma al contrario ripete le offese blasfeme che Cristo ha ricevuto a cominciare dalla sua Passione e tuttora riceve da parte di coloro che lo odiano e dei persecutori del cristianesimo. Un conto è ricordare le offese che Egli ha ricevuto e un conto è collaborare con i suoi offensori. Questo lo capisce anche un bambino.
Ma bisogna dire anche a questo punto che il lavoro di Castellucci è una sfida anche per noi cristiani. Dalla lettura delle dichiarazioni di Castellucci ho compreso benissimo, io che ho insegnato cristologia per vent’anni in un istituto accademico ecclesiastico, che Castellucci riprende e fa sue alcune idee ereticali su Cristo di carattere gnostico, hegeliano e modernista.
Castellucci non fa che mettere platealmente e diciamo pure sfacciatamente sulla scena, pagato dal pubblico denaro, ed impressionando così fortemente la sensibilità popolare, una “cristologia” ereticale che purtroppo circola, sotto i paludamenti di una falsa scientificità e di un falso cattolicesimo, in molti ambienti.
Vane peraltro e fuori luogo sarebbero le proteste di coloro, come per esempio ha fatto Prosperi su Repubblica, i quali vorrebbero ravvisare nell’intervento della Santa Sede un’indebita intromissione nelle cose italiane. Il Papa in quella Lettera non fa altro che parlare come guida dei cristiani, mentre è chiaro che ogni presa di posizione della pubblica autorità italiana è lasciata alla sua autonomia nell’applicazione della legge italiana.
In conclusione, caro Sgarbi, mi pare che Lei abbia capito ben poco del senso e del valore dell’intervento della Santa Sede. Lo legga bene alla luce delle mie spiegazioni e vedrà che in realtà esso difende la vera libertà dell’espressione artistica ed inoltre le esigenze della libertà religiosa e della serena e pacifica convivenza civile in uno Stato come quello italiano, nel quale l’eredità bimillenaria del cristianesimo è sempre stata ed è sorgente di cultura, di arte, di giustizia, di pace, di civiltà e di libertà.
Padre Giovanni Cavalcoli,OP
Bologna, 21 gennaio 2012