LO SPETTACOLO BLASFEMO DI CASTELLUCCI. LETTERA DI P. GIOVANNI CAVALCOLI AD ANTONIO SOCCI

CONVENTO PATRIARCALE S. DOMENICO

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conv

P. Giovanni Cavalcoli, OP

Convento San Domenico

Piazza San Domenico, 13

Email: padrecavalcoli@gmail.com

 

Bologna, 24 gennaio 2012

Carissimo Socci,

nel dramma di Castellucci c’è una scena nella quale si vede di spalle il figlio accostato all’immensa immagine di Cristo: sta con le mani alzate verso l’immagine, nell’atteggiamento tipico dell’implorazione e della preghiera. Sembra che il figlio nel contempo voglia abbracciare l’immensa immagine in un gesto di amore e di fiducia, ma evidentemente con le sue braccia non ce la fa: l’immagine, come si dice in teologia, lo “trascende”. Il figlio indubbiamente ci fa tenerezza.

S.Tommaso d’Aquino e i Padri della Chiesa direbbero che questa immagine, questo Dio è “incomprensibile” nel senso letterale: non può essere compreso, racchiuso nel nostro abbraccio. Abbraccio delle nostre braccia, abbraccio dei nostri concetti. Il problema del concetto del volto del Figlio di Dio.

Chi è questo figlio? Rappresenta l’umanità sofferente che implora e lotta invano contro la sofferenza. La liberazione non viene; anzi le cose peggiorano: si va inesorabilmente verso la morte. E Cristo che cosa fa? La sua immensa meravigliosa presenza silenziosa campeggia e perdura immobile e apparentemente indifferente alla sofferenza per tutta la durata dello spettacolo. E’ un Cristo muto, che non parla, non dice nulla. Sì, è vero, come ha detto Castellucci, “ci guarda”, ma non si capisce che cosa dice. Nessuna indicazione, nessuna parola di conforto, nessuna spiegazione del male, nessuna promessa di liberazione, e quindi nessun rimedio al male. A meno che non sia un invito ad amare la sofferenza per se stessa. Ma questa sarebbe cosa patologica, ben nota gli psichiatri.

Lo sguardo del Cristo, per la verità, come ha detto bene Castellucci, è dolcissimo. Ma assolutamente inconcludente, per cui sembra quasi ironico e che ci voglia prendere in giro, dall’alto della sua impassibile immacolatezza e della sua divina felicità. A me pare però che questo Cristo sia anche leggermente triste e quasi intimidito. Comunque estremamente umano.

Non è il Cristo austero, severo e quasi cupo Pantokrator dei mosaici bizantini e delle icone russe. Non è il Cristo dal volto martoriato e insanguinato della tradizionale iconografia francescana. Tuttavia resta un Cristo maestoso, che, come ha detto Castellucci, ci guarda per tutto il corso della spettacolo. Ma che cosa fa? Apparentemente nulla. Castellucci ha detto che è un Cristo “kenotico”, ossia sofferente delle nostre stesse sofferenze.

E’ il “Dio che soffre”, come oggi dicono alcuni cristologi che non accettano l’attributo divino dell’impassibilità, che pure entra nel dogma della Chiesa cattolica, la quale in molte occasioni ha respinto l’idea di un Dio che soffre. Infatti essa sin dai primi secoli condannò come eretici i cosiddetti “teopaschiti”, dal greco appunto: “Dio sofferente”.

Per il cattolicesimo infatti, in Cristo, non soffre Dio, ma l’umanità di Gesù. La “kenosi”, come ha spiegato bene S.Tommaso d’Aquino, non è un assurdo “svuotamento” di Dio (questo è il significato del termine paolino kènosis), ma significa semplicemente l’umiltà di Cristo uomo, “servo sofferente”, secondo l’immagine del profeta Isaia.

Senonchè Castellucci ha detto esplicitamente di non essere cattolico e di non accettare i dogmi, benchè si senta interessato al mistero di Cristo, ma secondo lui è lui che interpreta veramente il Cristo della Bibbia e non la Chiesa cattolica, giacchè ha detto che il suo dramma “discende dalla Scrittura”.

