L’Osteria Volante, o della storia del pensiero sociale cattolico

L’Osteria Volante è il titolo di un romanzo che G.K.Chesterton scrisse nel 1914, all’inizio del primo conflitto mondiale. Narra la storia di un oste inglese, Humphrey Pump, e di un capitano di navi irlandese, Patrick Dalroy, che, in un futuro distopico, combattono, con le armi del senso comune e dell’umorismo, contro un regime democratico progressista inglese, aperto agli influssi arabo-musulmani, che vuole chiudere tutte le osterie del regno e vietare l’uso dell’alcool. L’Osteria Volante rappresenta così il baluardo ultimo di libertà che i due protagonisti fanno sopravvivere, spostandosi alacramente da un luogo all’altro per sfuggire alle mire repressive del governo.

La metafora dell’osteria volante chestertoniana è quanto mai adatta ad esprimere la condizione del pensiero cattolico sociale nel contesto contemporaneo. Il pensiero debole post-moderno – che ha portato alle sue estreme conseguenze nichiliste il relativismo antropocentrico iniziato con il Rinascimento – impone una lettura del reale in cui ogni grande visione che aspiri a cogliere con un atteggiamento veritativo le costanti della realtà economico-sociale è di per sé svuotata di ogni credito e valore, anche solo euristico. Il reale infatti oggi non esiste più. Dopo essere stato soppiantato nel corso dei secoli dalle filosofie gnostico-cabalistiche (Cartesio, Kant, Hegel, Marx, Nietzsche), adesso è stato concretamente sostituito dalla virtualità tecnocratica superomista e prometeica, che invade in maniera disordinata e prorompente, senza alcun argine, ogni spazio della nostra vita.

La politica in questo mondo fluido è diventata spettacolo, improvvisazione, teatro e molto spesso farsa. Ciò che va conquistato non è più l’equilibrio e l’equità in grado di conferire alla società il rispetto delle regole universali del vivere civile ma il consenso di un popolo-massa, fatto di tante individualità-monadi, prive di una propria identità, fluttuanti nel mare delle opinioni, e come tali disposte ad aggregarsi intorno a mutevoli, temporanei e sempre cangianti poli di attrazioni, presentati dai mass-media come la soluzione messianica di turno.

In questo scenario il pensiero sociale cattolico rappresenta un’osteria volante, che appare qui e là negli spunti di alcuni uomini che hanno deciso testardamente di non deporre le armi e continuare questa impari battaglia, fermamente determinati a non farsi sopprimere, a portare avanti e difendere la bandiera della civitas christiana, malgrado tutto e malgrado tutti, nella convinzione che la verità, cioè l’adesione al reale, prima o poi prevarrà.

Cosa fare dunque per modificare questa situazione, per trasformare le “osterie” del pensiero sociale cattolico da meteore volanti ed eteree in strutture radicate e consolidate in grado di ri-orientare la gente, in fari capaci di indicare la direzione di marcia alle moltitudini confuse ed angosciate, che navigano nel nulla della politica attuale?

Il distributismo di G.K.Chesterton, H.Belloc e padre McNabb, a questo proposito ha alcune proposte che, a mio parere, risultano molto fondate. Si tratta innanzitutto di opporre allo storicismo del pensiero contemporaneo un solido radicamento nel realismo aristotelico-tomistico, secondo cui è possibile all’umana ragione illuminata dalla fede, cogliere le costanti paradigmatiche di un sano ed equilibrato ordine economico-sociale.

Ciò che è buono e giusto non è quindi solo ciò che è nuovo, ma può anche essere ciò che è antico ed è stato dimenticato. Da cui l’importanza di prendere seriamente la storia, con uno sguardo libero da ogni condizionamento ideologico. Ma bisogna fare un passo ulteriore. Bisogna indicare nello specifico quali sono i principi di fondo sui cui una sana società si può basare. Eccoci allora venire in aiuto appunto il pensiero distributista, basato sull’insegnamento plurisecolare della retta ragione e dell’insegnamento del magistero della Chiesa, inteso nella sua continuità nel corso dei secoli e non artificialmente amputato dei primi 1900 della sua storia.

