L’uomo prigioniero di un clic. O del paradiso della tecnica

Secondo Carl Schmitt, il maggiore giurista del XX secolo, “è in azione una macchina psicotecnica della suggestione di massa che lavora con le parole e con i significati e ri-forma un’umanità plastica. Le scoperte tecniche sono strumento di un nuovo, tremendo dominio di massa”. Il rischio da cui mette in guardia è che le tecniche non siano comprese nel loro significato di controllo e rimodulazione dell’umanità. L’uomo, derubricato a materiale umano, viene spostato da uno spazio di luoghi ad uno di flussi, informazioni controllate, dati catalogati e collegati in un tutto che diventa ragnatela e avviluppa milioni di individui privati di punti di riferimento reali, spettatori paganti e plaudenti, consumatori acquirenti. Il fine è il dominio attraverso lo strumento tecnico.

Si è formato, rispetto alla tecnica, un rapporto diseguale, coatto, che costringe a un linguaggio unico, a procedure che esentano dal ragionamento e dalla sperimentazione personale. Per farci accettare il controllo sociale, ci drogano di libertà astratta. Il potere ha capito un’intuizione di Friedrich Schiller “la gente esige la libertà di parola per compensare la libertà di pensiero, che, invece, rifugge”. Non è senza motivo che l’apparato psico tecnico – impegnato in una gigantesca guerra cognitiva tesa alla creazione di una transumanità ibridata con la macchina – spinga l’acceleratore soprattutto sulle tecniche di procreazione assistita: un simbolo potentissimo, la creazione della vita sganciata dai vincoli e dai limiti della natura, nemica mortale dell’homo technicus.

Lo comprese il francese Jacques Ellul. “La tecnica è originariamente un tratto antropologico ma, dalla seconda metà del XX secolo, si è costituita come sistema. I potenziamenti derivati dall’attività tecnica sono inscindibili da quelli simbolici e la moderna adorazione della tecnologia è un derivato del sentimento ancestrale di adorazione che l’uomo primitivo provava di fronte al carattere misterioso e meraviglioso dell’opera delle sue mani”.

Le mani dell’homo faber di ieri sono sostituite dal potere misterioso dell’apparato tecnico, nato, costruito, fatto funzionare dopo aver carpito i segreti della natura. La tecnica esaurisce il legame che gli uomini stabiliscono tra di loro e con la realtà, dando vita a una sorta di linguaggio universale, che supplisce a tutte le insufficienze e a tutte le separazioni attraverso un’estrema specializzazione in tutti i campi. Ellul segnalò altresì il crescente spaesamento, l’assenza di pensiero e relazione, causato dal progredire inesorabile di “sistemi” che riducono l’uomo a “ingranaggio” privo di storia e di memoria.

Molto importante il suo giudizio sull’ irruzione del personal computer nelle nostre vite. “Ci fu un periodo nell’uso dei computer in cui eravamo totalmente entusiasti: il computer avrebbe permesso di razionalizzare le decisioni. Se colui che deve prendere la decisione sa tutto in merito alla situazione, egli potrà prendere una decisione esatta; e il computer permette di sapere tutto. Gli studi sulla decisione mostrano come l’aiuto alla decisione sia del tutto inaffidabile. Non è l’accumulazione di informazioni che permette di prendere una decisione giusta. Ovviamente è meglio avere una conoscenza esatta dei dati, ma l’eccesso di informazione blocca la decisione”. Ovvero affida ogni scelta alla macchina artificiale.