Bisogna però osservare che in buona teologia un Dio sofferente sarebbe un Dio difettoso, – la sofferenza è una mancanza, non una perfezione -, quindi di tratterebbe di un Dio debole, inetto, frustrato, disgraziato e impotente come noi davanti alle forze del male, del dolore, della corruzione, della morte, del nulla. Un Dio che non può salvare.

A meno che non accettiamo il folle pensiero di Hegel, secondo il quale il “positivo” viene fuori dialetticamente dal “negativo” e quindi l’essere dal non-essere, il vero dal falso, il bene dal male, la vita dalla morte, la salvezza dalla perdizione, la gioia dal dolore. Alcuni ingenui incapaci di ragionare correttamente credono che in fondo questa sia la legge della Redenzione: la salvezza, essi dicono, non scaturisce forse dalla croce? La vita non ci viene forse dalla morte di Cristo? La liberazione dalla sofferenza non ci viene forse dalla sofferenza di Cristo?

Certamente: ma qui c’è un enorme equivoco, che il Concilio di Calcedonia ha condannato come eresia: la confusione e la mescolanza tra le due nature di Cristo, umana e divina (pur nell’unità dell’unica Persona divina), per cui, secondo questa eresia, siccome Cristo soffre come uomo, allora Cristo soffre anche come Dio. Si suppone un’idea dell’Incarnazione per la quale le due nature non restano distinte, ma la natura divina diviene la natura umana. Un Dio non immutabile, sempre identico a se stesso, ma mutevole, un Dio che diviene, come quello di Hegel.

Solo che in Hegel, che in fondo aveva la preoccupazione dell’identità divina (egli credeva in Dio!), il negativo torna ad essere positivo, sicchè alla fine il Dio di Hegel, dopo drammatiche traversie – un Dio “tragico”, come dice bene Von Balthasar -, alla fine torna ad essere onnipotente. Si riappropria della sua potenza precedentemente “alienata” (la Entfremdung hegeliana).

Ma la dialettica di Castellucci manca della sintesi finale hegeliana: c’è semplicemente l’opposizione tesi-antitesi, il non essere che contraddice all’essere, sicchè alla fine non c’è alcun “ritorno dialettico” (rückkeher), ma semplicemente c’è l’ateismo, il nichilismo, la disperazione, il fatalismo, il nulla.

L’uomo resta completamente solo. Lo aiuterà Marx? E’ vero che, come dice Marx, “l’uomo è Dio per l’uomo”? Basta la lotta di classe? Castellucci dice di essere “di sinistra”, mentre chi lo contraddice è “fascista”, compreso il Papa. Vedremo che cosa ci darà Castellucci seguendo il comunismo. Ma la prova non è già stata fatta?

Il Dio disgraziato nel dramma di Castellucci si dissolve senza più tornare, implode su se stesso, è un flop. Antonello da Messina e con lui Cimabue, Giotto, Carpaccio, Rubliov, Filippino Lippi, Raffaello, Michelangelo, Caravaggio, Rembrandt, Giorgione, Rouault, Annigoni e mille altri, tutti illusi, hanno rappresentato un Dio che non esiste.

Dobbiamo dire allora, se siamo veri amanti dell’arte e della civiltà, oltre che della religione che il protestare contro questo falso “dio” non è da bigotti, ma da persone ragionevoli. Lo farebbero anche Voltaire o Robespierre, che credevano nell’“Ente supremo”. Lo farebbe anche un massone, che crede nell’“Architetto dell’universo”.

Persino dal mondo musulmano, che ride sotto i baffi, ci viene una domanda: cristiani, che cosa state facendo? Volete dar ragione a Maometto? Fate una cosa simile col nostro caro Maometto e vedrete che cosa vi capiterà. Non ci sarà scusa di “libertà dell’arte” che tenga! Altri islamici moderati invece restano dispiaciuti di questo gesto di intolleranza. E alcuni ebrei incalliti (non tutti) diranno: avevano ragione i sommi sacerdoti a condannarlo a morte! E’ un falso Messia!

Nel Dio di Castellucci scompare infatti l’onnipotenza, attributo senza quale Dio non è Dio. Lo sapevano anche i pagani, i quali divinizzavano i potenti, i re, i divi dello spettacolo, i campioni nella guerra e nello sport. Un Dio spompato, col fiato corto e senza forza è un dio che fa ridere o fa pietà.

