MA CHE MUSICA MAESTRO- Ivan Graziani – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan

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La città che avrebbe voluto Ivan Graziani

 

“Non esiste più, non ritrovo più la città che io vorrei”

 

Nel 1973 Ivan Graziani descriveva un bambino che, attraverso le immagini di uno stormo di uccelli che volteggiavano nel cielo, si abbeverava alla fontana, della madre che accarezzava dolcemente il suo bambino, della sposa che, raggiante, andava incontro al suo sposo. Era la città che avrebbe desiderato: “E fra mattoni giallo oro tetti cupi e balconate, d’improvviso prende il volo uno stormo di colombe…esce come per incanto dal buio freddo di un portone una sposa tutta in bianco, sorridente incontro al sole e una madre dolcemente accarezza piano piano il suo bambino sulla fronte…un bambino in monopattino passa accanto a una fontana, si ferma a bere per un attimo”. Anche nel “campo della fiera”, titolo di un’altra sua canzone, il cantautore originario di Teramo evocava immagini di un tempo malinconicamente passato attraverso la disgraziata vita di uno storpio che chiedeva l’elemosina: “Vecchie, zingari, persone colorate sul campo della fiera ed io, lo storpio sul mio carrettino, canto canzoni e tendo il piattino. C’è chi compera giocattoli di latta e c’è chi vende il gallo…conto le lire e ripongo il piattino, traverso il campo e in chiesa mi ritiro”. La poliedricità dell’artista abruzzese (chitarrista, disegnatore e fumettista, si era diplomato nel 1968 all’Accademia di Belle Arti di Urbino) l’aveva portato sin dagli inizi degli anni ’70 a collaborazioni con vari personaggi di successo, da Lucio Battisti a Francesco De Gregori, da Bruno Lauzi ad Antonello Venditti sino ad intraprendere una carriera da solista, culminata nel 1977 con una canzone struggente, Lugano addio, dedicata ad una delle sue evocate dolci donne: “Marta io ti ricordo così, il tuo sorriso e i tuoi capelli, fermi come il lago…tu mi parlavi di frontiere, di finanzieri e contrabbando, mi scaldavo ai tuoi racconti”. Anche nella figura di “Agnese” il cantautore abruzzese abbozzava un ricordo poetico e romantico: “Se la mia chitarra piange dolcemente, stasera non è sera di vedere gente e i giochi nella strada che ho chiusi dentro al petto, mi voglio ricordare. Io penso ad un barcone rovesciato al sole in un giorno in pieno agosto, le biciclette in riva al mare. Agnese non parlava nella sabbia infuocata ed io non so perché non l’ho dimenticata”. L’artista, morto prematuramente nel 1997 all’età di 51 anni, aveva cantato nel 1983, attraverso la figura di un chitarrista baro, la supplica, seppur ironica, a Dio: “Signore, è stata una svista, abbi un occhio di riguardo per il tuo chitarrista”. Con quella sua voce in falsetto ora irridente ora melanconica, Ivan Graziani ha saputo condensare con grande sensibilità ritratti di persone e città, come ad esempio Firenze, presentata al Festivalbar del 1979: “Firenze lo sai, non è servita a cambiarla, la cosa che ho amato di più è stata l’aria. Lei ha disegnato, ha riempito cartelle di sogni, ma gli occhi di marmo del Colosso Toscano guardano troppo lontano…per questo canto una canzone triste, triste come me e non c’è più nessuno che mi parli ancora un po’ di lei”. Certamente Ivan Graziani ha saputo raccontare delicatamente spaccati di vita, di piccole storie altrimenti dimenticate. Graziani non ha composto però solo ballate (ad esempio la Ballata per quattro stagioni  del 1976) né solo canzoni sentimentali, ma ha interpretato anche brani sferzanti, intrisi di rabbia, soprattutto contro uno spaccato di società borghese ipocrita, come ad esempio il pezzo Pigro del 1978: “Tu sai citare i classici a memoria ma non distingui il ramo da una foglia…la tua scienza ha creato l’ignoranza e poi le parolacce che ti lasci scappare, che servono a condire il tuo discorso d’autore, come bava di lumaca stanno lì a dimostrare che è vero, è vero non si può migliorare col tuo schifo di educazione”. Sovente il cantautore teramano è andato oltre l’ispirazione visionaria realistica e poetica, condendo i suoi testi con allusioni volgari e sessuali. Si dovrebbe, con Ivan Graziani, cercare di non confondere il sano realismo di un “fuoco sulla collina”(titolo di un’altra sua canzone) con la violenza della vita, come suggerito dal suo stesso testo: “Illuso, romantico e fesso” lui mi rispose, i fuochi di cui stai parlando (lo strepitio delle armi) sono fari puntati sul campo dei trattori che stanno trebbiando”.

 

 

Fabio Trevisan

 

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