di Piero Nicola
Al tempo di una certa buonanima – i defunti, in ogni caso, è pietoso chiamarli così, specie quando quaggiù hanno pagato il pagabile – lo straniero, visto che non riusciva a far breccia con la propaganda, giunse ad accusare il popolo italiano di pecoraggine, perché si prestava alle sparate e alle buffonate del suo capo.
Oggi, non si sa come, allo stesso popolo divenuto democraticamente adulto, libero e responsabile, pare si addica il medesimo epiteto di tonto.
È doloroso dirlo, ma trovatemi altri aggettivi qualificativi, esplicativi.
Soltanto ieri, il presidente del consiglio ha dovuto ammettere di averci spremuto il sangue, sprofondandoci nella crisi. Impossibile negare che prima del suo governo stessimo molto meglio. Ma egli afferma, come parlando ai tardi di comprendonio – mentre lui e i suoi ministri cominciarono a parlare così in modo inaudito – riafferma dunque, che ci ha evitato la catastrofe nazionale, altrimenti detta precipizio, rovina completa, disastro irreparabile.
Chiunque abbia buon senso capisce come con un siffatto espediente qualsiasi gestore di un’impresa può abbellire la propria conduzione fallimentare.
Adesso il suo ministro economico ha fatto qualcosa di peggio. Siccome per il passato qualche responsabile dell’esecutivo ventilò la possibilità o necessità di un aumento dell’iva, forse del 2%, egli osa dire che il previsto aumento dell’1% costituisce una detassazione dell’1%. In altri termini, ciò che era possibile, grazie a un giochino di parole è diventato certo, certissimo.
Come è potuto accadere? Semplice. Il ministro viene ospitato nei massimi telegiornali, formalmente,perché ci illumini sulla manovra stabilizzatrice, e introduce tale sciocchezza di una diminuzione del prelievo fiscale operata con l’iva aumentata dell’1%. Nonostante questa ennesima presa per i fondelli, la gente italica teledipendente, incapace di mandare a farsi friggere le televisioni, sta ad ascoltare, magari perplessa e scontenta, ma passiva.
I suoi rappresentati politici non si sono scandalizzati né ribellati. La Confindustria, che si agita un tantino, resta parte in causa, parte interessata. Lo stesso dicasi per qualche sindacato. Sicché la turlupinatura passerà, come sembra che passi il gioco delle tre carte attuato con il piccolo sgravio dell’irpef per i meno abbienti: sgravio annullato dalla diminuzione delle detrazioni che si possono fare sulla stessa imposta, e dal preventivato rimborso di parte delle detrazioni già effettuate in precedenza.
Persino una brava stiratrice del Loden, uno che lo incensa giornalmente, si è opposto a quest’ultima pretesa governativa del rimborso. Il ministro Grilli ha risposto che tutto può essere rivisto e, probabilmente, per gentile concessione, l’ultima fregatura rientrerà. Oh, quanto è malsicuro questo esperto consesso di tecnici! Tuttavia il Grilli ha fatto presente che, ad ogni modo, le entrate fiscali non dovranno subire diminuzione: ne va del bilancio statale, delle credibilità, dello spread. Facezie!
Lo spread è calato di oltre 100 punti, è tornato ai minimi di sei mesi fa. Allegria! I giornali di regime, parlanti e scritti, hanno festeggiato all’unisono con gli imbonitori. Peccato che il massimo raggiunto dallo spread fosse un’enormità durata pochi giorni, e che esso rimanga tre volte superiore a quello che dovrebbe essere.
Bisogna proprio toccare il fondo, il fondo della storditaggine e della recessione? Bisogna che una turba di tartassati e ridotti in miseria si sollevi? Occorre questo riscatto turbolento? Speriamo di no.