Ma siccome in realtà nella vera religione occorre un Dio buono ed onnipotente, perché le immense e potentissime forze del male siano vinte, ecco che nell’assenza di questa potenza divina, Dio è sopraffatto e non riesce ad aver la meglio. Ora però qui interviene la logica: ma un Dio così che dio è? Un Dio che non è Dio? E dunque Dio non esiste.

Certo Hegel con la sua sfacciata astuzia, vi direbbe con tono oracolare, da vero affascinante impostore: ma appunto Dio ha la contraddizione in se stesso – non è, come dice Cusano, coincidentia oppositorum? -: nega se stesso per tornare a se stesso. Qui però Castellucci non si lascia menare per il naso, mostra se non altro buon senso e non segue Hegel in questa truffa ripugnante e blasfema, per cui trae la conclusione, anche essa certo sbagliata, ma che almeno ha una suo logica: se Dio è così, se Dio è impotente ed indifferente, se Dio non è Dio, Dio non esiste.

Ecco allora alla fine del dramma il crollo dell’immensa immagine tutto sommato illusoria ed ingannevole. Un Dio che ci ha preso in giro. Non era altro che un Dio di carta, che si straccia e si dissolve nel nulla.

Non resta che il vuoto, il buio. L’uomo disgraziato rimane solo con se stesso, e un Dio di carta che crolla miseramente dopo esser stato a lungo invocato e, ciononostante, aver assistito in continuazione alle nostre disgrazie senza intervenire, non merita altro che il nostro disprezzo. Da qui la bestemmia che si sostituisce all’inutile preghiera del figlio. Il figlio aveva pregato il nulla. Per questo i ragazzi tirano oggetti contro il dipinto. E del resto padre e figlio, forse già consapevoli del bluff, non pregano più.

Castellucci mette sulla scena con l’abilità di un vero artista una cristologia eretica, di tipo gnostico, hegeliano e dolorista (la sofferenza come assoluto divino), che purtroppo è presente in certi cristologi sotto il manto di paludamenti scientifici, dotte citazioni bibliche e sottili concetti filosofici. In questi casi non solo la gente comune ma neppure certi teologi esperti si accorgono dell’insidia, del serpente che si nasconde nell’erba o, come recita il detto latino, latet anguis in herba.

Una chiara indicazione su come valutare lo spettacolo di Castellucci ci vengono dalla Curia di Milano e soprattutto dall’intervento del Santo Padre. Ci volevano queste confortanti chiarificazioni per avere sul lavoro di Castellucci una visione oggettiva senza esagerare nella critica, ma anche senza ingenuità.

L’eresia pericolosa è sempre una specie di bubbone nascosto sotto seducenti apparenze, che solo il medico sa scoprire e curare. Per curarla occorre però far uscire il pus. Solo a questo punto anche il profano si accorge del male e lo rifiuta, se vuole rifiutarlo; a meno che non gli piaccia il bubbone (fuori metafora: un falso Cristo).

Perché dunque la reazione popolare (a volte anche eccessiva, ma i giovani sono i giovani, soprattutto se provocati) davanti alla bestemmia di Castellucci e non davanti a quelle dei falsi cristologi? E’ evidente: perché Castellucci non fa che fare uscire il pus, ma il bubbone non lo ha inventato lui: esisteva già.

Lo ha detto lo stesso Castellucci, certo con sottile compiacimento, che ci mostra la sua complicità con gli eretici: “io non dico niente di nuovo, io non faccio altro che metter sulla scena le idee che circolano”. Certo questo non può scusare l’operato di Castellucci. Tuttavia dobbiamo renderci conto del retroscena, per colpire il male alle radici.

Le idee hanno tra di loro delle connessioni logiche: se un filosofo pone certe premesse implicitamente velenose, non c’è da meravigliarsi se le conseguenze siano ancora più velenose. Basarsi su di una cristologia avvelenata come quella di Hegel, benchè apparentemente mistica, sublime e conforme alla Scrittura, può sembrare un’operazione “aggiornata”, degna della teologia postconciliare, al di là della vecchia e superata cristologia tomista; ma ci si accorge – e questo lo hanno fatto notare storici della teologia come il Fabro, il Löwith e il Cottier – che da Hegel deriva Marx e da Marx deriva Nietzsche.

