di Don Marcello Stanzione
Victor Hugo, nato a Besançon nel 1802 e morto a Parigi nel 1885, fu un famoso poeta e romanziere francese. Repubblicano , dopo il colpo di stato di Napoleone III andò esule in Belgio, poi nelle isole di Jersey e Guernesey, dove rimase 19 anni. La sua prefazione alla tragedia Cromwell (1827) è considerata il manifesto del romanticismo in Francia e romantici sono i motivi di fondo della sua opera; il culto della libertà, la predicazione umanitaria, l’esaltazione delle passioni, i risvolti meditativo – religiosi; se lo stile è esuberante, spesso privo di rigore (anche in I miserabili, 1862), è innegabile la suggestione della sua produzione narrativa ( Notre Dame de Paris, 1831; I lavoratori del mare, 1866; L’uomo che ride, 1869;) e teatrale (Marion Delorme, 1829; Ermani, 1830; Il re si diverte, 1832; Ruy Blas (1838). Altrettanto vasta l’opera in versi da Odi e ballate (1826) a Le Orientali (1828), Foglie d’autunno (1831), Canti del crepuscolo (1835), La leggenda dei secoli (1883).
L’8 dicembre 1853 il poeta e scrittore francese, da spiritista militante, poneva a Mosè che, secondo lui, durante una seduta medianica aveva fatto apparire, questa domanda circa Satana: “Questo castigo sarà dunque eterno?” e Mosè, qualificato per conoscere le cose a fondo, rispondeva, verso mezzanotte: “Tutti questi criminali, si trasfigureranno lentamente e diventeranno dei giusti. Lo splendore lontano di Dio scioglierà quei cuori di ghiaccio e i loro delitti scenderanno come valanghe nell’abisso del perdono divino”. Incoraggiato da queste dichiarazioni del presunto Mosè, egli non esita a rivolgersi direttamente a Gesù Cristo, il Mosè della nuova legge. E l’11 febbraio 1855, Gesù Cristo, per mezzo del tavolino, risponde rimproverando al cristianesimo, venuto dopo di lui, “d’insegnare l’amore sotto l’appellativo di carità e l’odio sotto il nome d’inferno”. Il 18 febbraio , Gesù Cristo si leva ancora contro “le fiamme eterne”. L’8 marzo, uno spirito anonimo proclama il vero Evangelo, sotto la seguente forma: “La vera religione è un immenso addomesticamento di belve e non un immenso rogo… è una immensa tenerezza per i feroci, per gli infami, per i maledetti”. Ma “gli spiriti” che parlavano a Victor Hugo, a Jersey, non facevano essi stessi che prolungare una campagna di revisione del processo di Satana.
Questa campagna aveva già trovato illustri difensori. Fin dal 1820, Alfredo de Vigny aveva posto il problema in Eloa, che d’altronde comportava un seguito nel quale Satana era salvato. Lamartine nella Chuite d’un Ange (1837); Teofilo Gautier, in Une Larme du Diable (1839); Soumet, in La divine Epopée (1840); lo stesso Victor de Lapdrade in Psyché (1841); aveva levato le loro voci in favore del Proscritto. Toccava a Hugo fare udire la sua testimonianza, dandole secondo il proprio temperamento, la risonanza di un tuono. E fu nel poema La fin de Satan (1854-1860). Un fine critico , l’abate Claudio Grillet vedeva in quest’opera rimasta incompleta “pagine di tale potenza e varietà da poterla considerare senza incertezza come il capolavoro di Hugo”. Come farà poi quasi un secolo dopo lo scrittore italiano Papini, Hugo opponeva Satana a Dio stesso, come una “limitazione di Dio” e quindi secondo il significato di Papini come un “dolore” di Dio. Inutile dire che questo ci appare tanto assurdo che non è il caso di fermarcisi né di scendere ad una confutazione. Che c’è di più infantile di una simile limitazione dell’Infinito? E tuttavia, facendo parlare Satana, Hugo scriveva: “Dio mi accetta. Egli finisce a me. Io sono il suo limite”. Il poeta aveva capito che la condizione unica ma necessaria della riabilitazione di Satana era l’amore.
Se Satana fosse stato capace di fare un atto d’amore tutto gli sarebbe stato perdonato. Ma egli non vuole farlo. Il suo orgoglio indomabile vi si oppone, ed è questo peccato eterno che spiega e giustifica, per lui come per tutti i dannati, l’inferno eterno. E così, per fare ammettere ai suoi lettori il perdono a Satana, Hugo lo fa parlare così: “Cieli, azzurri, profondità, splendori, l’amore mi odia! No, non ti odio!…”. e la conclusione sarà la seguente: “Satana è morto; rinasci o Lucifero celeste!”. Non si può non riconoscere a Hugo una visione grandiosa in questa profezia della sua Légende des Siècles. Ma egli parte sempre dal medesimo presupposto: il pentimento di Satana, le lacrime di Satana che spiegano il titolo del suo ultimo capitolo: Satana perdonato! Ma egli si sentiva tanto sicuro su questo punto in virtù delle rivelazioni spiritiche di Jersey. Infatti, l’8 marzo 1855, lo spirito anonimo che parlava ad Hugo dichiarò: “Il Vangelo passato ha detto: i dannati; il Vangelo futuro dirà: i perdonati”. Siamo dunque avvisati che si tratta di un nuovo Vangelo. Papini voleva che obbedissimo all’Evangelo autentico, quello di Gesù Cristo, e sotto questo punto di vista è nettamente inferiore ad Hugo, che infatti sapeva benissimo come nel Vangelo di Cristo fosse scritto: “Andate maledetti, al fuoco eterno preparato al Diavolo ed ai suoi angeli” ( Matteo 25,41). E non poteva ignorare che l’eternità delle pene è parallela all’eternità delle gioie: “E quelli – dice Cristo – se ne andranno al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna” ( Matteo 25, 46).
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1 commento su “LO SPIRITISTA VICTOR HUGO E LA NON ETERNITA’ DELL’INFERNO – di Don Marcello Stanzione”
Hugo raccolse la diffusa visione cabalistica che attraversava, surrettiziamente, la cultura filosofica e spiritualistica dell’Ottocento.
Una parte importante dell cultura in Europa era rimasta scristianizzata dalla adesione alle logge, al protestantesimo, all’epopea napoleonica, attraverso le quali aveva assorbito il pensiero che il male fosse un limite di Dio. Purtroppo tali miserie che si vestirono pure di spiritismo sono presenti anche oggi.