di Marco Bongi
Ad un anno di distanza dal primo volume “Mons. Marcel Lefebvre: nel nome della verità”, la nota scrittrice cattolica Cristina Siccardi torna ad affrontare la figura del vescovo francese fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Già questo fatto dimostra chiaramente il notevole aumento d’interesse nei confronti di questo personaggio, controverso e discusso, che ha lasciato però un messaggio quanto mai attuale, proprio in questo tempo in cui sempre più voci si levano ad analizzare in modo nuovo, ed anticonformista, il grande fenomeno ecclesiale del Concilio Vaticano II.
In questo secondo volume l’autrice intende approfondire soprattutto la spiritualità e la dottrina di mons. Lefebvre, evidenziandone il profondo attaccamento alla Chiesa ed alla sua bimillenaria tradizione.
Innanzitutto va rilevato come il lavoro risulti estremamente ben documentato. Esso si basa infatti sulla diretta consultazione di manoscritti, in gran parte inediti, custoditi presso il seminario di Ècône. E proprio osservando attentamente tali manoscritti la Siccardi non trascura anche un’analisi grafologica dei documenti.
“Osservando ed esaminando la calligrafia di Monsignor Lefebvre possiamo comprenderne la trasparente e forte personalità. Scrittura di corpo medio, ordinatissima, facilmente leggibile e regolarmente allineata. Il foglio non è riempito, vengono lasciate parti bianche, dando un senso armonico allo spazio occupato; le lettere sono strette, più alte che larghe, semplici ed essenziali, unite fra di loro e sono vicine le une alle altre” (pp.11-12).
Questi elementi, unitamente ai contenuti ed alle notizie biografiche, contribuiscono alla ricostruzione della personalità dell’arcivescovo.
“Tutto ciò esprime una personalità raffinata ed elegante, pur nell’umiltà e nella sobrietà. Temperamento energico, da leader, testardo e persuasivo, come di chi sa farsi valere senza alzare il tono; insomma, autorevole e non autoritario; generosissimo e capace di soffrire in silenzio, propenso ad apprezzare la stima e l’affetto. Immediato, intuitivo e lungimirante, ricco di iniziativa e capace di prendere decisioni, sapendo coinvolgere i collaboratori” (p.12).
Un’altra caratteristica importantissima della sua personalità era senz’altro quella dell’organizzatore. Sotto questo aspetto mons. Lefebvre differisce e sovrasta di gran lunga gli altri esponenti del tradizionalismo cattolico, magari dottissimi ed eruditi, ma dotati di poco senso pratico. La sua innata capacità di coinvolgere i giovani e di formarli in uno spirito di azione autenticamente cristiano, rifuggiva sia dal settarismo, sia dal compromesso in materia di Fede e morale.
Questo fu probabilmente il segreto che preservò, e continua a preservare, la Fraternità San Pio X, dalla polverizzazione di altri movimenti, pur avendo dovuto affrontare circostanze storiche difficilissime ed estremamente pesanti.
Scorrendo le dense pagine del volume ci si rende ben conto di quale fosse la specifica e più autentica vocazione del prelato. Così la riassume Cristina Siccardi:
“Due furono le vocazioni di Monsignor Marcel Lefebvre: la prima, quella maturata fin dalla più tenera età, ovvero diventare sacerdote. La seconda: formare santi sacerdoti, mantenendo la filosofia cattolica e la teologia di san Tommaso d’Aquino…” (p. 9).
E i capitoli del libro non fanno altro che ripercorrere ed approfondire tale percorso. Il sacerdote è un «Alter Christus», il suo compito principale è quello di santificare i fratelli attraverso la celebrazione della S. Messa e la dispensa dei sacramenti. Egli deve essere necessariamente tutto di Dio e quindi non si possono conciliare con il suo ruolo né il matrimonio, né l’eccessiva dipendenza dai beni di questo mondo. Molto significativi, in tal senso, i capitoli intitolati: “Dio non ha bisogno di suonatori di mandolino” (pag. 38), “Il significato profondo della talare” (pag. 72) e “Sacerdos in aeternum” (pag. 86).
Un altro punto centrale del messaggio di mons. Lefebvre è quindi senz’altro la critica al principio della libertà religiosa enunciato dalla dichiarazione conciliare “Dignitatis humanae“.
Nel libro di Cristina Siccardi vengono riportate in proposito numerose dichiarazioni e scritti risalenti essenzialmente agli anni ’70 e ’80. Ecco un breve esempio che si collega al principio che mons. Lefebvre non si stancò mai di proclamare: la regalità sociale di Gesù Cristo:
“Il Salvatore del mondo non è più chiamato a regnare sulla società perché ciò è contrario alla dignità umana dei singoli popoli, ognuno dei quali padrone di avere la propria religione e di non essere ‘disturbato’ ” (p. 14).
Egli non poteva dunque ammettere, in nessun modo, questa vera e propria detronizzazione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Proseguendo la lettura non mancano poi i passi dove l’autrice ripercorre i momenti dolorosi che portarono alla scomunica del 1988. Anche qui però, contrariamente ad una vulgata molto accreditata dai media, mons. Lefebvre ci viene presentato come una persona ben diversa dal clichè tetro ed arcigno fatto proprio da molti giornalisti.
Egli spesso ebbe a stigmatizzare lo “zelo amaro” di coloro che criticano ogni cosa senza lo spirito di carità che riesce, più delle parole, ad incoraggiare comportamenti virtuosi ed in grado di portare frutti.
“Bisogna assolutamente evitare lo zelo amaro, peraltro condannato da san Pio X nella sua prima enciclica, E Supremi (4 ottobre 1903). Niente è invece più efficace della carità. “Si spererebbe invano di attirare le anime a Dio con uno zelo pieno di amarezza; rimproverare duramente gli errori e riprendere i vizi con asprezza causa molto spesso più danni che vantaggi”. San Paolo insegna a confutare, a sgridare, ad esortare, ma aggiunge che è necessaria la pazienza e la mitezza” (p. 11).
Ma sullo sfondo, specialmente negli ultimi anni molto dolorosi della sua vita, aleggeranno sempre, negli scritti come nelle omelie, nella predicazione degli esercizi spirituali come nelle pubbliche conferenze, le drammatiche constatazioni espresse, con disarmante semplicità, nella famosa omelia di Lille nel 1976:
“Al contrario, penso che sarei stato scomunicato se a quel tempo avessi formato i seminaristi come li formano ora nei nuovi seminari; se a quel tempo avessi insegnato il catechismo che si insegna oggi, mi avrebbero chiamato eretico; e se avessi detto la santa Messa come la dicono ora, mi avrebbero definito sospetto di eresia, fuori dalla Chiesa. Allora, io non capisco. È veramente cambiato qualcosa nella Chiesa!” (p. 9) .
Dobbiamo onestamente ammetterlo: nessuno, fino ad oggi, a meno di cadere nel relativismo più spinto, è riuscito a dare risposte credibili a queste semplici constatazioni. Passano i decenni, passano gli esegeti del Concilio, si alternano le ermeneutiche, ma nessuno potrà mai dare risposte in grado di giustificare come elementi di continuità quelli denunciati da mons. Marcel Lefebvre.
Forse è proprio per questo che, a distanza di venti anni dalla sua scomparsa, la figura di questo vescovo continua ad attrarre tutti coloro che cercano, pur con i limiti di noi umani, la Verità.
Cristina Siccardi: “Maestro in Sacerdozio: la spiritualità di mons. Marcel Lefebvre”, ed. SUGARCO, € 23.00