Lo spirito sacerdotale – di Mons. Marcel Lefèbvre

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Lo spirito sacerdotale

Ogni giorno che comincia è anche l’inizio di un nuovo impegno di apostolato. […] A questo proposito, mi si presentano alla mente le parole delle Scritture, ricordate nel giorno della festa dei santi Simone e Giuda apostoli: Ornamenta caelorum sunt virtutes praedicantium. Alii datur per Spiritum sermo sapientiae, alii sermo scientiae. Haec autem omnia operatur unus atque idem Spiritus, «le capacità dei predicatori sono l’ornamento dei cieli. All’uno è concesso dallo Spirito la saggezza dell’eloquio, all’altro la scienza: ma un solo e medesimo Spirito opera in questi doni».

Voglia il Cielo che noi possiamo sempre considerare le cariche e i compiti affidatici con questo spirito di fede, con la convinzione che è lo Spirito Santo che vuole servirsi di noi per il tal apostolato, in quel tal posto, in quella tale epoca della nostra vita. Quale sorgente di pace e di confidenza per le nostre anime di sacerdoti e di religiosi!

Qual è la missione del sacerdote?

Le poche righe che seguiranno, miei cari amici, sono destinate specialmente ai sacerdoti e si propongono lo scopo di far comprendere meglio, nei limiti delle nostre possibilità, la missione sacerdotale. Ma saranno utili anche a tutti i nostri fratelli nella fede, anche se in modo diverso e adeguato alla condizione di ciascuno.

Vi prego di voler vedere in questo  richiamo ai fondamenti, in questo tirarne delle conclusioni, nient’altro che il mio ardente desiderio di vedervi vivere tutti come santi sacerdoti, pieni di zelo, divorati dall’amor di Dio e delle anime, uniti a Nostro Signore e al suo spirito vivificante.

Voi sacerdoti siete in primo luogo ministri di un Sacerdozio di preghiera, di lode, di adorazione. In secondo luogo, siete ministri di un Sacerdozio di santificazione delle anime vostre e di quelle del vostro prossimo, e specialmente di quelle affidatevi dalla Provvidenza. Ne consegue che siete, infine, ministri di un Sacerdozio di immolazione, di sacrificio di voi stessi.

Questi tre aspetti del sacerdozio (preghiera, santificazione, sacrificio) sono legati indissolubilmente. Non si può volerne uno senza gli altri. Non si può lodare Dio e non prendersi cura del prossimo. Non si può essere pervasi dall’amore  di Dio e delle anime e appagarsi di sé.

La preghiera innanzitutto

Cercherà di non dilungarmi qui sul primo aspetto, che abbiamo già affrontato. Come dicevamo, il sacerdote si reca alla sua chiesa, al suo altare per pregare e inabissarsi nell’adorazione col medesimo zelo col quale si reca dalle anime che reclamano le sue cure sacerdotali.

Ciò è sempre vero, ma abbiamo bisogno di ricordarcene specialmente nei momenti difficili e di persecuzione della Chiesa. Nessuna prova, nessun carcere ci può impedire di far salire dalle anime nostre l’incenso della preghiera. In ciò consiste l’essenza dell’anima sacerdotale. Pater, clarificavi te super terram, «Padre, Ti ho glorificato sulla terra» (Gv 17,4): è per questo scopo che ci siamo consacrati a Dio.

Se comprendiamo l’importanza della preghiera e se siamo intimamente convinti che il nostro primo apostolato sia di pregare, probabilmente saremo più pronti alla sveglia mattutina per far orazione, per recitare il breviario nella calma delle prime ore del giorno. Come saremo più generosi nel disciplinare la nostra giornata, terminando l’apostolato esterno al massimo alle dieci di sera, per prenderci il riposo necessario, senza pregiudicare l’apostolato della preghiera e dell’orazione. […] Allora il Signore sarà con noi nel dedicarci in piena libertà d’animo all’apostolato esterno, che sarà reso più fecondo dal compimento dei nostri doveri primari.

È cullarsi in una pericolosa illusione, non scevra di orgoglio, il dedicare all’azione, agli incontri, alle riunioni, alle visite un valore d’apostolato superiore alla preghiera, alla Santa Messa, alla parola di Dio e ai Sacramenti. L’apostolato è innanzitutto opera di Cristo e del Suo Spirito, azione misteriosa e soprannaturale.

La santificazione di sé e degli altri

Secondo aspetto del nostro sacerdozio: santificazione delle anime nostre e di quelle del nostro prossimo, specialmente di quelle alle quali siamo inviati.