E’ vero, c’è qualcuno che ha voluto trovare una “cristologia” persino in quest’ultimo. Ma allora vuol dire confondere la bestemmia con la religione, la preghiera con l’empietà. A questo punto bisognerà dire che pregano anche i diavoli e i dannati nell’inferno. Pregano o imprecano? E’ vero, c’è sempre di mezzo quel precor, ma c’è anche la differenza dell’assenza o presenza di quell’in.

In realtà se guardiamo bene con occhio sì benevolo ma attento, in Castellucci non c’è vera preghiera ma un semplice iniziale conato di preghiera a un Dio che non è il vero Dio e da parte di un’umanità che nega il peccato originale – Castellucci stesso ha detto apertis verbis che non ci crede – ritenendosi innocente davanti a Dio (il fanciullo “innocente” di Castellucci).

E anche lo stesso modo di pregare è sbagliato, perché, come ci insegna Cristo, la prima cosa da chiedere a Dio non è che si compia la nostra volontà, per quanto chiediamo cose buone come la salute di nostro padre, ma è quella che gli chiediamo perdono dei nostri peccati e che si compia la sua volontà e la prima volontà di questo Dio misericordioso è che seguiamo suo Figlio crocifisso e risorto.

E d’altra parte, come non vedere in quell’immagine immensa, indifferente ed invadente di Cristo l’insinuazione di un Dio che pur sembrando grande e maestoso non fa nulla per soccorrere l’uomo? Ma allora questo “Dio” è veramente buono? E se non interviene, è perché non ce la fa o perché non è buono? In entrambi i casi che Dio è?

Ma se l’uomo è innocente, e se la pena è giusta sanzione del peccato, Dio ci castiga per che cosa, dato che siamo innocenti (l’assioma del buonismo: siamo tutti buoni)? Da dove vengono allora quelle sofferenze e quelle disgrazie che l’uomo non si è procurato lui? Non verranno forse da Dio, che dovrebbe essere il creatore e governatore del mondo? Ma se io fossi al suo posto, non lo governerei meglio? Mi manca solo la potenza. Dunque un’ulteriore ragione, non per pregare, ma per bestemmiare contro un “dio” non saggio ma stolto per non dire crudele.

La vera preghiera, caro Socci, come Lei sa bene e ce lo insegna con i suoi preziosi scritti, che tanto successo hanno meritatamente raggiunto, è certo richiesta di aiuto e di intervento, ma per noi cristiani è innanzitutto accettazione forte, ragionata e fiduciosa della volontà di Dio, accettazione della croce, sull’esempio di Cristo, col sostegno della sua grazia, e in unione con la sofferenza espiatrice di Cristo, per il fatto che Gesù, essendo Dio e Dio essendo onnipotente e bontà infinita, grazie alla sua potenza, in Cristo trasfigura la sofferenza in principio di salvezza e di liberazione dalla stessa sofferenza, cosa che solo un Dio vero Dio può fare. E noi con le nostre sofferenze in Cristo, collaboriamo alla salvezza nostra e dei fratelli.

Nel contempo il cristiano sa attendere, sa sperare. Certo vorremmo subito la liberazione. Ma ci fidiamo di quello che è il piano della salvezza ideato dal Padre. Ci fidiamo dei tempi di Dio. Tale piano prevede che quaggiù certo lottiamo contro la sofferenza, ma sappiamo accettare per il tempo che Egli vorrà quelle sofferenze alle quali umanamente non riusciamo a rimediare, nella consapevolezza che in unione con Cristo sono principio di redenzione, di espiazione e di salvezza in nome dell’amore.

Indubbiamente viene la tentazione di ribellarci, di imprecare, di disperare. Guardiamo allora a Gesù crocifisso nella luce di Maria SS.ma – alla Quale Lei è tanto devoto e Che tanto Lei ha contribuito a far conoscere ed amare -, come fanno tutti i santi. Continuiamo a pregarLo senza sosta e con fiducia per intercessione della sua Santissima Madre.

Non c’è altra strada per la salvezza. “Non c’è altro nome sotto il sole nel quale sia dato agli uomini di potersi salvare”. Anch’io Le sono vicino con affetto e stima nella preghiera, mentre chiedo le sue e quelle della sua amatissima Figlia per me.


P.Giovanni Cavalcoli,Op

Bologna, 24 gennaio 2012

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