L’uomo, abituato ad avere per interlocutore il computer, “diventa incapace di una relazione con delle persone. Si vedano le solitudini gomito a gomito, ognuno collegato sul sistema computer. In particolare, la pedagogia attraverso il computer (il computer che sostituisce il professore) comporta effetti psicologici spaventosi”. Per Ellul la crescita illimitata dei mezzi tecnici elimina il riguardo per la condizione dell’uomo: “questa dismisura dell’efficacia dei mezzi, che ha impedito ogni altra considerazione, modifica l’anima umana. Non solo tutto è mezzo, ma per di più per l’uomo tutto è chiamato a essere mezzo. Assistiamo a una svalutazione delle idee, dello spirituale, dell’arte, dato che tutto questo è respinto nella sfera dell’interessante (nel senso di Kierkegaard) e del non efficiente. I fini svaniscono e non possono più essere determinanti. Tutto quello che non può essere trasformato in mezzo non ha la benché minima importanza: sono fenomeni accessori, laterali, lasciati ai margini della corrente generale. In questa esplosione di strumentalizzazione, a rigore non ha più senso pretendere che l’uomo debba essere un fine; egli non viene preso sul serio che a patto di essere lui stesso mezzo. E l’ideologia erotica conferma questa considerazione: l’erotismo implica sempre che il partner sia un mezzo. Non c’è reificazione maggiore dell’altro che il sadismo. Non è indifferente constatare l’espansione, la volgarizzazione, la massificazione dell’erotismo proprio in una società tecnica che abitua a considerare tutto, dunque anche l’uomo, come strumento. Si può affermare che la crescita dei mezzi provoca una tale attrazione che il prossimo non può più essere riconosciuto come tale, la sua libertà si ritrova negata dall’universo dei mezzi e di conseguenza, di riflesso, la mia libertà è negata non da un gioco meccanico, ma dalla mia stessa adesione a questa universalizzazione dei mezzi”.

Un altro critico della tecnica fu Martin Heidegger, la cui conferenza del 1953, La questione della tecnica, è uno dei testi più letti del pensiero moderno. Il grande errore – promosso dal potere – è la “definizione strumentale e antropologica della tecnica”, ovvero l’idea secondo cui essa è un mezzo e un’attività dell’uomo. In realtà, l’essenza della tecnica non è affatto qualcosa di tecnico. In altre parole, non è un mezzo, ma un “impianto”, una visione del mondo. “La tecnica ci pone di fronte a un ciclo continuo in cui il mondo naturale appare come un fondo. I prodotti della tecnica moderna richiedono e delineano un orizzonte che li renda impiegabili, orizzonte che investe, in fin dei conti, l’intero mondo.”

L’essenza della tecnica moderna sta nella categoria di imposizione, intelaiatura (Gestell). L’uomo non è più attore volontario della manipolazione della natura, ma è anche “chiamato” a impiegare la natura, il mondo come “fondo” di energie da lavorare, trasformare, immagazzinare. Se la tecnica è imposizione, l’essere umano tecnicizzato è condannato a “perseguire e coltivare soltanto ciò che si disvela nell’impiegare, prendendo da questo tutte le sue misure”. Ciò determina un rapporto di sfruttamento che espone l’umanità al “pericolo supremo”. L’uomo diviene a sua volta “fondo” impiegabile, in cui cambia la sua essenza di essere che s’illude di essere “signore della terra”.

La minaccia proviene dall’essenza stessa della tecnica. Celebre è la citazione di un verso del poeta tedesco Hoelderlin: “là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”. La minaccia totalizzante può consentire la comprensione del meccanismo infernale a cui siamo assoggettati. Il pericolo supremo coabita con la salvezza e il riscatto: chi è in grado di affrontare e riflettere appieno sul senso della tecnica comprende il dominio dell’impiego e diviene consapevole custode “dell’essenza della verità”.  La condizione per il raggiungimento di questa salvezza è secondo Heidegger la capacità di cogliere “nella tecnica ciò che ne costituisce l’essere, invece di restare affascinati semplicemente dalle cose tecniche”. Purtroppo questo è il labirinto in cui siamo immersi: la convinzione che la tecnica “risolva”, abbia una soluzione per tutto. Male, malattia, morte diventano problemi tecnici.

La tecnica promuove una disposizione dell’animo che diventa ideologia, il “soluzionismo”. Il suo lato più accattivante è offrire soluzioni per qualsiasi aspetto della vita, sino a diventarne padrona. “Per risolvere tutto, cliccate qui.” Il soluzionismo tecnologico pone una domanda retorica fondamentale: perché dovremmo appoggiarci a leggi, Stati, principi etici, quando abbiamo a disposizione dei sensori e dei circuiti di retroazione?  È un nuovo modello di governo, un perfetto programma di vita.  Unico difetto: è concepito ed utilizzato contro la persona umana.  Anziché governare le cause dei problemi, operazione che richiede coraggio, immaginazione, flessibilità mentale per padroneggiare la complessità, ci si limita a controllare gli effetti. La dolce droga per schiavi soddisfatti che Aldous Huxley chiamò soma.

