Intervento di Luciano Garibaldi
al XXV Incontro della fedelissima Civitella del Tronto: «1813-2013: DALL’EUROPA DELLE NAZIONI ALL’EUROPA DELLE BANCHE»
Civitella del Tronto, venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 marzo 2013
Enti organizzatori:
CSR (Centro Studi sul Risorgimento)
CONTRORIVOLUZIONE, organo ufficiale dell’Anti ‘89
Riscossa Cristiana
L’obbligo dei bancari di chiedere i motivi dei prelievi superiori ai mille euro risale ad un anno fa, ossia all’inizio del “governo tecnico” ed è soltanto l’ultima, incredibile iniziativa del ministero delle Finanze. Essa richiama prepotentemente alla ribalta quello che può considerarsi uno dei markers più significativi della perdita della libertà inflitta al nostro Paese da un sistema che non ha nulla da invidiare a quello sovietico d’antan.
Come tutti sappiamo, in Italia non esiste più nemmeno l’ombra del segreto bancario. In qualsiasi momento della giornata, un qualsiasi impiegato del ministero delle Finanze, «Sezione di Intelligence» (non sto scherzando, si chiama proprio così!), smanettando sul suo computer, può venire a sapere tutto di tutti: quanti risparmi hai accumulato sul tuo conto, quanti assegni hai emesso e per quali importi, quanti ne hai versato e per quale ammontare. Ma questo sarebbe ancora il meno. Infatti, se una persona è onesta, se è per bene, se paga le tasse, se non ruba, se non lavora «in nero», ebbene allora non ha nulla da nascondere. Dunque, chissenefrega se sanno quanto guadagni? Tanto, paghi le tasse (anche per mantenere i guardoni di Stato) fino all’ultimo centesimo.
La vergogna, lo scandalo – al quale una ipotetica quanto fantasmagorica, anche perché inesistente, Destra del buon senso, dell’onestà e della libertà, dovrebbe por mano con precedenza assoluta – sono rappresentati dalla mostruosa esosità del sistema bancario. Da vera e propria legge del taglione. Ma di questo parleremo più avanti. Ora ci interessa denunciare quando l’attuale bancocrazia ha avuto inizio.
QUANDO TUTTO HA AVUTO INIZIO?
IL CASO ARGENTINA E PARMALAT
Sono trascorsi soltanto dieci anni da una delle più vergognose frodi esercitate dal potere bancario ai danni dei cittadini, eppure sembra che sia roba d’altri tempi, evento preistorico. Ricordiamolo: furono almeno 800 mila i cittadini italiani titolari di depositi bancari che si ritrovarono carta straccia al posto delle obbligazioni Parmalat, Cirio e Argentina acquistate per un ammontare globale di oltre 50 miliardi di euro. Riflettiamo sulle cifre. Ottocentomila titolari di depositi-titoli significano (tenendo conto dei legami di parentela: coniugi, figli, genitori, fratelli e sorelle eccetera) come minimo 4 (quattro) milioni di italiani aventi diritto di voto. Queste persone sono ancora indignate, si sentono ancora truffate, prese in giro e si sono ormai convinte che le complicità nella più colossale truffa della storia bancaria d’Italia (sì, superiore – quanto a persone e valori coinvolti – persino al crack della Banca Romana di fine Ottocento) furono ad altissimo livello. Vediamo infatti quale fu il ruolo avuto dalle banche in questo sporco affare. Se è vero che è difficile accusare di connivenza nella truffa i singoli impiegati addetti alla consulenza clienti (quand’anche non si trattasse di incompetenti del tutto ignoranti sulla reale situazione dei prodotti che consigliavano, eravamo comunque di fronte a personale che eseguiva ordini superiori e non voleva crearsi problemi di carriera e di lavoro), permangono più che buoni motivi per sospettare che, ai massimi livelli, la vendita di obbligazioni truffaldine sia stata promossa e organizzata scientificamente.
Non si spiega altrimenti una serie di fatti significativi che chi vi parla, nella sua veste di editorialista, segnalò, a suo tempo, ai magistrati impegnati, un po’ in tutta Italia, a vagliare le migliaia di denunce per truffa piombate sui loro tavoli da famiglie letteralmente rovinate dal colossale imbroglio. Ricordo alcuni di quei “fatti significativi” – che peraltro la magistratura neppure prese in considerazione – : in Spagna, nessun risparmiatore acquistò mai i bond argentini. Eppure parlavano la stessa lingua. In Italia, invece le vendite dilagarono alla grande, coinvolgendo la bellezza di 450 mila risparmiatori. Ma – guarda caso – nei fondi obbligazionari emessi dalle banche pare non vi fu mai un solo bond argentino e neppure Parmalat. Insomma, le banche si guardarono bene dall’acquistare in proprio quella roba, ma la vendettero a piene mani ai propri clienti. E c’è di più. In Argentina, di quella montagna di danaro finì ben poco. Esattamente il copione del caso Parlamat. Difatti, i circa 170 mila risparmiatori che acquistarono, dalle banche, titoli Parmalat, versarono qualcosa come seimila miliardi di vecchie lire. In tasca di chi finì questo immenso tesoro? In tasca di Callisto Tanzi? Ma non facciamo ridere! Di miliardi, il lattaio parmigiano ne ha sicuramente intascati (e dilapidati) una montagna, ma li aveva ottenuti dalle banche a titolo di prestiti ad altissimo interesse, non certo dalle diecine di migliaia di cittadini, a spese dei quali le banche si rifecero come per miracolo, recuperando così le loro esposizioni creditizie.