È una preoccupazione costante degli Apostoli: santificare sé stessi per santificare gli altri. Et pro eis ego sanctifico meipsum, ut sint et ipsi santificati, «è per loro che santifico me stesso: affinché siano santificati anch’essi» (Gv 17,19). Anche le Epistole di san Paolo a Timoteo e a Tito ne fanno fede. Pensiamo alle nostre povere anime, talora maltrattate, trascurate da noi per primi, proprio quando incoraggiamo per l’intera giornata gli altri a non trascurare le loro. Avviciniamoci spesso al Sacramento della Penitenza. Che il nostro apostolato sia per noi una sorgente sempre viva di santificazione, per poter aiutare le anime ad elevarsi verso Dio.

Non abbiamo forse una prova della nostra povertà spirituale, quando non siamo in grado di dare alle anime generose i suggerimenti e i consigli che esse si aspettano da noi nel Sacramento della Penitenza? O quando evitiamo di tenere una conferenza spirituale, una breve meditazione o un ritiro?

Queste disposizioni interiori ci orienteranno al servizio, abbandonati alla mano del Signore, così che saremo pronti a lavorare in quella porzione del campo del Padrone della messe che ci sarà affidata.

Il sacrificio

Giungo ora al terzo aspetto del nostro sacerdozio: l’abnegazione, il sacrificio di sé, l’immolazione.

Voler essere sacerdoti per esercitare la carità senza sacrificio significa rinnegare il nostro modello, che è Gesù Cristo, significa non conoscere noi stessi. Io penso che sia superfluo mostrarvi la necessità del sacrificio e della penitenza nella vita cristiana e, a maggior ragione, nella vita sacerdotale. Tuttavia sono costretto a constatare che una delle cause frequenti della mediocrità del sacerdote si manifesta oggi in una certa trascuratezza nelle relazioni con l’autorità, con i confratelli e con i fedeli; si potrebbe presumere, ahimè, che esista anche riguardo alla coscienza. Gli esempi che potrei portare sarebbero fin troppo numerosi.

Manca il lume della fede nell’obbedienza, questa virtù che è la trama della vita di Nostro Signore, che è il segno della presenza dello Spirito Santo in un’anima. Non si vede più Dio negli atti dell’autorità. […] I responsabili delle parrocchie e delle missioni o rinunciano alla loro autorità, mettendosi al livello dei loro vicari; oppure si rendono conto che non è più possibile domandare ai loro collaboratori una qualche disciplina.

Meditiamo la vita di Gesù, quella della Vergine Maria, in cui tutto è umiltà, obbedienza, rinnegamento di sé davanti a Dio e a tutto ciò che viene da Dio.

La trascuratezza cui ho accennato è ancora più evidente nelle relazioni con i confratelli. Se si procederà su questa via, dovremo dire: Homo homini lupus, sacerdos sacerdoti lupior[1]! Non oso enumerare i numerosissimi esempi di tanta negligenza… sarebbe troppo triste.

Guardate alle giornate lasciate al caso, che hanno per conseguenza una vita di comunità senza regola: ritardi, inesattezze, omissioni. […] Invece del disprezzo di sé, si preferisce il disprezzo degli altri. Aggiungete a questo il comportamento in occasione di visite a comunità vicine. Ci si sforza forse di non causare imbarazzi, di essere rispettosi di fronte ai confratelli? Se poi passiamo alle relazioni con i fedeli, si ritrova senza fatica il medesimo comportamento nelle inesattezze delle cerimonie, nei ritardi al confessionale o alle lezioni di catechismo.

Dobbiamo essere umili servitori del Signore

Non vi sarà certo difficile scoprire gli esiti del rilassamento della disciplina dell’anima del sacerdote o del religioso. Vi raccomando di non esitare nelle riunioni di lavoro a insistere su questi difetti, che segnalano una mancanza di generosità e una negligenza riprovevoli, che sono all’origine dell’atmosfera di tiepidezza tra sacerdoti, che è avvertita penosamente dai fedeli e rischia di provocare nei più deboli l’abbandono delle pratiche religiose.

Oh! Se veramente noi restituissimo al Sacerdozio la centralità che gli spetta nell’anima nostra, nel nostro cuore – quel Sacerdozio così grande, così nobile, che non faremo mai abbastanza per vivere pienamente – ritroveremmo in questa consapevolezza la volontà di essere dei servitori umili, obbedienti, caritatevoli, zelanti e interamente docili alla volontà del Signore.

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[1] «L’uomo, per l’altro uomo, è un lupo. Il prete ancora più lupo». Ripresa dell’Homo homini lupus di Plauto]

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Fonte: Marcel Lefèbvre, Un Vescovo parla, Rusconi Editore, Milano 1975

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