Il distributismo riprende la traccia dei grandi pensatori cattolici, a partire dai Padri della Chiesa, San Tommaso d’Aquino e i tanti autori del XIX secolo (La Tour du Pin in Francia, il card Manning in Inghilterra, Von Ketteler in Germania, Luigi Taparelli d’Azeglio in Italia), insieme alle encicliche di Pio IX e Leone XIII. Il distributismo riprende la traccia dei grandi pensatori sociali cattolici del XX sec. (tra gli altri Chesterton, Belloc, padre McNabb in Inghilterra, Toniolo in Italia, Mercier in Belgio), che portarono al Codice Sociale di Malines del 1927.

Questo complesso ed articolato edificio teorico e concettuale, sulle basi di una sapienza plurisecolare, convergeva verso alcuni paradigmi comuni, di estrema attualità e dotati della freschezza dell’eternità, che ne costituivano in un certo senso l’anima:
– Il riconoscimento della centralità economico-sociale della famiglia naturale tra un uomo e una donna.
– L’opposizione ai paradigmi liberal-capitalisti e social-comunisti, intesi come due facce di una stessa medaglia caratterizzata dalla tendenza ad accumulare potere e proprietà nelle mani di pochi, disarticolando la varietà e molteplicità della compagine sociale e dei corpi intermedi.
– La centralità di un sano principio corporativo, cioè il sostenere che, oltre ai diritti inalienabili della famiglia, esistono anche i diritti inalienabili delle gilde o corporazioni di arti e mestieri e che questi diritti consistono nel raggiungere il massimo livello possibile di autogoverno ed autonomia rispetto al sistema statale centrale.
– La necessità che il denaro e la finanza vengano messi a totale disposizione del bene comune e non dell’interesse di una parte del corpo sociale (i banchieri e l’elite economico-finanziaria) introducendo una moneta che sia libera dal debito bancario e priva di interesse.

Questo processo di riflessione e approfondimento del pensiero sociale cattolico subì una drammatica interruzione, un sostanziale arresto a seguito degli eventi della II guerra mondiale.

Parallelamente all’”aggiornamento” affermatosi in teologia con il Vaticano II, un simile “aggiornamento” si registrò nell’ambito delle riflessioni sulle questioni economico-sociali. Al Codice di Malines del 1927, seguì il Codice di Camaldoli del 1943, che riprese le principali idee moderniste condannate da Pio X 35 anni prima (Pascendi Dominici Gregis del 1907). Alla centralità del principio corporativo seguì il cedimento totale alla partitocrazia della Democrazia Cristiana.

Alla ricerca di una via cattolica alternativa a capitalismo e social-capitalismo, seguì la rinuncia a tale impresa e il ripiegamento sul tentativo di inverare dall’interno tali ideologie, sull’onda di quanto in molti furono tentati di fare in Italia con il fascismo.

Il crollo della Democrazia Cristiana, travolta dalla corruzione della partitocrazia e dal vuoto dei suoi contenuti, fu la naturale conseguenza di tutto ciò. Ricordiamo che la denuncia del sistema partitocratico fu fatta nel 1905 dallo stesso H.Belloc e dal fratello di Gilbert Keith Chesterton, Cecil.

Il distributismo quindi, riproponendo con chiarezza e fermezza i 4 paradigmi sopra riportati e cercando di attualizzarli nel presente, non propone altro che di ricucire la drammatica cesura con la propria storia e la propria identità che il pensiero sociale cattolico subì 70 anni fa, non certo per cercare di far rivivere un passato che appartiene ormai solo alla memoria ma per orientare il nostro concreto agire nel presente, intorno a quei punti nodali che la retta ragione e la Dottrina Sociale della Chiesa ci indicano come gli unici in grado di risolvere i gravi e tragici problemi economico-sociali e politici che affliggono la nostra società.

Questa a mio parere è la strada da seguire per dare un radicamento solido e concreto all’Osteria Volante del pensiero sociale cattolico e farlo tornare ad essere protagonista in grado di indirizzare le scelte concrete del futuro e non subalterno soprammobile al servizio delle più disparate ideologie.

(Matteo Mazzariol è Presidente Movimento Distributista Italiano)

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