MA COME ANDRÀ A FINIRE? – di Piero Nicola

di Piero Nicola

 

dollaro massone

 

Da qualche tempo sentiamo delle rimostranze accusatorie che danno da pensare. Rivolte contro il compassato, anglosassoneggiante Monti, Capo dei Tecnici del Gabinetto, provengono da dove sembrava strano aspettarselo. Mi riferisco all’antico liquidatore di coloro che non avevano le mani pulite – beninteso, eccettuata la gran parte dei sinistri –, accenno dunque al catone Antonio Di Piero. Egli fa il verso alla Lega padana.

Che cosa è avvenuto? Semplice calcolo politico? Dev’essere improbabile che abbia ricevuto una spinta da alto loco, affinché Bossi non sia lasciato da solo all’opposizione, ma vi compaia anche l’Italia dei Valori. Questa ha ultimamente affibbiato al Capotecnico la dicitura: sta dalla parte dei banchieri, donde la sua impossibilità di curarsi degli italiani in preda alle ristrettezze. Tale verosimile classificazione, uscita dalle fauci del Contadino di Montenero di Bisaccia, pesa davvero. Il momentaneo Padrone del Colle ha creduto opportuno intervenire – con una delle sue esternazioni di un giorno sì e uno no – rilasciando un’intervista al venerabile Corriere della Sera. Per valorizzare l’attuale governo di sconosciuti al grande pubblico, il Napolitanto pontifica avvertendo che urgeva liberarsi del precedente imbarazzo moral-politico – sottinteso: dovuto a Berlusconi – e restituire lo Stivale all’onore del vasto mondo.

Cose grosse. E il Berlusca si è meritato l’epiteto di coniglio, appioppatogli dall’Iniziatore dell’orgoglio oscenamente espresso. Ormai le lingue appaiono depilate. Pane al pane e vino al vino. Il che non risolve la pochezza della politica democratica nostrana; per altro, non troppo inferiore a quella mondiale.

Conclusione: il popolo ignaro aspetta, mezzo perplesso mezzo pessimista, e tuttavia timidamente speranzoso, quando c’è poco in cui confidare. Popolo bue in superficie, giacché, nel profondo, il sordo tarlo del sospetto lo travaglia.

Se è vero, come è vero, e senza ricorso alla dietrologia, che il Capotecnico è vincolato alla finanza dominante, essa ha interessi che superano affatto quelli nazionali e, col progredire degli avvenimenti, siamo fritti. Se ad essa conviene il fallimento economico italiano e/o la caduta dell’Euro, per giovare al dollaro, per turare falle e stabilire nuovi equilibri, per creare un calderone, un barcone continentale meglio controllabile, non resta che riscuotersi, a cominciare dai grandi partiti. Adesso, credono di combinare qualcosa di buono con la richiesta d’essere preventivamente consultati per le successive manovre finanziarie, riservandosi di approvarle o di bocciarle. Le manovre future non correggeranno quella approvata, già deleteria, poiché i suoi proventi saranno divorati dagli esorbitanti interessi gravanti sul debito pubblico. L’onesto provvedimento era uno solo: evitare di rimanere in balia del mercato, impedire l’imposizione di interessi usurai. I provvedimenti economici successivi, andranno nel solco tracciato, che mette al pozzo nero, profondo.

La convenienza di chi determina le valutazioni di borsa è certamente quella che vi siano governi tecnocratici, cui la stampa – inqualificabile, ma incorreggibile – possa attribuire l’esclusiva capacità di emettere decreti salvaItalia, sanciti dal parlamento responsabile. Casini docet. Casini mosca cocchiera. Allorché, poi, il Bel Paese e, alla sua stregua, gli altri stati europei, saranno diventati debitori morosi alla mercé dei creditori, la soggezione dell’Europa al creditore manovratore sarà completa. Gli stati del Vecchio Continente avranno altri dirigenti, politici o burocratici, nazionali o europei, sotto il giogo del bisogno. I Capitecnici verranno sfiduciati, i Capipartito cadranno. Che importa? Qualcuno presiederà a Palazzo Chigi e al Quirinale, prendendo ordini da Bruxelles; e il Capoburocrate di Bruxelles soggiacerà alla legge dei Mercati, ossia dei Mercanti imperiali.

Lo svolgimento appare fissato, qualunque sia l’animo di quanti vi sono implicati. Ciò non toglie che sia un percorso aleatorio, suscettibile di venire interrotto con le buone o con le cattive.

Primo fattore di disfacimento: l’impossibilità dell’Europa unita. Essa è una vana finzione, date le differenze nazionali e i relativi tornaconti contrastanti. Secondo: i popoli avviliti sono idonei a mangiar la foglia. Basterà un Bossi, magari uno più robusto di lui, perché diventi catalizzatore dello scontento e si rovescino le sorti del processo in atto.

Fin d’ora, il Capotecnico si difende dalle voci a lui contrarie, e, insieme ai partiti, sente puzza di bruciaticcio nell’opinione pubblica. Non passa giorno che Casini e Casini-affini del Terzo Polo drammatizzino parlando di bere o affogare. Anche l’inquilino del Quirinale si premura di mettere a tacere il malumore serpeggiante, di dissipare il disincanto. Le marce indietro di berlusconiana memoria, non sono archiviate. La ministra emotiva, prima sostiene che qualsiasi contratto è suscettibile d’essere riveduto, poi si rimangia l’asserzione e dice di non aver mai detto ciò che ha detto. Appena cominciato, il nuovo corso risulta attaccabile e per nulla solido. Tutto è ancora possibile. Non disperiamo. Lo spettacolo dei prossimi accadimenti sarebbe interessante e persino godibile, se non fosse deplorevole. Facciamo la nostra parte. Per il resto, accomodiamoci in una poltrona della platea, a posto con la coscienza. E, siano lacrime o sollievi, sarà sempre quello che Dio vuole.

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