Ricordo che all’epoca scrissi: «Sarà la magistratura a dover accertare tutto questo». Ebbene, la magistratura non ha accertato un bel niente. Si è limitata ad accanirsi contro Callisto Tanzi. Non illudiamoci, però. Il caso non è soltanto giudiziario. E’ anche e soprattutto politico. Per la enorme massa di cittadini coinvolti. E per la totale latitanza di tutte le istituzioni pubbliche chiamate per legge a sovrintendere, sorvegliare, applicare l’articolo della Costituzione che protegge (dovrebbe proteggere) il risparmio e che ogni tipo di governo, di ogni colore, si è ben guardato dal far rispettare.
BANCHE. ORA BASTA!
Al centro di questa situazione intollerabile è il sistema bancario, che ha sempre agevolato le truffe, che continua ad aumentare i propri costi, in un vero e proprio regime di “cartello”, e al quale nessuno è stato fino ad oggi capace di porre un freno. Nessuno infatti, fino ad oggi, ha dichiarato guerra al sistema bancario, un bubbone che prima o poi non potrà non esplodere. Il cittadino italiano è letteralmente avvolto in una sorta di ipertrofia bancaria della quale non riesce più a liberarsi. Tutto ormai passa attraverso gli sportelli bancari: pagamento utenze (gas, luce, acqua), spese d’amministrazione della casa dove si abita, riscossione di stipendi e pensioni, adempimento degli obblighi fiscali, acquisto di titoli, bonifici di somme a qualunque titolo (dal momento che spedire assegni non trasferibili e barrati, grazie alle bande di ladri ormai presenti massicciamente in quasi tutti gli uffici postali del Paese, è diventato un rischio sicuro).
In cambio di questi servizi, non liberamente richiesti, ma resi obbligatori dai vari governi succedutisi alla guida del Paese, le banche trattengono per sé ingentissime somme, a titolo, appunto, di “commissioni”: le somme – tra l’altro in continuo ed incontrollato aumento – che hanno consentito loro di espandersi al di là di ogni possibile immaginazione, al punto che ogni giorno, in ogni strada d’Italia, s’apre una filiale o agenzia bancaria. Senza peraltro offrire posti di lavoro ai giovani perché ormai trionfa il web-banking.
A chi dovesse sussultare nell’ascoltare queste considerazioni, cercherò di rinfrescare la memoria. Quanto tempo è passato da quando le banche riconoscevano, ogni fine anno, un interesse sulle somme lasciate sui conti correnti? Pochi anni: una diecina. Che cosa riconoscono oggi? Nulla. In tal modo, tutti sono obbligati a “investire” i propri risparmi in qualche cosa: fondi, titoli di Stato, obbligazioni, azioni. Dove sono finite le “gestioni patrimoniali”, ossia quegli uffici, che ogni banca aveva, ai quali i clienti si rivolgevano consegnando una data somma con l’impegno – da parte dei funzionari – di farla fruttare? Cioè di far trovare al cliente, ogni fine anno, un più o meno allettante interesse? Chiusi. Spariti. Al loro posto, le banche hanno assunto migliaia di impiegati senz’arte né parte e li hanno nominati, pomposamente, “consulenti finanziari”. Sono costoro, ubbidendo agli ordini dei loro superiori, ad avere affibbiato agli ingenui risparmiatori italiani (la stragrande maggioranza) fondi rivelatisi ben presto carta straccia, con la conseguenza di avere decurtato i risparmi di un’intera nazione di milioni di miliardi di euro (fino a ieri, miliardi di miliardi di lire).
Come insegna una eterna regoletta economica, i soldi non svaniscono: se escono da una tasca, finiscono in un’altra. In quali tasche sono finiti i milioni di miliardi di euro degli impiegati, dei professionisti, delle casalinghe, dei pensionati, delle vecchiette, delle giovani coppie, dei poveri risparmiatori italiani cornuti e mazziati? Se non è un “cartello” questa veloce, inarrestabile trasformazione delle banche da “amiche del popolo” a sanguisughe deI risparmiatori, veramente non si capisce che cosa sia “cartello”.
Frattanto, la lobby bancaria continua ad ingrassare. Grazie alla complicità di un potere politico (di governo o di opposizione non fa differenza) che continua a consentirle di rifornire i suoi forzieri con i soldi della povera gente destinati ad arricchire le tasche dei soliti furbi.