Il soluzionismo può essere letto come una variante, estrema ma coerente, dell’utilitarismo. Destituita l’etica, messi da parte i pensatori morali, resta l’idea di Jeremy Bentham. “Quando Mandeville diceva che i vizi privati sono pubblici benefici non si accorse che l’applicazione errata dei termini vizio e virtù era fonte di confusione. Infatti, se ciò che l’uomo chiama virtù provoca una diminuzione di felicità e se il vizio che è il contrario della virtù ha l’effetto opposto, è evidente che la virtù è un male ed il vizio un bene”. Una torsione intellettuale al servizio dell’inversione etica che stiamo sperimentando.

La tecnica affascina l’uomo per il mistero che la avvolge, per il clic che risolve un problema o fornisce una risposta, per il senso di onnipotenza che determina. L’obiettivo finale del transumanesimo – ideologia che non avrebbe significato senza la tecnica – è addirittura sconfiggere la morte. “La volontà che si organizza con la tecnica in ogni direzione fa violenza alla terra e la trascina all’esaustione, nell’usura e nelle trasformazioni dell’artificiale. L’uomo stesso diventa materiale umano”. Cessiamo di essere persona, ci trasformiamo in cosa, manufatto, prodotto plastico da manipolare, trasformare ed impiegare secondo piani prestabiliti. “Pensiero che non pensa”, è la definizione dello stesso Heidegger. “Restiamo sempre prigionieri della tecnica ed incatenati ad essa, sia che l’accettiamo con entusiasmo, sia che la neghiamo con veemenza. Ma siamo ancora più gravemente in suo potere quando la consideriamo neutrale; infatti, questa rappresentazione che si tende ad accettare con particolare favore ci rende completamente ciechi di fronte all’essenza della tecnica.”

Il pericolo è che le tecniche non siano capite, disvelate, comprese nel loro significato devastante di invasione e desertificazione delle libertà, abolizione progressiva della privatezza, dell’intimità, schiacciamento, rimodulazione delle personalità individuali e delle percezioni collettive.

Omologare, condizionare, persuadere, anziché educare. I canali sono l’informatica, la telematica, la pubblicità, l’informazione e l’intrattenimento, le neuroscienze e la programmazione neurolinguistica (PNL), cui si è aggiunta la nanotecnologia, figlia delle acquisizioni della fisica quantistica. Le neuroscienze sono le discipline della medicina, della psicologia, della neurologia, della biochimica utilizzate per conoscere e ricostruire a fini di controllo o condizionamento i meccanismi del pensiero umano. In questi delicatissimi settori, vengono investite cifre enormi dai grandi centri di potere finanziario e dalle famiglie oligarchiche che ne tirano i fili, Rockefeller, Warburg, Rothschild, Soros, Bill Gates, alleati con i giganti di Silicon Valley, cooptati al piano più alto del potere.

Tecnopoli è insieme predittiva, standardizzatrice e preventiva. Sta arrivando non solo a prevedere ed organizzare i nostri comportamenti, ma anche a prevenirli, ossia impedirli. Nel film di Steven Spielberg Minority Report tre personaggi, i Precog, impediscono il crimine attraverso misteriose capacità extrasensoriali. Ci stanno arrivando: potere e controllo “tecnico”. L’attuale relazione tra l’uomo e la tecnica assomiglia alla lotta immaginata da Ernst Juenger tra il mondo della Marina, sulle scogliere di marmo, e quello delle paludi e dei boschi su cui domina l’oscura figura del Forestaro, rappresentante di un mondo fatto di volontà di potenza, violenza e disprezzo per ogni valore umano.

Conquistate le scogliere di marmo, la nostra vita è dominata dalla tecnica, impersonale, impassibile, incontrollabile. Scrisse Walter Benjamin: “se le cose fanno il loro corso, ecco la catastrofe”.

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