LO SPETTACOLO BLASFEMO. LETTERA DI PADRE CAVALCOLI A CASTELLUCCI, IN RISPOSTA ALL’ARTICOLO SUL CORRIERE DI BOLOGNA

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P. Giovanni Cavalcoli, OP

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Bologna, 17 Gennaio 2012


Caro Castellucci,

ho letto la sua nuova dichiarazione pubblicata dal blog del Corriere di Bologna, Rubrica Controscene di Massimo Marino, in data odierna. Essa illustra con nuovi argomenti quanto avevo già letto in una sua precedente dichiarazione, alla quale ho risposto nella mia precedente lettera.

Non mi pare che quest’ultima dichiarazione – e la cosa è comprensibile – modifichi sostanzialmente il senso della sua rappresentazione teatrale che Lei aveva già esposto. Non sto quindi a ripetere il mio commento, che del resto è di dominio pubblico essendo stato pubblicato nel sito Riscossa Cristiana. Riprendo invece gli elementi nuovi, che danno ulteriori delucidazioni sui suoi intenti e sullo sfondo umano e teoretico, filosofico e teologico, del suo lavoro teatrale.

Mi ha colpito innanzitutto questa dichiarazione: “Questo spettacolo nasce dalla memoria di mio padre, che ho perso all’età di sedici anni e che non ho mai potuto pulire, accudire, mentre avrei voluto poterlo fare”.

E’ bello questo motivo umano, ma non direi assolutamente che lo spettacolo rende vero onore a suo padre e che neppure può considerarsi una specie di riparazione, se tale vuol essere, a quel comprensibile rammarico di figlio che Lei lascia trasparire dalle sue parole.

E questo perché? Perché tutta la rappresentazione è inesorabilmente orientata al tragico ed empio finale della bestemmia contro il Volto di Cristo, ben espressa dal lancio di oggetti e soprattutto dalle parole “Tu non sei il mio pastore”. Infatti un “pastore” che è detto “divino” ma che in pratica assiste impassibile nella sua invadente maestà, all’inutilità esasperante degli sforzi umani per risolvere i problemi dell’uomo, un Dio che pur dovrebbe essere buono, misericordioso ed onnipotente, almeno così come è presentato dalla Bibbia, che ci sta a fare? Forse che Egli non suscita odio piuttosto che amore? E dunque perché non bestemmiarlo, perché non tiragli addosso qualunque cosa ci capiti in mano? Dunque la sua pièce ha un filo logico, ha una coerenza. Resta a vedere se sono giusti i princìpi teologici dai quali Lei parte. Ed è appunto questi principi che io intendo qui contestare.

Qui allora il discorso si approfondisce. Ma Lei stesso mi offre l’occasione e la possibilità. Un frase a tal riguardo mi ha colpito: “Questo spettacolo nasce come un getto diretto delle e dalle Sacre Scritture”, e spiega citando Giobbe, il grido di Gesù sulla croce, la rivelazione fatta da Dio a Mosè (Es 3,14) del Nome divino: “Io Sono Colui Che E’”.

Quanto a Giobbe, è vero che, come tutti sanno, egli è sottoposto ad una serie di disgrazie, ma, dopo un attimo di ribellione a Dio, egli, richiamato da Dio stesso, riflette, e si rasserena comprendendo che anche quando ci giungono le sofferenze, non bisogna smettere di confidare nella bontà, nella saggezza, nella misericordia e nell’onnipotenza divine. Questa pazienza e questa fortezza d’animo assicurano poi a Giobbe il recupero, moltiplicato, dei beni precedentemente posseduti.

Invece la conclusione blasfema del suo pezzo teatrale, con la ribellione a Dio, non risolve nulla e non promette nulla se non la separazione da Dio che, come Lei sa, procura un’eterna dannazione. Il Volto divino, benchè sporcato, continua a campeggiare. Ma che ne sarà dell’uomo? E’ dunque così che Lei ha voluto render onore a suo padre?

Quanto al famoso grido di Gesù sulla croce, esso non è un grido di disperazione né tanto meno, come credono alcuni, un’espressione di ribellione ed odio verso Dio Padre, ma semplicemente Gesù, come sa l’esegesi da sempre, inizia a recitare un Salmo, che inizia certo con un grido di angoscia, ma che si conclude con la lode, la speranza e la pace.

Inoltre Cristo in croce pronuncia anche un’altra frase: “Nelle tue mani, o Padre, affido il mio spirito”. Cristo è Dio come il Padre è Dio: non ha senso ipotizzare una contraddizione all’interno stesso della divinità, come certi falsi mistici lo hanno pensato. Inoltre, come risulta dal Vangelo, il Figlio è la perfetta Immagine del Padre, per cui ancora una volta è impensabile un contrasto tra le due divine Persone. Questo almeno è il vero senso della Bibbia.

Quanto poi al Nome divino, come spiega S.Tommaso d’Aquino, esso rappresenta lo stesso Essere Sussistente, espresso anche dalle parole di Cristo quando dice di Se Stesso: “Io Sono”, ossia: Io non sono questa o quella cosa finita, ma Io sono assolutamente ed infinitamente. Si tratta dell’infinita perfezione divina, dell’“oceano dell’essere”, come diceva S.Giovanni Damasceno.

L’essere e il non essere sono congiunti solo nella creatura, dove c’è la finitezza e il male di pena e di colpa. Dio invece, secondo la Bibbia e la sana filosofia, è essere purissimo e bontà infinita. Se permette il male, è per ottenerne, con la sua onnipotenza, bontà e misericordia, un maggior bene.

Lo so che Lei potrebbe citarmi teologi ed esegeti che Le darebbero ragione. Qui però la questione si fa veramente seria. Io, nella mia qualità di teologo da quarant’anni, non ho difficoltà a riconoscere nel suo “cristianesimo” un’impostazione hegeliana (in particolare la dialettica della contraddizione essere-non-essere), la quale, come constatano gli storici della teologia, è il punto conclusivo del cristianesimo luterano, punto conclusivo che a sua volta, logicamente svolto, porta all’ateismo di Marx e al nichilismo di Nietzsche, con le relative conseguenze di carattere politico- sociale che abbiamo ben conosciute nel secolo scorso.

E’ vero che una tendenza hegeliana si è purtroppo insinuata oggi anche nella corrente modernista del cattolicesimo, che falsamente si presenta come interprete del Concilio Vaticano II. Devo dirLe allora che il suo metodo di interpretazione del cristianesimo e della Bibbia è sbagliato, perché Lei non tiene conto, come facciamo invece noi cattolici, del fatto che Cristo ha affidato alla Chiesa Cattolica sotto la guida del Papa l’interpretazione della Bibbia e del cristianesimo.

La Bibbia non l’ha scritto Lei, ma è opera divina che ha ispirato prima il Popolo Ebraico e poi gli Apostoli della Chiesa Cattolica, erede del Popolo dell’Antica Alleanza, ossia del Popolo Ebraico. Il Cristianesimo non l’ha inventato Lei, ma l’ha fondato Gesù Cristo, di Cui il Papa è per volere di Cristo l’interprete su questa terra.

Immagino che Lei non creda a queste cose, comunque La invito a riflettervi. Esse peraltro hanno anche un risvolto sul piano della civiltà e della legge civile, come molti penso Le hanno fatto notare. Se non crede a quei valori cattolici, abbia almeno rispetto per i diritti altrui e non prenda sottogamba le leggi dello Stato.


Con viva cordialità

 

P.Giovanni Cavalcoli, OP

Docente emerito di Cristologia

nella Facoltà Teologica di Bologna

 

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